06 maggio 2023

Cinque pani e due pesci. La vera giustizia sociale

di Samuele Pinna

Spulciando tra le notizie sono stato edotto che per ricordare l’anniversario della morte di un celebre sacerdote genovese è stata intonata Bella, ciao!, immagino con gran trasporto. Sono andato a rileggere il testo dell’omelia delle esequie che l’allora arcivescovo di Genova aveva tenuto e mi è nato un pensiero preoccupato. Lungi da me la benché minima critica a confratelli che si spendono per gli ultimi e i diseredati, ma non posso nascondere un pizzico d’invidia. Sì, perché il ministero ordinario di un sacerdote qualunque – come il sottoscritto – può logorarsi in un quotidiano sempre meno cristiano, mentre un sacerdozio che si spende in prima linea e con cipiglio ha – forse – grandi soddisfazioni, soprattutto perché espone al brivido del comando chi porta avanti qualcosa costruito da sé. Poi, però, immagino i problemi, le fatiche, i contrasti e sono grato al Cielo di esercitare il presbiterato in una piccola parrocchia di periferia, tanto più che a oggi – se non erro – le periferie hanno un valore aggiunto (certamente sulla carta) dichiarato da chi vive in centro. 

Devo ammettere che ci sono rimasto male quando ho riletto il sermone del cardinal Angelo Bagnasco pronunciato durante il funerale del famoso prete. Ci sono rimasto male perché l’ho trovato spirituale, preciso, non privo d’affetto… eppure il Presule è stato boicottato con cori, fischiato, contestato, tanto che è dovuta intervenire la storica collaboratrice di don Gallo non solo per sedare gli animi, ma pure per fare la predica. Allora ho ragionato anche davanti alla retorica di altri sacerdoti presenti: è vero, noi si deve accogliere tutti come Gesù aveva accolto tutti. Ciò nonostante, mi sono interrogato sul significato di “accoglienza” come si evince dal Vangelo. Per carità, non sono un biblista e diffido sempre da chi espone con sicumera cosa avrebbe fatto Gesù in una determinata situazione (anche perché quando lo fai tu ti rimproverano se non sono d’accordo, spiegandoti che all’epoca non c’era il registratore). Tuttavia, nel Vangelo mi pare che il Signore accolga tutti, ma a tutti chiede di cambiare vita, tant’è vero che il miracolo riguarda la fede, non la promozione sociale o l’accettazione del peccato che viene da quel momento “sdoganato”. Alla donna sorpresa in flagrante adulterio Gesù non emette nessuna condanna, ma neppure le dice di stare attenta e di non farsi beccare la prossima volta. Le dice, al contrario: «va’ e d’ora in poi non peccare più». Credo che sia questa la vera accoglienza: essere ospitati perché si possa cambiare vita.

Quando ho letto stamattina che dopo dieci anni sono stati fatti gli stessi cori “partigiani” eseguiti ai funerali, sono rimasto perplesso, pur rimanendo incerto se definire migliore quell’urlare rispetto ad alcune canzonette presenti nelle nostre liturgie… Di là da ciò, mi chiedo se l’accoglienza cristiana si possa ridurre a un “salvi tutti”, senza impegno e conversione. Qui, però, si levano scudi: c’è il rischio infatti di diventare farisei che rispettano le norme senza cuore! È innegabile che questo sia un errore, pur essendo uno sbaglio diametralmente opposto al precedente. Nondimeno, non fa del primo errore qualcosa di giusto.

Il Vangelo proposto oggi dalla Liturgia ambrosiana nella versione giovannea propone una soluzione: trattasi della moltiplicazione dei pani e dei pesci a partire dal dono di un ragazzo che offre i suoi al Maestro. Ragionando tra me e me mi son chiesto se non sia questa la vera via della giustizia (anche sociale). Quel giovinetto avrebbe potuto spartire il suo cibo con i suoi cari o con qualche amico, e sarebbe stato un comportamento encomiabile. Avrebbe addirittura potuto condividere il desco con qualche vicino sconosciuto fino a quel momento, e questa sarebbe stata una scelta che avrebbe suscitato il plauso di chiunque. Invece, ha dato il suo poco a Gesù che l’ha moltiplicato per tutti. Sono persuaso che la giustizia sociale sia una pia illusione e con ciò non intendo asserire che non vada perseguita il più e il meglio possibile, ma pensare di realizzarla qui sulla terra mi pare operazione se non impossibile quantomeno assai difficile. Perché? Perché l’uomo imperfetto non riuscirà mai in una cosa così perfetta, è troppo grande il suo limite se Qualcuno non lo aiuta a superarsi. Le grandi ideologie non bastano, perché a essere intellettualmente onesti anche quella riassunta in cori da stadio succitati ha portato a scarsi risultati. Qualcuno – risentito – affermerà che ha portato al punto in cui siamo. Appunto. Quanto odio, quanta differenza sociale, quanta violenza, per cosa? Per essere punto e a capo. Stati e culture che hanno perseguito tale ideologia sono diventati un mostro sempre più distante dall’ideale ideologico (Cina docet).

Per cui c’è un’altra via, quella cristiana che insegna a dare a Gesù: consegnare e consegnarsi a lui. In tal modo il poco può sfamare – miracolo! – tanta gente. Egli, inoltre, non fa mai il miracolo in solitudine, ma sempre vuole appoggiarsi ai suoi discepoli. C’è una mediazione che implica la responsabilità di ciascuno – mai dissolta nel collettivismo – affinché il miracolo si realizzi. È innegabile che donarsi è assai faticoso.

Da altra parte, magari è più facile innalzare canzonette con il pugno chiuso, fomentare l’odio contro chi non la pensa “uguale”, continuare una devozione (questa sì fondamentalista) verso un credo politico, smaterializzare nel collettivo l’impegno personale. Senza moralismo o qualsivoglia giudizio da parte di chi scrive, noi si preferisce dare quel poco che abbiamo a Gesù, aiutarlo a ridistribuirlo, pur nelle nostre mancanze che non ci fanno perfetti, ma certi della Sua verità, e nel costante logorio del quotidiano. Senza alzare grida, senza sdegno, senza utopie.


 

 

0 commenti :

Posta un commento