
Non sfugge a nessuno il fatto che il
neodarwinismo è uno dei cavalli di battaglia dell’ateismo (se vi fosse
sfuggito, vi segnalo questo e questo), ma non è di questo che vuole trattare il post, che vuole invece mostrare alcune critiche che si possono muovere alla sintesi moderna (ossia
alla teoria evolutiva). Mi concentrerò quindi sulla pars destruens, lasciando
la pars costruens ad altri più qualificati.
Per prima cosa, va fatta una distinzione
tra microevoluzione (non negata da nessuno) e macroevoluzione; la prima
riguarda il mutamento di un insieme di individui che sviluppano una
caratteristica differentemente da come era precedentemente, ma che in ogni caso
era presente nel loro corredo genetico; la seconda invece afferma che possono
nascere delle nuove caratteristiche che non esistevano nel DNA della specie. La
microevoluzione è un fatto osservato e innegabile, mentre della seconda ancora
non si sono trovati degli esempi (lo stesso Dawkins non ne conosce).
La differenza tra le due è importantissima, poiché il neodarwinismo si basa
sull’assunto che mutazioni genetiche casuali possono, a lungo andare, portare
alla nascita di caratteri non presenti precedentemente nel DNA, ma purtroppo
questa differenza tra micro e macro evoluzione non viene sempre rispettata dai
divulgatori.
Un caso che viene sempre riportato nei
libri di testo (c’è anche sul mio libro di biologia del liceo) come “prova
scientifica” dell’evoluzione è quello della Biston Betularia, una farfalla della
quale esiste la varietà chiara e quella melanica. Il caso è noto a tutti: a
causa dell’inquinamento, i tronchi di betulla sui quali si posa diventano più
scuri, e favoriscono il mimetismo della varietà melanica, che ha così più
possibilità di sopravvivere, e quindi in poche generazioni diventa la varietà
preponderante della sua specie, grazie alla selezione naturale. Il problema è
che non si tratta di evoluzione, poiché la varietà melanica esisteva in natura,
e quindi il corredo genetico non ha subito un arricchimento, è solo cambiata la
proporzione degli individui scuri rispetto al totale della popolazione. Un caso
di selezione naturale, senza alcun dubbio, ma non un caso di evoluzione.
Altro caso che viene sempre tirato in
ballo quando si tratta di evoluzione è l’esperimento di Lenski, nel quale dei
batteri Escherichia Coli messi a coltura, riescono dopo circa 31mila
generazioni (l’esperimento è iniziato nel 1988 e nel 2010 furono raggiunte le
50mila generazioni) a utilizzare il citrato in presenza di ossigeno, cosa che
precedentemente non facevano. Sembrerebbe a tutti gli effetti una evoluzione,
ma a indagare bene si osserva che l’incapacità ci utilizzare il citrato in
presenza di ossigeno sia dovuta ad un meccanismo di ottimizzazione metabolica,
il quale evita uno spreco energetico nella cellula; meccanismo che sarebbe
stato rotto nell’esperimento. Lo stesso Lenski afferma che l’ipotesi più
probabile è che ci sia un meccanismo preesistente che era inattivo, si
tratterebbe dunque di una rottura di un meccanismo di blocco, ossia ci
troveremmo così di fronte ad un impoverimento della complessità della cellula.
Per ultimo segnalo un altro esperimento,
il più classico dei classici, l’esperimento di Miller. Tale esperimento
intendeva simulare le condizioni della terra nel momento in cui nacque la vita,
e in esso si sarebbe mostrato che partendo da sostanze inorganiche e metano si
siano assemblati degli amminoacidi. Oltre ciò però non si è riusciti ad andare:
finora l’esperimento ha mostrato solo come si possono assemblare gli
amminoacidi partendo da composti chimici più semplici, dei quali sono
costituiti, ma da lì a dire che si è scoperto come è nata la vita c’è la stessa
distanza esistente tra ottenere un mattone d’argilla e un grattacielo. Persino wikipedia,
che non può essere accusata di parteggiare per i non darwinisti al riguardo, riporta che "Vi è un sorprendente contrasto fra il notevole successo nel
sintetizzare amminoacidi e il costante fallimento dei tentativi di sintetizzare
proteine e DNA."
Insomma, nonostante il neodarwinismo
venga ad ogni piè sospinto additato come spiegazione risolutiva di ogni
problema riguardante l’origine delle specie, attualmente a livello meramente
scientifico non si è trovato un riscontro o una spiegazione dei meccanismi che
dovrebbero portare ad un aumento della complessità di un organismo semplice
mediante mutazioni puntiformi e casuali. Questo per restare nel puro ambito
scientifico; se volessimo domandarci come è possibile che esistano meccanismi
che regolano il caso - e se in tal frangente si possa ancora parlare di caso - è
un problema filosofico, che esula dagli intenti di questo articolo.
*Per questo post ho attinto a piene mani dal sito del prof. Enzo Pennetta, che ringrazio pubblicamente della sua disponibilità.
Pubblicato il 28 settembre 2012
*Per questo post ho attinto a piene mani dal sito del prof. Enzo Pennetta, che ringrazio pubblicamente della sua disponibilità.
Ottimo articolo, che completa quello che diceva Piazza! Ora manca solo un articolo sulla scimmia nuda! :)
RispondiEliminaVincenzo
L'articolo è ben fatto perchè non esula dal'analisi scientifica e si attiene a quello che la scienza può "legittimamente" affermare basandosi sull'esperienza empirica, verificabile e riproducibile.
RispondiEliminaBravo Riccardo!
- Isacco -
Si consiglia al sig. Zenobi e al prof. Pennetta di studiarsi i meccanismi su un manuale di biologia evoluzionistica, come il classico Futuyama, così ci si evita articoli disinformati e disinformanti come questo.
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