Il 28 marzo 2013 è stato proclamato che l’uccisione del Servo di Dio Rolando Rivi, di cui oggi ricorre l'anniversario della morte, è avvenuta in odium fidei. Si è trattato quindi di un vero e proprio martirio e, come tale, egli potrà essere beatificato, senza bisogno di un miracolo compiuto per sua intercessione. Insieme a lui, decine di altri martiri del Novecento, vittime del nazionalsocialismo (come Giuseppe Girotti) o del comunismo in Spagna e nell’Europa Orientale[1].
In
breve, i fatti: Rolando Rivi era un seminarista quattordicenne di S. Valentino
di Castellarano, sempre riconoscibile poiché già indossava l’abito talare,
avendo iniziato il seminario minore a Marola. Dopo la chiusura forzata di
questo, a causa degli eventi bellici, era tornato a casa, continuando ad essere
attivo nella parrocchia e a testimoniare la fede in Dio e nella Chiesa,
nonostante il crescente anticlericalismo mostrato dai comunisti. Il 10 aprile
1945, mentre ormai iniziava l’offensiva finale alleata, il ragazzo fu
sequestrato per tre giorni da una banda di partigiani comunisti, i quali
tentarono di spingerlo all’abiura, ordinandogli di sputare su un Crocifisso.
Poiché il giovane non cedeva, lo torturarono, seviziarono e, infine,
trucidarono con due colpi di pistola, alle ore 15 di venerdì 13 aprile. Della
sua talare fecero un pallone con cui giocare a calcio. Il corpo fu ritrovato
dal padre e dal parroco in un bosco presso Piane di Monchio[2]. I colpevoli, Delciso
Rioli e Giuseppe Corghi, furono condannati nel 1952 a 23 anni di carcere, ma
beneficiarono di una parziale amnistia.
Questo
fatto solleva tre importanti riflessioni: la prima sta nel fatto che la sua
storia ci ricorda che la santità è per tutti, indipendentemente dall’età, come
mostrano altri fulgidi esempi di santi adolescenti come San Domenico Savio e
Santa Maria Goretti. Se dunque Dio si è degnato di accogliere a Sé dei giovani
che, nel loro piccolo e pure nella tragicità di certi eventi, hanno saputo
comunque testimoniare fino in fondo la Fede in Cristo, a maggior ragione noi
ormai adulti e dotati di ben altri sussidi, sia materiali che spirituali, non
abbiamo alcuna scusa per resistere alla chiamata alla santità che Cristo pone a
tutti gli uomini.
La
seconda sta nella nobile testimonianza che un ragazzino come Rivi ha saputo
dare riguardo all’abito sacerdotale. Oggi che ormai la stragrande maggioranza
dei sacerdoti portano al più il clergyman,
e gli stessi seminaristi maggiori sono scoraggiati dall’indossare l’abito
talare, non è irrilevante ribadire l’ennesimo esempio di chi quell’abito, come
segno di vocazione sacerdotale e di distinzione sociale, lo seppe portare fino
al martirio e alla morte. La luminosa figura del Servo di Dio Rolando Rivi si
staglia contro ogni annacquamento della dignità del sacerdote, visibile anche
nei suoi tratti esteriori, come appunto l’abito, sia questo imposto da una
legislazione laicista o, più frequentemente, dal lassismo individuale e
collettivo.
La
terza riflessione è di carattere storico, invece, e si colloca nel quadro dei
rapporti tra la Chiesa e il comunismo. Il caso di Rolando Rivi non è affatto
isolato, ma è uno dei numerosi sacerdoti assassinati dalle forze partigiane
comuniste durante la guerra civile del ’43-’45 (e i cui strascichi si
prolungarono ben oltre la fine della guerra mondiale). Se si guarda alla
geografia di questi tragici assassinii, essi si concentrano soprattutto nella
Venezia Giulia, ossia dove i comunisti italiani erano asserviti al genocida
espansionismo jugoslavo, e nell’Emilia-Romagna, ossia dove maggior peso
politico avevano le formazioni partigiane comuniste. Il libro “Storia dei preti
uccisi dai partigiani” di Roberto Beretta, riporta fedelmente 129 di questi
casi, da quelli, magari più controversi, in cui il sacerdote assassinato aveva
effettivamente avuto rapporti con il fascismo, come don Carlo Terenziano, a
quelli in cui la vittima aveva prestato assistenza ai deportati, come la
M.O.V.C. don Francesco Venturelli. Alcuni di questi, come il Beato Francesco
Bonifacio, massacrato e infoibato dai titini, sono stati già canonizzati.
Risulta
perciò evidente come la questione esuli dal pur violento scontro politico e
ideologico tra fascisti e antifascisti, o della lotta di liberazione contro
l’occupazione militare tedesca, che entrambe mieterono pure numerose vittime
tra i sacerdoti, si pensi al caso, rispettivamente, di Don Minzoni, vittima
dello squadrismo, e di Don Giuseppe Morosini, fucilato alle Fosse Ardeatine.
Rivi, che pare avesse simpatie per i partigiani cattolici, e gli altri martiri
furono massacrati a causa della loro Fede e della loro condizione sacerdotale,
da parte di quelle frange comuniste dichiaratamente anti-cristiane. In Italia
si trattò di casi minoritari, non paragonabili alla Spagna repubblicana, dove
furono martirizzati oltre 6000 religiosi, o al Messico radicale, o alla Francia
rivoluzionaria, o ancora all’Unione Sovietica, ma la matrice di questi crimini
è la medesima.
Nel
nostro Paese, però, prevalse una linea di conciliazione del comunismo verso la
religione cattolica, sia per convenienza, vista la grande influenza che ancora
esercitava la Chiesa Cattolica in Italia, sia per intima convinzione di
numerosi militanti comunisti, che in buona fede ritenevano conciliabili la via
italiana al socialismo – che, all’atto pratico, per come questo trovò sfogo nel
PCI, fu essenzialmente una socialdemocrazia – e il messaggio evangelico di
giustizia sociale. Tuttavia, sul caso di Rivi, come di altri, la posizione
dell’ANPI e della sinistra radicale resta ai limiti del negazionismo[3]: «pur
avendo avuto un ruolo nelle formazioni partigiane della zona, commisero un
reato di delinquenza comune e non furono spinti da ragioni ideologiche come si
vorrebbe far intendere.»
Questo rifiuto di ammettere gli errori e i crimini compiuti dalla cosiddetta
Resistenza e l’insistenza nel continuare a mantenere aperte le ferite
perpetuando una logica da guerra civile sono da settant’anni il modus operandi
dell’antifascismo militante. È perciò a questo antifascismo ideologico ed
acritico, macchiato del sangue di migliaia di Italiani, tra cui decine di
sacerdoti, che i cattolici – anche quelli fortemente critici verso il fascismo
–, non possono che opporre un netto rifiuto.
[1]
http://attualita.vatican.va/sala-stampa/bollettino/2013/03/28/news/30696.html
[2]
http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri69.htm
[3]
http://emilia-romagna.anpi.it/modena/archivio_res/febbraio_09/art_14_02_09.htm

Avviso ai naviganti: non saranno ancora tollerati commenti di tenore giustificazionista sull'assassinio di un seminarista di 14 anni, come quelli che ho appena cancellato. Andate a dare prova della vostra abiezione fuori di qui, grazie.
RispondiEliminaMM
continuo a dire che bisognerebbe obbligare i commentatori a firmarsi con il profilo di facebook. In questo modo tanti leoni da tastiera finirebbero di nascondersi nell'anonimato
EliminaOnore al camerata Virga!
RispondiEliminaMi piacerebbe sapere in che termini abbiano potuto sostenere un discorso apologetico dei cani in questione.
RispondiElimina