
Abbiamo richiamato questa
importante manifestazione per presentare la
traduzione in lingua italiana di “Quello che spesso si dimentica di dire –
Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione” (Cultura Cattolica &
Salomone Belforte & C., 2013, 10 euro), a firma del Gran
Rabbino di Francia Gilles Bernheim, pubblicato in Italia in un’edizione
arricchita dagli autorevoli interventi di Mons. Negri, di Giorgio Israel e del
rabbino Alberto Moshe Somekh.
Nel saggio Bernheim chiarisce fin
dall’introduzione come sia di «massima
importanza esplicitare la vera posta in gioco legata alla negazione della
differenza sessuale» (op. cit., p. 19) e mette altresì in evidenza
gli effetti negativi che l’introduzione del matrimonio omosessuale
provocherebbe nella società, come ad esempio «il rischio irreversibile di
una confutazione di genealogie, di norme (il bambino-soggetto, diventa
bambino-oggetto) e di identità» (p. 21).
Nella prima parte del saggio,
sulla base di argomentazioni razionali, il Gran Rabbino di Francia analizza
otto argomentazioni avanzate dai sostenitori del matrimonio omosessuale e ne
propone una puntuale confutazione.
Gli omosessuali sono vittime di discriminazione?
Assolutamente no, afferma Bernheim: infatti, «il matrimonio non è unicamente
il riconoscimento di un amore. È l’istituzione dell’alleanza dell’uomo e della
donna con la successione delle generazioni. È l’istituzione di una
famiglia, cioè di una cellula che crea una relazione di filiazione diretta fra
i suoi membri. Oltre alla vita comune di due persone, organizza la vita di una
Comunità composta di discendenti e di ascendenti» (p. 24).
Inoltre, a chi avanza pretese in
nome della protezione del coniuge, il Gran Rabbino non esita a rispondere che
la legge francese fornisce già tutele in tal senso e che, ad ogni modo, «la
protezione del coniuge non può essere sufficiente a mettere in discussione
l’istituzione del matrimonio» (p. 28).
Riguardo l’omogenitorialità,
Bernheim sottolinea come per essere
genitori non sia sufficiente donare amore ad un bambino, bensì sia necessario
essere in grado di offrirgli «una genealogia chiara e coerente per posizionarsi
come individuo» (p. 29). Essere genitori non è un
diritto, non lo è per gli eterosessuali (si pensi ai casi di sterilità, oppure
ai tentativi di adozione che non conseguono l’esito sperato), quindi secondo
quale criterio dovrebbe esserlo per gli omosessuali?
È vero che già oggi sono molti i
bambini figli di una coppia omosessuale, così come sono tanti i bambini in
attesa di adozione. Queste due constatazioni, tuttavia, non sono di per sé
bastanti per legittimare l’introduzione del matrimonio omosessuale e il
permesso di adottare: da un lato perché il dato di realtà non crea diritto;
dall’altra, in quanto – chiosa con limpidezza il Gran Rabbino – «l’adozione
c’è per dare una famiglia al bambino, non viceversa» (p. 37).
Infine, Bernheim evidenzia come i
numeri inerenti il matrimonio omosessuale siano assolutamente sovrastimati e,
in seconda battuta, come il tentativo di far legalizzare il matrimonio
omosessuale sia «per molti fra loro [militanti LGBT, ndr], un cavallo di Troia. Il
loro progetto è più ambizioso: la negazione di ogni differenza sessuale»
(p. 39).
Ed è proprio la negazione della connotazione sessuale
biologicamente determinata, in nome di una libera scelta del proprio
orientamento sessuale, la finalità propagandata dagli esponenti della “gender
theory” e della “queer theory”. Istanze, queste, che negano la constatazione
secondo la quale «la dualità dei sessi
appartiene alla costituzione antropologica dell’umanità» (p. 50).
L’essere creati maschio o
femmina, lungi dal costituire uno svantaggio, è invece una ricchezza che, nella
complementarietà dei sessi, spinge l’uomo e la donna ad unirsi carnalmente e
spiritualmente per diventare «una sola carne» (Gn 2,24), «a immagine
di Dio» (Gn 1, 27).
Pubblicato il 04 aprile 2013
0 commenti :
Posta un commento