di Giorgio Mariano
Dopo
i vagiti, le prime parole che un bimbo pronuncia goffamente sono “mamma” e
“papà” o “babbo”. Un titolo non solo qualificativo ma anche affettuoso che dà
sicurezza, che esprime identità e in qualche modo comunica al bambino il senso di
protezione proprio della figura paterna, e quello di accoglienza che
caratterizza la figura materna. Le parole, infatti, non sono puro “flatus vocis” ma indicano una ben
precisa realtà e se non esistesse una qualche forma di identità tra parola e
realtà la comunicazione sarebbe impossibile, come la scienza d’altronde.
Ora
la neo-ministra Cécile Kyenge si è detta d’accordo a eliminare le parole
“padre” e “madre” dal nostro ordinamento giuridico per rendere “istituzionale”
la dicitura “genitore 1” e “genitore 2”, quasi che la distinzione che la natura
ci propone con evidenza possa essere oggetto di manipolazione verbale da parte
dello Stato. L’operazione, sotto la veste di tutela delle “pari opportunità” e
contro le “discriminazioni” di genere, risulta artificiale e artificiosa e con
l’unico effetto di sferzare un ulteriore colpo alla famiglia naturale. Non è
colpa di nessuno, in fondo, se per mettere al mondo un figlio, gira che ti
rigira, ci vogliono un maschio e una femmina, un papà e una mamma. Anche se
frutto di inseminazione artificiale o di esperimenti in laboratorio, per avere
un figlio sono sempre e comunque necessari una componente maschile (lo
spermatozoo) e una componente femminile (l’ovulo). Nonostante si cambino i
nomi, la realtà non cambia. Non esiste essere umano al mondo che non sia figlio
di un papà e figlio di una mamma, anche se sconosciuti perché hanno donato il
seme e l’utero in affitto. Già lo vedo scritto sulla torta di compleanno al
posto del tradizionale “Tanti Auguri Mamma”, o “Sei la Mamma migliore del
mondo”, o “Ti vogliamo bene Mamma”, il tristissimo ma democratico “Ti voglio
bene Genitore 1”. A proposito: chi stabilisce chi sia il genitore numero 1 o il
2? No perché a me sinceramente darebbe alquanto fastidio essere al secondo
posto, anche solo per una questione di par
condicio. Lo troverei piuttosto “discriminante” e antidemocratico, perciò,
per evitare fastidiose complicazioni, forse sarebbe meglio mantenere i
tradizionali “mamma” e “papà” i quali, se non altro, non discriminano i diretti
interessati ma dicono soltanto diversità e, di conseguenza, complementarietà.
Se
ci si sente discriminati nella propria identità sessuale la quale non si è
formata in un secondo momento della nostra esistenza, ma è presente con noi e
in noi sin dal concepimento caratterizzando il nostro essere in ogni nostra
cellula, forse significa che si è in conflitto con la natura stessa e non si
vuole accettare la realtà. Lo stesso sarebbe se ci sentissimo discriminati per
il colore dei capelli, degli occhi o della pelle, e volessimo che lo Stato
sancisse il nostro diritto a non essere “definiti”, approvando, per noi, una
legge ad hoc in cui veniamo
riconosciuti tutti “diversamente colorati” e non, quello castano con gli occhi
marroni e quest’altro biondo con gli occhi azzurri. Un livellamento, questo,
che ha in odio la realtà e che con l’espediente nominalista tenta di cambiare
l’essenza delle cose. Malgrado alcuni in nome di una presunta libertà vadano rivendicando
diritti sulla natura stessa, il tentativo appare grottesco e quantomeno
irrazionale. In definitiva, ciò che non
sembra voler essere accettato è il limite intrinseco all’esistenza dell’uomo, il
quale non si è fabbricato da sé. Noi tutti, infatti, dipendiamo nell’essere da
altri che hanno deciso al nostro posto e ci hanno determinato all’esistenza
senza chiederci alcun permesso, tuttavia ci hanno fatto il dono più grande: la
Vita. Non c’è vita che per quanto travagliata o sofferta non sia in se stessa
un bene assoluto poiché, l’essere è più che il non-essere, e esistere è meglio
che non esistere. Perciò, grazie Mamma e Papà per la vita che ci avete donato, pur
con tutti i vostri limiti e difetti; anche se siete stati distanti o del tutto
assenti, ma comunque ci avete permesso di vedere la luce e riconoscerci come
una realtà donata e del tutto gratuita.
E
non preoccupatevi, anche se un governo, che oggi c’è e domani è già scomparso
nella nebbia, ci imponesse di chiamarvi numeri 1 e 2, o lettere A e B, o con un
codice alfanumerico che tanto ci ricorda quegli sventurati detenuti dei gulag e
dei lager, senza volto, senza nome, senza identità, resi forzosamente “uguali”
dai capelli rasati a zero, senza apparenti “differenze”, noi continueremo a
chiamarvi come la natura umilmente ci suggerisce: Mamma e Papà.
We
love you Mama!
Pubblicato il 06 settembre 2013
.....non discriminano i diretti interessati ma dicono soltanto diversità e, di conseguenza, complementarietà.....
RispondiEliminaE poi sarebbero entrambi il n.1
Esattamente! Sono entrambi il numero 1, ossia UNA madre e UN padre. Ognuno ha il suo compito e il suo primato poiché sono diversi e non sovrapponibili né interscambiabili.
RispondiEliminagrande articolo. c'è ancora qualcuno che reagisce alla subdola cultura d'oggigiorno, il che è rassicurante
RispondiEliminaGià mi vedo qualche signora commossa fino alle lacrime, con il pupo in braccio, dire a destra e a manca, a marito, parenti e amiche: "Oggi Carletto ha detto per la prima volta Genitore 2!!". Si dice in napoletano: "Ma facciteme 'o piacere!!!".
RispondiEliminaTommaso Pellegrino - Tommaso