Come tutti sanno, Papa Francesco ha recentemente inviato una lunga lettera
al fondatore del quotidiano, laicista, borghese e anti-cattolico, La Repubblica. Eugenio Scalfari infatti,
già prolisso autore delle proprie memorie (intitolate L’uomo che non credeva in Dio), si era rivolto direttamente al
Pontefice dalle colonne del suo giornale, il 7 luglio e il 7 agosto 2013. L’Osservatore Romano del 12 settembre fa
stato di questo scambio epistolare: riporta per intero la lunga lettera del
Pontefice (p. 6), ne offre alcuni brevi commenti con titoli significativi e
altisonanti “Scandalosamente affascinante” e “Stile cristiano” (p. 6) e la
introduce con l’editoriale del direttore stesso, Giovanni Maria Vian, “Papa
Francesco e la data del battesimo” (p. 1).
Alcune affermazioni del Pontefice lasciano perplessi ed è il tono
particolarmente pacato e affettuoso della missiva che ha colpito i più. Il
quotidiano fondato da Scalfari negli anni ’70 non è soltanto un giornale laico
e a-cristiano, come lo sono in gran parte i giornali e le gazzette che si
pubblicano in Italia e all’estero. Ma è, fin dall’inizio e con un crescendo
inarrestabile negli ultimi anni, la principale voce dell’anticlericalismo
italiano (tra i tanti articoli, cf. F. Agnoli, Repubblica, la corazzata
nichilista, su Il Timone, n. 78,
dicembre 2008).
Tutte le affermazioni del Magistero della Chiesa vengono contrastate da
quel quotidiano, specialmente quelle che hanno per tema la visione bioetica e
morale conforme ai principi del Vangelo. Si badi bene che queste contestazioni
non sono delle mere espressioni di ribellismo anarchico infantile: la Chiesa
difende l’umanità degli embrioni, Repubblica
propone l’olocausto dei bambini e l’allargamento massimo del loro sterminio.
Non si sta semplicemente parlando di IMU sulle chiese cattoliche, di 8x1000 o
della presenza del crocifisso nelle scuole pubbliche!
Il rischio della missiva pontificia, evidentemente destinata ad essere
diffusa dal quotidiano, è quello di relativizzare le differenze tra noi
cattolici e i militanti anticristiani della sinistra, facendo intendere che
in fondo in fondo, se si omettono un po’ di elementi dottrinali antichi (e superabili)
siamo tutti quanti nella stessa barca e nella stessa lotta per la difesa
dell’uomo e dei suoi diritti. Proprio in questo modo la lettera è stata
recepita dai commentatori dell’Osservatore
che scrivono queste toccanti parole: “Solo un paradosso della storia e un
dormiveglia dei credenti ha circondato il messaggio di Gesù di lontananza dalla
vita quotidiana, facendolo apparire ostile alla libertà di coscienza e di
pensiero”; “La lettera, prima dei pensieri che contiene, è un gesto che
conferma quale possa essere uno stile appropriato del vivere da cristiani nel
nostro tempo, superando inutili fortini ideologici, consolidati negli anni
pensando perfino di fare cosa gradita a Dio”; il quale invece preferirebbe il
relativismo e il dubbio eretto a principio.
Ma questo rischio di tolleranza del relativismo sarebbe di vero scandalo
per i lettori della Repubblica che si
sentirebbero confermati dal Papa nel loro ateismo e nel loro laicismo (con la
legittimazione delle loro idee perverse sulle nozze gay, la contraccezione, il
diritto all’aborto e al divorzio, il femminismo e le altre porcherie che
conosciamo). E lo scandalo toccherebbe anche e soprattutto le persone semplici
del popolo di Dio, tanto amate dal Pontefice, le quali potrebbero dirsi: ma se
il Papa non rimprovera gli atei, allora Dio esiste? E poi non credere in Lui,
come fa Scalfari, è proprio così grave?
Purtroppo all’interno della lettera ci sono dei passaggi che ci paiono non
del tutto chiari e con spirito di carità e di misericordia verso gli ultimi,
nell’obbedienza alla Chiesa, vorremmo cercare di chiarirli ai lettori.
La Lettera si apre con un formale
“Pregiatissimo Dottor Scalfari” e si chiude con un affettuoso “Con fraterna
vicinanza”. Ora, se è vero che Gesù dialogava con prostitute e peccatori, è
anche vero che alla bisogna il Maestro parlava di “razza di vipere”, “sepolcri
imbiancati”, “farisei ipocriti”, minacciando castighi e condanne per gli iniqui
(esempi innumerevoli nei 4 Vangeli). Scalfari sarebbe meglio rappresentato
dalla Maddalena contrita e penitente, o dall’assassino Erode, o dal traditore
Giuda, o dal vile Pilato? Lasciamo al lettore il giudizio. Secondo Papa
Francesco, il dialogo costituisce “uno degli obiettivi principali del Concilio
Vaticano II”. Questa idea, in sé e per sé, lascia perplessi. Paolo VI diceva
che la Lumen gentium, la Costituzione
dogmatica sulla Chiesa era la “Magna Carta” del Concilio il quale dunque in
primis aveva come scopo la riflessione sulla Chiesa per un rinnovamento dell’ecclesiologia
cattolica. Il dialogo, visto come obiettivo principale di un Concilio, sembra
significare il passaggio del dialogo da “mezzo” a “fine e scopo in sé”. Il
mezzo, ovvero il dialogo, diventa così più importante dei contenuti, ovvero
della dottrina di Cristo. Ma questo è accettabile? Oppure abbiamo mal
interpretato il passo?
Papa Francesco nota poi che “tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione
cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’ispirazione illuminista,
dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità”. Ma questo non sembra
storicamente attendibile. I principali pensatori della modernità infatti, citiamone
alcuni alla rinfusa quali simboli dell’illuminismo e del post-illuminismo, come
Rousseau, Voltaire, Kant, Nietsche e Heidegger, conoscevano bene la cultura
cristiana, solo che non ne furono affatto persuasi. E d’altra parte i critici
cattolici della modernità, Pontefici e teologi in primis, conoscevano benissimo
l’illuminismo e le sue convinzioni, e proprio per questa loro conoscenza ne
videro tutte le ambiguità e i pericoli. Non è che ci sia incomunicabilità tra le due culture, neppure a livello popolare –
tutti i cattolici hanno oggi amici e parenti che si trovano, purtroppo, sotto
l’influenza dell’illuminismo – ma il fatto è che c’è una incompatibilità assoluta. E questa incompatibilità tra chi fonda la
vita, l’universo e la società su Dio e chi sull’io, ci sarà sempre, al di là
dei possibili sofismi della teologia contemporanea e del pensiero debole.
Faccio notare che gli illuministi classici erano di norma teisti o deisti, e
coniugavano (assurdamente) l’anticlericalismo con la credenza in Dio. I
neo-illuministi alla Scalfari sono di molto peggiori dei primi: essi infatti
più che semplicemente atei sono “teofobi” e anticristiani, e rigettano
interamente la legge naturale, in molti punti mantenuta dai vari Rousseau e
Montesquieu.
Il Papa poi riprende un’espressione dall’enciclica Lumen fidei in cui si afferma che “la fede non è intransigente, ma
cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante, la
verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci
abbraccia e ci possiede”. La fede però non può ammettere l’errore e neppure la
deviazione e il Papa molte volte in questi mesi ha criticato i cristiani tiepidi, i cristiani
trionfalisti, i cristiani inamidati,
i cristiani timorosi, etc. Come ha
potuto farlo se non perché la fede ci indica un modo corretto di pensare e di
vivere? E chi si oppone a quel modo, certamente sbaglia e si allontana dalla
verità. Avere la fede è anche un’espressione biblica, evangelica e magisteriale. Chi ha la fede poi la
possiede anche, perché avere e possedere sono in questo caso del tutto
sinonimi. La verità ci possiede, è vero, ma solo se anche noi la possediamo,
altrimenti nella fede non ci sarebbe libertà e Dio ci farebbe violenza.
Secondo Papa Bergoglio, nel dialogo che ha con l’ateo Scalfari, e in
generale nel dialogo tra credenti e miscredenti, “occorre confrontarsi con
Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è
narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco”. Non entro
volutamente nelle interminabili diatribe esegetiche, ricordando solo di
passaggio che per vari esperti il Vangelo di Marco non è stato redatto dal
Marco della Tradizione e che il Vangelo più antico non sarebbe Marco, ma Matteo
(cf. i detti matteani, poi ampliati in veste narrativa). Perché mai, non
capisco, questa antichità sarebbe così importante? Quello che è determinate è
il criterio de fide dell’ispirazione
che garantisce il testo e non i secondari criteri storico-letterari di
composizione e di datazione. O sbaglio? Altrimenti un testo tardivo come il
Vangelo di Giovanni farebbe meno autorità degli altri, il che è palesemente
assurdo.
Poi il Papa propone, a partire da Marco, alcuni commenti sull’autorità di
Gesù, “un’autorità diversa da quella del mondo, un’autorità che non è
finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro
libertà e pienezza di vita”. Facciamo attenzione a non dare l’idea che ogni
autorità sia in sé malvagia e nociva,
poiché secondo il Nuovo Testamento “ogni autorità viene da Dio”. E inoltre abolire o
diluire ogni autorità (politica, sociale, familiare, ecclesiale…) significa
prima l’anarchia, e poi la tirannia del più violento. E neppure il “potere
sugli altri” è in sé peccaminoso, altrimenti il più cattivo degli esseri
sarebbe il più potente, cioè il Creatore del mondo.
Secondo il Pontefice, che cita Tertulliano, caro cardo salutis, ovvero “nell’incarnazione del Figlio di Dio”
c’è il “cardine della fede cristiana”. Giustissimo. Però se non si crede in Dio
è difficile poi ammettere che Dio “sia venuto nella nostra carne e abbia
condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza”, come
sottolinea Bergoglio. Gli Ebrei del tempo credevano in Dio e quelli che hanno
accolto Cristo hanno capito che Dio, in cui già credevano, era venuto sulla
terra per salvarci e darci la vita eterna. Ma se si nega recisamente Dio in
quanto impossibile e assurdo, come fanno Scalfari e i neo-illuministi (alla
Odifreddi per intenderci), come si fa ad affascinarsi all’idea che Dio si sia
fatto uomo come noi? Noi non lo capiamo.
“Ognuno di noi, per questo [cioè per l’amore che Dio ha dimostrato agli
uomini incarnandosi e morendo per noi], è chiamato a far suo lo sguardo e la
scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di
agire”. Eccellente auspicio, non c’è che dire. Il problema però resta. I
neo-illuministi infatti negano l’esistenza di Dio; negano la veridicità storica
dell’evento Cristo (negando per lo meno i miracoli e la resurrezione),
riducendolo ad un profeta tra molti; negano l’affidabilità del Vangelo e della
Chiesa; negano infine il valore dei 7 sacramenti, la spiritualità dell’anima e
la vita eterna. Come possono dunque, senza correzione di rotta a 360 gradi – che nella Lettera parrebbe non richiesta –
“entrare nel modo di essere” di Gesù?
Quel Gesù di cui ignorano tutto, nei casi più gravi perfino l’esistenza?
Citando Scalfari, il Pontefice spiega l’originalità del cristianesimo
“rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta
di Dio”. Ma la dichiarazione Dominus
Iesus (pubblicata sotto Giovanni Paolo II nel 2000) afferma che una sola è
la fede e che non si può parlare di altre
fedi, bensì di “credenze”. Anche noi cristiani poi crediamo “alla
trascendenza assoluta di Dio” e questo non può discutersi da parte di nessuno.
Si ricorda infine la “distinzione [che non è mai separazione assoluta] tra
la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel ‘dare a Dio quel che è
di Dio e a Cesare quel che è di Cesare’”. Secondo il Papa è proprio su questa
distinzione, che “faticosamente, si è costruita la storia dell’Occidente”. La
fatica in questione è derivata dal Magistero plurisecolare dei Sommi Pontefici
che hanno sempre ribadito la necessaria subordinazione dello Stato alla Chiesa,
della ragione alla fede, e della legge civile alla legge morale, oppure dagli
oppositori del Magistero? La repubblica che piace al fondatore di Repubblica ammette per esempio leggi
anti-umane come la 194, la legge sul divorzio e presto, forse, la legge che
legalizzerà l’omosessualità, perseguitando i cattolici per omofobia. Questo Stato
moderno è accettabile o no? Il Papa avrebbe potuto fare maggior chiarezza in
proposito, visto che la massa dei battezzati– che ha votato negli anni ’70 in
favore del divorzio e dell’aborto – crede che le cose vadano bene così come
sono, alla luce del progresso storico e di quello teologico, che sarebbe
iniziato col Concilio.
Scalfari si chiedeva nella sua prima lettera al Papa se la promessa fatta
da Dio agli ebrei fosse andata a vuoto o no. Strano interrogativo per un
intellettuale che si dichiara ateo da una vita. Secondo il Papa, si tratta di
“un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché con
l’aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo
riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è
germinato Gesù”. Gesù però è nato 2000 anni fa ed è nato dal popolo ebreo non
di oggi, ma di allora. E il popolo ebreo di oggi, salvo sante eccezioni, non
accetta Gesù, né come Dio, né come profeta. Dio quindi, le cui promesse sono
indelebili, opererà con tutti, ebrei inclusi, secondo quanto ha detto una volta
per sempre: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. Ma chi non crederà sarà
condannato”.
Il Papa ribadisce in conclusione un postulato della fede cattolica,
scrivendo: “Certo, la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel
poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è
tra due realtà. Dio […] non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero
dell’uomo. Dio è la realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela […] come un
Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende dunque, dal nostro
pensiero”.
Ma la Chiesa di Cristo, secondo il Pontefice, presenta “lentezze”,
“infedeltà” ed “errori”, “in coloro che la compongono”: e tutti, dall’ultimo
dei fedeli sino al Papa, facciamo parte della Chiesa…
Pubblicato il 18 settembre 2013
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