Festeggiamo oggi la
nascita del Salvatore, incarnato nel seno della Vergine Maria per la nostra
salvezza. Gesù Cristo porta a compimento la promessa anticotestamentaria e l'attesa presente nel cuore di ogni uomo non solo con la sua Incarnazione nella pienezza dei tempi, ma anche
con la sua vita terrena, il cui apice è rappresentato dal mistero pasquale:
passione, morte e risurrezione.
La pienezza della Parola divina, da tempo attesa dal popolo di Israele, risiede nel Logos crocifisso e risorto, in quella Parola che, fatta carne, viene martoriata e inchiodata al legno della croce: la nascita di Cristo principia dunque l’ultimo atto, supremo, della condiscendenza di quel Dio di Israele che, rivelatosi ad Abramo con un progetto di benedizione delle genti, mantiene la sua promessa, superandola smisuratamente nella realizzazione storica del suo progetto salvifico. La festa del Natale va quindi collocata all'interno dell’orizzonte della risurrezione, passando per il tormento della croce. In questo articolo mi vorrei soffermare sul parallelismo tra nascita e morte di Gesù Cristo, riflettendo su quella che gli studiosi chiamano teologia della croce, provando ad applicarne i criteri alla Natività.
La pienezza della Parola divina, da tempo attesa dal popolo di Israele, risiede nel Logos crocifisso e risorto, in quella Parola che, fatta carne, viene martoriata e inchiodata al legno della croce: la nascita di Cristo principia dunque l’ultimo atto, supremo, della condiscendenza di quel Dio di Israele che, rivelatosi ad Abramo con un progetto di benedizione delle genti, mantiene la sua promessa, superandola smisuratamente nella realizzazione storica del suo progetto salvifico. La festa del Natale va quindi collocata all'interno dell’orizzonte della risurrezione, passando per il tormento della croce. In questo articolo mi vorrei soffermare sul parallelismo tra nascita e morte di Gesù Cristo, riflettendo su quella che gli studiosi chiamano teologia della croce, provando ad applicarne i criteri alla Natività.
Come scrive il Santo
Padre nel suo ultimo libro, “Colui che è
stato crocifisso fuori della porta della città (cfr. Eh 13,12) è anche nato
fuori della porta della città. Questo deve farci pensare, deve rimandarci al
rovesciamento di valori che vi è nella figura di Gesù Cristo, nel suo
messaggio. Fin dalla nascita Egli non appartiene a quell'ambiente che, secondo
il mondo, è importante e potente. Ma proprio quest'uomo irrilevante e senza
potere si rivela come il veramente Potente, come Colui dal quale, alla fine,
dipende tutto.”. Benedetto XVI sottolinea questo
parallelismo tra natività e croce, un accostamento che fa del rifiuto da parte
degli uomini il segno della Potenza divina. Nell'impotenza,
debolezza e nascondimento di un neonato in una mangiatoia e di un uomo flagellato
ed inchiodato ad una Croce si contiene la più grande ed abissale rivelazione
divina, con la manifestazione della sua potenza nella
capacità di annullarsi a favore dell’uomo, presentandosi come uno scandalo che fa
della contraddizione la propria chiave di lettura.
Ma soffermiamoci sulla
teologia della croce, una delle più impressionanti riflessioni di San Paolo a proposito dell’annuncio
cristiano. San Paolo, nelle sue
lettere, anche per esigenze pastorali (voleva evitare la contrapposizione fra
le chiese particolari sorte nel bacino del mediterraneo), evita di connotare l’avvenimento
della croce da un punto di vista religioso o filosofico, presentandolo invece come un fatto, per di più scandaloso: l'Apostolo delle genti fonda l’unità dei credenti su un oggetto di maledizione, una
sorta di “non segno”. La croce mostra un dio che si fa
conoscere nella morte di un crocifisso, nella fine indegna del fallito: l'opposto di quel che l'aspettativa umana potesse pretendere da un dio, stoltezza per la filosofia dei pagani e scandalo per la legge
dei giudei. Per San Paolo questa rilettura non proviene da una costruzione
intellettuale o da una teoria religiosa (conosciute dai sapienti ma ignorate dai piccoli), ma la croce si erge come vessillo fra
le nazioni, innalzata da terra affinché tutti vi fissino lo sguardo, e si fa comprensibile solo a quei piccoli che, ripudiati dal mondo, possono trovare nel non-senso il vero senso. Un
dio vicino all’intimo della nostra esistenza, la cui debolezza ed il cui bisogno
di essere (ri)conosciuto e amato svelano la profondità del sacrificio compiuto,
ci dimostra l’amore che prova per noi, facendosi simile all'uomo, disposto al sacrifico e all'effusione
del suo sangue. Dio si fa conoscere in un modo del tutto diverso da come ci si poteva
aspettare, sotto forma del suo contrario: mentre gli ebrei aspettavano un Re potente
e glorioso e i greci cercavano la quadratura del cerchio dei loro schemi mentali, il Messia nasce povero in un paese sperduto ai confini dell’impero
romano e muore crocifisso, abbandonato dai suoi pochi discepoli. La croce, nonostante si mostri quindi come maledizione agli occhi degli uomini, è invece una (l'unica) parola di salvezza e di redenzione: la croce non è quindi un simbolo di morte, ma è manifestazione di vita, quella stessa vita che nasce in un
bambino e che esonda nell'avvenimento della risurrezione, in un corpo glorioso.
L'umiltà del neonato e la durezza della croce rappresentano anche una metafora della
vita umana, contraddistinta da battaglie perse in partenza e da difficoltà
insormontabili che, se lette con gli occhi della fede, si rivelano invece doni
di Dio, nel cammino verso di Lui. La croce apre infatti la strada ad
una nuova comprensione dell’esistenza umana: riconoscendo che Dio si incontra
nell'avvenimento paradossale del crocifisso, l’uomo viene introdotto in una
nuova creazione, redenta e glorificata.
Pubblicato il 25 dicembre 2012
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