Non accennano a placarsi le
polemiche provocate dall’affissione, da parte di un parroco di Lerici, di un
volantino sul c.d. “femminicidio”. Il manifesto, contro il quale si è scatenata
un’ondata di esecrazione pressoché unanime, non era in realtà farina del sacco
del sacerdote (che sembra ora in procinto di "mettere da parte" l'abito talare), ma riportava un articolo (qui
la versione integrale) comparso qualche tempo fa su Pontifex, blog su cui
abbiamo già avuto modo di esprimere le
nostre perplessità in un’altra circostanza.
Non ci dilunghiamo, dunque, sui
contenuti del testo, se non per sottolinearne l’estrema confusione. Ad
alcune affermazioni che sembrano in linea di principio condivisibili – e che
cercheremo di sviscerare più avanti – l’autore Bruno Volpe (e con lui il
parroco che ha deciso di dargli risalto) accompagna tesi del tutto sconnesse, fino alla tirata, degna
dello Scalfaro dei tempi migliori, contro gli abiti succinti e le donne
“provocatrici”, che a nostro avviso, più che essere offensiva nei confronti del
genere femminile, non coglie semplicemente il punto.
Il punto, che andrebbe denunciato
con chiarezza, è che la campagna contro il “femminicidio” non è tanto il
tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica su una reale emergenza sociale,
quanto una battaglia di stampo ideologico. Per capirlo, è sufficiente leggere
quanto affermato da una delle sue teoriche, l’antropologa messicana Marcela
Lagarde. Scrive dunque la Lagarde che “tutte le società patriarcali hanno usato
– e continuano a usare – il femminicidio come forma di punizione e controllo
sociale sulle donne”. Chiaro, no? Se il Parolisi di turno ammazza la moglie
perché vuole fornicare in pace con le sue soldatesse (o per qualsiasi altra
ragione), non si tratta del crimine di un uomo vigliacco, irrispettoso dei suoi
doveri familiari e incapace di affrontare le conseguenze delle proprie azioni e
dei propri tradimenti: è la società maschilista che punisce, attraverso la
povera Melania, l’intero universo femminile. Non fa una piega.
Come tutte le battaglie
ideologiche che si rispettino, anche quella sul femminicidio ha, del resto,
preteso di ottenere un pronto riconoscimento normativo. Le onorevoli Giulia
Bongiorno e Mara Carfagna hanno
presentato nel novembre scorso un demenziale progetto di legge, volto
proprio a introdurre una specifica aggravante (a forza di moltiplicarle, si
finirà per sminuire i crimini e depotenziare le aggravanti stesse) per questo
genere di delitti. Afferma infatti la Bongiorno che “questa violenza nasce da un
atteggiamento
discriminatorio degli uomini verso le donne: c’è un diffuso
maschilismo, gli uomini pensano di aver diritto a decidere della vita delle
donne”. Sentito, donne? Alla battaglia! E non si può dire che, in questa
cattiva società maschilista, pronta a tarpar loro le ali, le due firmatarie
della proposta non si siano fatte valere: la Bongiorno è appena diventata,
grazie alle quote rosa, membro del CdA della Juventus, mentre Mara, per meriti
che a distanza di anni continuano a sfuggirci, ha già ricoperto la carica di
ministro.
I deliri di Pontifex, dunque,
sono esattamente l’altra faccia della medaglia di tutte le chiacchiere insulse
che sentiamo fare da mesi su femminicidio e dintorni. In entrambe le
prospettive è presente un elemento di generalizzazione: in fondo, affermare che
“gli uomini – tout court – pensano di
aver diritto a decidere della vita delle donne” e per questo le ammazzano non è
molto diverso dal dire che “le donne sempre più spesso provocano e cadono
nell’arroganza”. Là dove c’era la lotta di classe, oggi campeggia il conflitto
di genere: rimane fermo il carattere falso, ideologico, mistificante di tali
costruzioni.
Basterebbe, invece, mettersi
d’accordo su un paio di cose: la violenza esiste ed è di molti tipi. Non esiste solo
quella fisica, verso la quale i “maschi” sono tendenzialmente più portati. Atti di violenza e di prevaricazione sono compiuti da
individui di entrambi i sessi, nelle situazioni e con le motivazioni più
diverse. Essi vanno condannati, sempre e comunque. Se parliamo di violenza domestica (o a sfondo "passionale", per usare un discutibile aggettivo), è tanto più vero che ci si trova di fronte ai casi più disparati,
perché proprio lì l’atto di violenza fisica, magari letale, si configura spesso
e volentieri come episodio finale di un lungo pregresso. Nessuno di noi conosce fino in fondo il contesto in cui matura un delitto: accanto all'uomo manesco che in preda alla smania di possesso si accanisce in maniera bestiale sulla sua compagna, c’è l’uomo disperato
che uccide la donna che lo ha tradito o che lo umilia da una vita, come c’è la moglie
esasperata che ammazza a coltellate il marito alcolizzato. Quello che sappiamo è che tali delitti vanno puniti, in ogni circostanza. Ma ogni gesto di prevaricazione, ogni
mancanza di rispetto, ogni venir meno ai propri doveri verso se stessi e verso
il prossimo costituisce un vulnus
all’armonia della convivenza e, direbbe Benedetto XVI, “una ferita alla pace”,
con il rischio di produrre conseguenze sempre più gravi, fino all'irreparabile. Da
questo bisognerebbe partire per risolvere almeno una parte del problema. Invece, da una parte si
criminalizza in blocco l’intero genere maschile e si fa un santino di quello
femminile, senza il minimo rispetto non tanto per gli uomini quanto per la
verità dei fatti; dall’altra si invitano le donne, senza distinzioni, a “fare
un esame di coscienza” perché, se si ostinano a girare per strada con gli hot
pants, poi non si può fare una colpa agli uomini che si arrapano e danno di matto.
Non c’è, dunque, nessuna
differenza tra i maschilisti che se la prendono con le “donne che provocano” e le femministe che colpevolizzano il maschio in quanto tale. Anzi sì, forse una: i primi trovano spazio esclusivamente su qualche sito di dubbia
credibilità e, al limite, sulle porte della chiesa di qualche parroco un po’ focoso. Le seconde, invece, imperversano su tutti i media che contano, fanno opinione,
impongono la propria neo-lingua nel dibattito pubblico e i propri temi
nell’agenda politica, costituiscono una sempre più occhiuta e orwelliana
polizia del pensiero, che si dedica a perseguire, attraverso le armi del
ricatto morale e dell’intimidazione intellettuale, chiunque si azzardi a dissentire
dal loro schema ideologico (come ha ottimamente notato la blogger di "Al di là del buco").
Chiunque si azzardi a far notare,
ad esempio, che esiste sulla faccia della Terra un vero, tragico, femminicidio,
che passa spesso e volentieri sotto silenzio: quello delle bambine asiatiche
abortite o soppresse in tenerissima età, specie in Cina e in India. Eliminate,
loro sì, per il solo fatto di essere femmine. Noi ne abbiamo già parlato, su
questo blog, recensendo il film “It’s a girl”; le femministe nostrane, nei
secoli fedeli al noto motto sulla gestione uterina, preferiscono sparare i
titoloni su “Repubblica” in occasione di qualche dramma familiare. Contente
loro.
Pubblicato il 27 dicembre 2012
Conosco personalmente Don Piero (è il parroco del paese in cui vado in vacanza da 15 anni) ed è una brava persona ed un ottimo parroco.
RispondiEliminaHa sbagliato ad appendere quel volantino e ad apostrofare il giornalista, ma non si merita sicuramente questa gogna mediatica per tutto quello che ha dato alla comunità di San Terenzo negli anni.
Certo che don Piero, nel dare del frocio al giornalista, mostra di avere un'idea molto caricaturale dell'eterosessualità, poveretto. Ad un'altra giornalista ha persino augurato di morire in un incidente, è proprio sbroccato di brutto. Come quell'altro che ha fatto il presepe con Stalin, Hitler, Augias, Odifreddi ecc.
RispondiEliminaGiusto.
RispondiEliminaQuesti nuovi inquisitori laici travestiti da progressisti, questi alfieri del piagnisteo, sono ridicoli.
Forza e Onore!