Nella
serie dei film nascosti in soffitta non poteva che finire anche “October Baby”,
la storia ispirata alla straordinaria esperienza di Gianna Jessen, la giovane
ragazza di 35 anni sopravvissuta all'aborto che dal 1996 gira per il mondo per
raccontare la sua storia.
I
registi, i fratelli Jon e Andrew Erwin, cristiani evangelici originari
dell’Alabama, raccontano che l’ispirazione è venuta loro ascoltando ad un
incontro di preghiera la testimonianza di Gianna Jessen «Ci siamo commossi, la
sua storia ci ha ispirato, sapevamo che avremmo dovuto fare qualcosa». Con
October Baby i due fratelli hanno creato un piccolo grande capolavoro
cinematografico che nonostante il tema “scottante” e politicamente scorretto,
si è piazzato all'ottavo posto nella classifica dei più visti d’America,
incassando il triplo di quanto è costata la sua produzione. La stessa Gianna
Jessen ha partecipato attivamente alla produzione del film con il brano “Ocean
Floor” cantato da lei, e scritto appositamente per la colonna sonora. Girato in
sole 4 settimane e con un budget minimo, dopo Juno e Bella, October Baby diventa il terzo film che
affronta il drammatico tema dell’aborto, affermando con una forza emotiva travolgente
l’unica scelta giusta di fronte ad una gravidanza non cercata, non pianificata: la Vita!
La
trama, molto piacevole e ben realizzata, è lontana dai toni retorici e spesso
moralistici che contraddistinguono i film che gli ultimi anni la nutrita fetta
di America Evangelica ha prodotto. La protagonista di 19 anni, Hanna, scopre in
seguito ad una serie di malori che essi sono direttamente collegati con le
difficoltà al momento della sua nascita prematura, provocata da un tentativo di
aborto non riuscito. I suoi genitori, che si svelano come adottivi, la lasciano
quindi partire alla ricerca della madre biologica, in un viaggio che sin da
subito acquista la valenza di una ricerca di senso. La necessità di significato
alla propria esistenza rifiutata e attentata fin dal grembo materno, porterà
Hanna a... bè, non vi anticipo il finale così sarete costretti a vederlo!
Soltanto posso dire che a stento si frenano le lacrime.
La
pellicola, rifiutata da grandi produzioni e stroncata da molti critici
(abortisti), è riuscita ad uscire nei cinema grazie ai circuiti dei Cristiani Evangelici che in America riescono
ancora a conservare un ruolo importante nella vita sociale e politica. Infatti
anche la distribuzione è stata resa possibile grazie ai contributi delle
organizzazioni cristiane, dei movimenti anti-abortisti e di una casa di
distribuzione di proprietà della Sony specializzata in tematiche
cristiano-conservatrici che ha già portato al successo nel Box Office film come
“Fireproof” (la storia di un vigile del fuoco che riesce a salvare il suo matrimonio
grazie alla riscoperta della Fede).
Il
dibattito intorno all'aborto negli USA è molto vivo e sentito, grazie anche
alla maggior libertà di espressione di cui si gode negli States, e che permette
un confronto serrato tra le parti. Anche la firma del presidente George Bush,
nel 2003, sul Born Alive Infant
Protection Act testimonia la diversità di opinioni che tocca persino i
vertici presidenziali. Obama, all'epoca parlamentare, decise di opporvisi perché
“ci sono già leggi che proteggono i bambini nati vivi”. Ricordo a tal
proposito, che Planned Parenthood, fondazione
nata nel 1921 dall’eugenista Margaret Sanger, secondo la quale «lo scopo di
promuovere il controllo delle nascite è quello di creare una razza di
purosangue», assieme alla lobby gay (ma questa è un’altra storia) ha appoggiato
completamente la campagna elettorale di Barack Obama, finanziandola con 1,4
milioni dollari. Non stupiscono quindi i provvedimenti e le recenti
dichiarazioni del presidente americano a favore dell’aborto come selezione del
sesso. Il tutto manifestamente attestato e verificabile da chiunque, grazie ai
cospicui versamenti che il governo ha garantito alle “ricerche” di Planned
Parenthood.
In
questo scenario apocalittico di costante lotta alla vita in nome dei “diritti
della donna” o in nome di una umanità emancipata da qualsiasi costrizione
morale e biologica, emerge come un raggio di luce questa splendida storia che
consola, apre al perdono profondo e alla riconciliazione con i propri errori e
le proprie ferite. Quelle ferite profonde, che ogni donna che sceglie di
abortire il frutto del proprio grembo, si trascina dietro che lo ammetta o no,
e che gli psichiatri definiscono “Sindrome post-aborto”. Uno dei mali più
diffusi negli ultimi anni, causa di depressione e di disturbi nella psiche che
non di rado sfociano nel suicidio. Altra nota di merito di questo film è
infatti, il tono dolce e delicato che si assume nel film nei riguardi di quelle
donne le quali con l’aborto sono prima di tutto vittime di se stesse. “Per
riguardo alle madri che hanno abortito, - racconta Andrew Erwin - era molto
importante essere estremamente delicati, e fare in modo che fosse un film di
guarigione e riconciliazione”.
I
due fratelli registi hanno scelto di devolvere il dieci per cento dei profitti
alla charity “Every Life Is Beautiful” a favore dell’adozione e dei centri di
aiuto alla vita. L’uscita del film nelle sale italiane è quanto mai improbabile,
è però già disponibile in DVD in lingua inglese con sottotitoli in Italiano.
Emblematica
infine la scelta da parte dei registi di porre sotto il titolo nella locandina,
un versetto tratto dal salmo 139 :“I tuoi
occhi mi hanno visto prima che io nascessi”. Una licenza poetica potremmo dire,
che illumina quella dimensione paterna e rassicurante che soltanto la
consapevolezza di essere stati pensati, voluti e amati dal Padre Celeste può
conferire. La speranza è quella di riappropriarsi della propria condizione di
figli col preciso scopo di alzare lo sguardo a Colui che è l’autore e la fonte
della vita.
Pubblicato il 25 novembre 2012
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