Già il termine in sé,
“femminicidio”, non è propriamente lusinghiero. Si poteva almeno propendere per
“donnicidio”, sottolineando così un dato che va ben oltre l’appartenenza
biologica al genere femminile e che peraltro ci differenzia dagli animali.
Tuttavia, nel momento in cui si dice “donna” si sottende implicitamente a
“maternità” (fisica o spirituale), ad “accoglienza”, alla capacità di
“prendersi cura di” e a molte altre prerogative proprie dell’essere donna che nella società attuale
vengono sempre più relegate nel dimenticatoio. Sono cose d’altri tempi,
flagelli di una società maschilista e retrograda. Molto meglio per le “femmine”
di oggi pensare alla carriera, a divertirsi con vari partners e al mantenimento di un corpo perfetto: salvo poi
ritrovarsi a quarant’anni a rimpiangere il figlio che non si è avuto e
ricorrere alla fecondazione artificiale (meglio se eterologa). Gianna Nannini docet.
Chiarito questo primo aspetto
terminologico e più ampiamente sociologico, vediamo di analizzare la sostanza
del fenomeno, che guarda caso si presenta assai differente da come la Rai o il Corriere della Sera di turno dipingono con toni tragici ed
esacerbati.
Il 30 dicembre 2012 Riccardo Cascioli
scriveva sulle colonne de La Nuova
Bussola Quotidiana: “Contrariamente a quanto si
sarebbe portati a pensare, gli omicidi nei confronti delle donne sono in
diminuzione, almeno a quanto affermano i dati dell’Istat: in questo 2012 le vittime femminili alla fine supereranno di
poco le 120 unità, ma nel 2010 erano state uccise 156 donne, 172 nel 2009 e ben
192 nel 2003, che rappresenta il picco degli ultimi dieci anni. Rispetto al
totale degli omicidi le vittime donne rappresentano circa il 30%. Sia ben
chiaro, anche un solo omicidio sarebbe già troppo e intollerabile, però è bene
guardare la realtà per quello che è”.
In termini assoluti, dunque, gli
omicidi nei confronti delle donne stanno diminuendo.
A questo punto, sorge spontaneo
un interrogativo: a che pro
falsificare i dati di realtà e fomentare nelle donne un insano timore nei
confronti degli uomini? Qual è l’obiettivo nascosto di coloro che indirizzano l’opinione
pubblica? Un’ipotesi sempre più convincente,
già avanzata da opinionisti assai più qualificati di me, è che il fine ultimo
sia quello di distruggere la famiglia. Scriveva Tommaso Scandroglio qualche
mese fa: “Dietro il femmincidio pare che occhieggi
un’ideologia individualista e anti-familista, dove il marito, il padre e i
fratelli di loro – perché maschi – sono potenziali nemici da cui difendersi. In
breve: il femminicidio potrebbe rivelarsi alla lunga una sofistica arma per il
familicidio”.
Nel concludere, è
doveroso accennare ad un fenomeno spesso dimenticato, che ha per protagoniste
tante piccole bambine. Tutte quelle bambine che, esclusivamente in virtù
dell’appartenenza biologica al sesso femminile, vengono uccise nel grembo
materno. Al giorno d’oggi in Cina, in Canada, ma anche nella civilissima Europa
essere donna costituisce un parametro discriminante nella decisione circa chi è
degno o meno di venire al mondo.
Basti sapere che dall’introduzione della legge 194 in Italia, il 22 maggio
1978, sono state soppresse legalmente tre milioni di bambine.
Il fiocco rosa va meno di moda di
quello azzurro, ma di questo nessuno ne parla. L’argomento è tabù, l’omertà può
segnare un altro punto a proprio favore.
Pubblicato il 04 giugno 2013
http://eliopaoloni.jimdo.com/2013/04/08/l-invenzione-del-femminicidio/
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