di Libero Favella
Ancora oggi è abbastanza raro proclamarsi atei: ci sono
troppe evidenze riguardo all'esistenza di Dio. Molto più frequente è smettere
di credere che Dio intervenga nella storia e che si prenda cura di ciascuno di
noi. Anche se questa verità è al centro della fede cristiana, gli esegeti cattolici
che la fanno propria si contano sulle dita di una mano.
La Scrittura è piena di interventi diretti di Dio nella
storia: miracoli, rivelazioni fatte a profeti, ecc.. Ma se Dio assomiglia più
al Grande Architetto massonico che al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe,
perché mai dovrebbe scomodarsi, per occuparsi degli abitanti di un pianeta che
è solo un granello di polvere nell'immensità del cosmo? Ed è ancora più incredibile pensare che Dio si incarni,
nasca da una Vergine e muoia in croce. Suvvia, nessuna persona rispettabile può
credere seriamente queste cose. E in effetti gli esegeti del Nuovo Testamento,
che sono senz'altro persone rispettabili - hanno studiato, loro! - negano
allegramente che Gesù abbia compiuto miracoli. Quanto ai cosiddetti 'vangeli
dell'infanzia', cioè ai primi capitoli di Matteo e di Luca (Marco e Giovanni
tacciono a proposito di quegli anni), il gioco è semplice: si tratta di un
genere letterario che racconta della nascita del liberatore; un genere nato per
dare una corrispondenza a brani dell'Antico Testamento. I due racconti
presentano tra loro contraddizioni; per di più non sono attestati dagli altri Evangeli: quel che vogliono trasmettere è un messaggio (quale poi? mi chiedo),
non sono certo la cronistoria di una serie di fatti.
L'ultimo libro del Papa si sviluppa, a mio modo di vedere,
attorno a questa domanda: supponiamo che Dio si sia davvero incarnato e che
davvero una ragazzetta della periferia dell'Impero sia rimasta incinta per
opera di Dio, senza alcun rapporto sessuale. Se le cose fossero andate così -
il che, ammettiamolo, è assurdo, ma facciamo finta che sia così - ebbene: gli
evangelisti come avrebbero dovuto raccontare i fatti per convincere noi lettori
che il Vangelo è appunto un resoconto di fatti e non l'espressione della
teologia della comunità matteana o lucana - teologia trasfigurata dal messaggio
post-pasquale, ecc. ecc.? Supponiamo per un attimo che tutto sia vero: gli evangelisti
avrebbero scritto i loro primi capitoli in modo diverso? "Vabbè" risponderà il nostro esegeta à la page
"ma Luca dice che 'Maria meditava certe cose nel suo cuore', o fa
riferimento a eventi la cui sola testimone, se mai tali avvenimenti sono
avvenuti, fu appunto Maria di Nazareth - quando è ovvio che Luca non fu mai in
contatto con lei. Come la mettiamo?"
E qui scopriamo il candore della lettura di Benedetto XVI,
che alla veneranda età di 85 anni ha ancora la fede semplice di quei piccoli
che Gesù loda nel vangelo: "perché mai" si chiede il Papa
"dovremmo supporre che Maria Santissima non sia una delle fonti di
Luca?". Effettivamente, a parte il pregiudizio degli studiosi, non c'è
alcun elemento storico che impedisce di formulare questa ipotesi, che anzi pare
molto verosimile, se il racconto lucano è attendibile.
Questo libretto non costituisce solo un argomento per
irrobustire la fede dei semplici, ma è anche una ventata di aria fresca per le
aule di tanti, troppi seminari e facoltà teologiche, in cui lo spirito critico
è solo proclamato, ma è assente nelle teste dei docenti e degli studenti, che,
come le pecore di cui parlava Nietzsche nell'Anticristo, seguono obbedienti la moda esegetica del momento.
Misero davvero quel clero che deve formare il suo spirito critico e la sua
capacità di lettura del testo biblico, quando va bene, sui libretti di Ravasi o
di fratel Enzo. Il Papa, benché odiato dai docenti, è in genere rispettato
dai seminaristi; la speranza è che sia anche letto.
In questo volume Benedetto XVI cerca di tenere in conto,
con quella sintesi di cui lui solo è capace, delle ricerche storiche, per
meglio situare i Vangeli nel loro contesto, e si interroga anche sul genere
letterario dei cosiddetti Vangeli dell'infanzia. Ma invece di individuare un
corrispettivo facile per i vangeli dell'infanzia nella letteratura giudaica o
pagana del tempo, Benedetto XVI sottolinea le differenze rispetto ai testi che trattavano di nascite divine in Egitto o che volevano attualizzare le profezie
dell'Antico Testamento in contesto ebraico. Per Benedetto XVI la sconvolgente
anomalia del racconto evangelico è l'umiltà e la semplicità che Dio fa propria:
non nasce in un palazzo reale egiziano, ma in una dimora di fortuna. Sua madre
non è una regina, ma una illustre sconosciuta. Eppure, nel grembo di quella
ragazza, si è compiuto il più grande miracolo della storia.
Benedetto XVI è visibilmente toccato nel parlare di quei
fatti e la sua commozione traspare dalle sue righe e non può non essere
recepita dal lettore che si lasci coinvolgere. Secondo il modesto parere di chi
scrive, che di libri di Benedetto XVI ne ha letti parecchi, 'L'infanzia di Gesù' è un capolavoro
degno di stare accanto a quella 'Introduzione
al Cristianesimo', che rese giustamente celebre il giovane Joseph
Ratzinger. Un libro da leggere e rileggere in questi giorni di festa e
da regalare ai nostri amici.
Se il fatto è riportato da un solo Vangelo, è inventato; se è riportato da più Vangeli, è copiato, quindi inventato (petitio principii). Davvero una grande conquista questa per l'esegesi biblica, che tanti passi avanti ha fatto fare rispetto alla semplice e candida fedeltà al testo. Dall'alba dei tempi, ci sono persone che non la smettono di voler insegnare a Dio il Suo mestiere. Per Natale, Signore, mandaci un paio di santi e prenditi tutti gli esegeti che vuoi.
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