di don Mauro
E’ stato suggestivo,
decisamente suggestivo partecipare alla conferenza tenutasi a Palazzo Isimbardi
giovedì 15 maggio, presente un ospite di eccezione: Philippe Ariño. Chi è
Philippe? Se cerchiamo su Internet scopriamo trattarsi di un omosessuale
francese molto attivo nella contestazione del pensiero dominante LGBT nonché propugnatore
di uno stile di vita conforme alla morale Cattolica. Potremmo anche aggiungere
che aderisce e supporta con vigore associazioni e movimenti quali Homovox o la Manif pour tous. Con tutto ciò non faremmo però onore al nostro.
Chiediamo a lui prima che al web come si presenti e otterremo una risposta
diversa: io sono un “figlio di Dio, una persona”. Se poi, un po’ colpiti dalla
discrepanza di identikit racimolati, insistessimo nel chiedergli se lui è
omosessuale, rischieremmo una risposta spiazzante: per favore, smettiamola di
parlare di omosessuali.
Una tesi dirompente,
che va ovviamente al di là della pura e semplice descrizione da manuale e si
pone subito nell’orizzonte di una precisa azione antropologica, pastorale e
politica: lasciamo cadere i termini eterosessuale ed omosessuale, in quanto
tengono vivo il senso di differenza e alimentano la rivendicazione
anti-omofoba; ricominciamo a parlare di persone, perché ognuno riscopra
l’identità che lo costituisce nel profondo, e nessuno più si fermi a
identificarsi a quel livello importante ma parziale che è la sua sessualità.
Io resto spiazzato da
questa proposta. Del resto è la serata nel suo complesso che si presenta in
modo traumatico, cominciando dagli esordi: arrivo alla conferenza giusto giusto
in tempo, con me due amici legati all’associazione Scienza & Vita. Nessun
manifesto. Camionetta della polizia e agenti in borghese dentro e fuori il
chiostro. Nessuno che sappia dove sia l'incontro. Qualcuno si sbottona: “siete
in anticipo”, ma mancano sì e no cinque minuti. Dopo almeno quattro tentativi,
finalmente capiamo qual è la sala, ci avviciniamo e chiediamo, i due gorilla
sulla soglia fingono di non sapere, ci scrutano, intuiscono che siamo pacifici
– non so quanto sia merito dell’abito clericale – e ci fanno accedere. Dietro
la porta altri quattro ci squadrano. Si fanno dei cenni: possiamo passare. “Non
ci aspettavamo questa sorveglianza, forse hanno ricevuto delle segnalazioni” ci
confida il prof. Marco Invernizzi, responsabile di Alleanza Cattolica per la
Lombardia e il Veneto, tra gli organizzatori della serata. In effetti non si
registra alcuna protesta, ma il fatto basta a dire del clima di pressione cui
sono sottoposte certe categorie: gli omosessuali contrari alle lobby gay anzitutto,
ma anche tutte le associazioni che lavorano a loro sostegno, alcune delle quali
presenti in sala: Operazione Chaire; i responsabili del gruppo AGAPO (Associazione genitori amici persone
omosessuali); il dottor Giancarlo Ricci; rappresentanti delle Sentinelle in
Piedi, e appunto Alleanza Cattolica (promotrice della conferenza insieme ad
Operazione Chaire).
Ma a scioccarmi davvero,
come anticipavo, sono proprio le parole di Philippe. Non nego di essermi
infilato in sala alla ricerca di qualche strategia da spendere in risposta al
dilagante Effetto Scalfarotto, e
invece ho raccolto una splendida testimonianza circa la ricchezza personale di
un uomo. Un uomo prima che un omosessuale. Un uomo capace di nominare quella
ferita che lo accompagna continuamente circa la sua identificazione sessuale.
Un uomo pacificato: non dall’accettazione disinibita delle proprie pulsioni
affettive (a suo dire insoddisfacibili), bensì rigenerato da un impegno di vita
casto secondo i consigli prudenti della Chiesa Cattolica.
Non vado oltre, ma prometto
a Redazione e affezionati di C&dM una prossima recensione di “Omosessualità
Controcorrente”, l’ultimo libro di Ariño. Si annuncia un bel testo, a partire
dalle dediche: “A Benedictus (il mio nonno del Cielo e della terra)”. Benedictus è Benedetto XVI, il Papa
della carità nella verità. Ed è proprio così che ci salutiamo io e Philippe, un
abbraccio, una foto e un autografo personalizzato: “Caro Marco, pas de Charité
sans Vérité!” E mi ha stupito questa frase. Mentre le militanze gay si ostinano
a strumentalizzare le dichiarazioni di Papa Francesco circa la “misericordia” o
il “chi sono io per giudicare”, Philippe chiede proprio un giudizio, perché
l’omosessuale - come ogni persona - “ha
bisogno di qualcuno che gli dica la verità” circa se stesso, circa la Vocazione
cui è chiamato. Da lì può nascere la carità! Per questo la serata culmina in un
appello agli omosessuali eventualmente presenti: “Usate la vostra omosessualità come motore verso la santità a servizio di
qualcosa di grande. Nessuna ferita è inutile, dunque utilizzatela. Ciò vi
permetterà di donarvi e quindi di essere felici”.
Pubblicato il 19 maggio 2014
Onore al camerata (don) Marco!
RispondiEliminaEMR
don Marco B.... hmm... non ha un cognome?
RispondiElimina(anticipo la risposta, sì sono anonimo, ma io non mi arrogo il diritto di pontificare su internet)
In compenso si arroga il diritto di rompere i c.oni.
RispondiEliminaPaolo Maria Filipazzi (Nome, secondo nome e cognome: contento?)
rompere i coni? e che sono un gelataio?
Eliminaora che so il tuo nome, secondo nome e cognome, posso sapere anche quello di don Marco B? sai, uno che si firma pure con il "don" in modo da dare una parvenza di autorità ecclesiastica ai suoi scritti potrebbe avere la decenza di scrivere il proprio cognome...
Ed uno che intima ad un altro di tirare fuori le generalità potrebbe iniziare a dare le sue, così, per non cadere nel ridicolo...
RispondiEliminaPMF
e tu potresti leggere quello che ho già scritto:
Elimina"(anticipo la risposta, sì sono anonimo, ma io non mi arrogo il diritto di pontificare su internet)"
ok, svolto anche questo servizio, si può sapere per cosa sta il "B."?