31 dicembre 2022

In ricordo di Benedetto XVI


di Samuele Pinna

Apprendo con non poca mestizia che il Papa emerito Benedetto XVI è salito al Cielo nella gloria del Padre. Tristezza perché Joseph Ratzinger è entrato nel mio cuore così come ha fatto breccia nella vita spirituale di una moltitudine di persone. Il fatto di averlo potuto conoscere, di aver visto da vicino la sua viva intelligenza, la sua fortezza nella fede e la sua gentilezza inusitata (poco consueta nel panorama odierno) aumenta in me il senso del distacco umano, ma anche la sicurezza del suo essere ora in Paradiso a contemplare quel Dio fattosi uomo, che tanto ha amato. 

Mi ha scritto per l’ultima volta il giugno scorso, regalandomi il suo ultimo libro, come risposta cortese a un mio testo che gli avevo inviato e dove avevo raccontato la nostra conversazione di qualche tempo prima. Mi ha stupito che abbia ripetuto quanto aveva già fatto quella volta dopo che l’avevo incontrato a casa sua: rimasi a Roma ancora per qualche giorno e quando tornai a Milano trovai tra la posta una sua lettera accompagnata dal suo ultimo volume dato alle stampe. 

Riprendo tra le mani il mio brogliaccio sul magno Pontefice e mi convinco ancor di più di come papa Benedetto sia stato il grande sapiente del nostro tempo: colui, cioè, che ha saputo guardare più in là, intuendo i passi necessari da fare per un santo cammino: «Il sapiente – ho scritto a suo riguardo – non è l’indovino da trovate inattendibili o il falso profeta di calcolate buone nuove, ma colui che sa leggere al meglio ciò che ci circonda. Anticipa i tempi non per un occulto prodigio, ma perché in grado di scrutare le vicende che si susseguono, avendo come bussola la parola divina. Vero profeta, anche di sventura, se è il caso». 

Ecco, dunque, la Sapienza, dono divino, riassunta – se è concesso – in una personalità plasmata, per sua libera scelta, dall’ascolto della volontà dello Spirito: «Una capacità di giudizio accesa eppur mai cedevole all’invettiva o alla lamentela e, al contrario, in grado di mostrare un’assennata via d’uscita dalle difficoltà. Un andare in fondo alle questioni, senza fermarsi ai luoghi comuni o a facili quanto inutili risposte, ripugnando la consuetudine di banalizzare e valutando i fatti in modo serio e sereno. Un’enciclopedia vivente, insomma, non per dare sfoggio di cultura ma per indagare a fondo ogni aspetto e non minimizzarlo con deboli battute. Mai un termine fuori posto, nessuna sbavatura o facile giudizio. Al contrario, la ragione veniva potenziata, sostenuta com’era da alte riflessioni e sorretta da una radicata e appassionata fede teologale». 

Benedetto XVI non è stato soltanto un illustre studioso, ma anche un eccellente pastore: «Una mitezza accompagnata da un evidente appagamento di chi vive con gusto, lasciandosi trasportare dal buonumore, pur non dimenticando il travaglio e il gemito del cosmo». Papa Ratzinger mi ha insegnato, con squisita consonanza, che la compagnia di Cristo non toglie nulla e dona largamente, basta non essere superficiali e frettolosi nelle stime, mettendosi per primi in discussione e chiedendo a Dio di essere illuminati sul da farsi: «scrutare la creazione con gli occhi misericordiosi del Creatore, affinché il nostro “decidere sul da farsi” corrisponda sempre più in modo perfetto al Suo. E, magari nel paradosso, gustare il sapore buono della vita, la quale non si gioca solo nel tempo presente perché chiamata a ristare nell’eternità».

Molti hanno iniziato a stimarlo quando ha rinunciato al pontificato perché – hanno evidentemente dedotto – con quel gesto si doveva essere effettuata una sorta di umanizzazione del papato, quasi come se fino ad allora papa Benedetto avesse “regnato” con freddezza (non era questa la vulgata del mainstream ideologico culturale, valutazione condivisa anche da “importanti” uomini di Chiesa e sedicenti teologi?). Sono persuaso che questa lettura sia puerile e mal fondata: è forse il recondito desiderio dell’uomo vecchio che vuole una divinità non divina, il bene e male mescolati in un’accettazione senza colpa, più incline al “misericordismo” successivo al palese errore che non a una reale misericordia mai rinunciataria della giustizia (altrimenti quale perdono ci sarebbe?). Questa, però, non è la visione cattolica (pare più un derivato del pensiero hegeliano) né quella di Joseph Ratzinger, il quale ha lasciato scritto: «non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana». 

Ci convinciamo che umanizzando le cose di Dio l’esistenza sia più felice e sopportabile e ci dimentichiamo che il Signore ha assunto la nostra natura proprio per elevarla allo stadio della gioia (che niente e nessuno può dare). I cattolici amano un Dio bambino non perché rifiutano la complessità, ma perché in Gesù tutto si è reso semplice, vero, dicibile: la salvezza è a portata di ciascun uomo (nuovo) che lo desidera e vuole farsi trasfigurare dall’Amore. 

Benedetto XVI ci ha, pertanto, insegnato – e riprendo ancora quanto già pubblicato – che «la compagnia di Cristo non toglie nulla e dona largamente, basta non essere superficiali e frettolosi nelle stime, mettendosi per primi in discussione e chiedendo a Dio di essere illuminati sul da farsi. In definitiva – mi ripeto –, guardare la creazione con gli occhi misericordiosi del Creatore, affinché il nostro “decidere sul da farsi” corrisponda sempre più in modo perfetto al Suo. E, magari nel paradosso, gustare il sapore buono della vita, la quale non si gioca solo nel tempo presente perché chiamata a ristare nell’eternità». Sono persuaso che da lassù il nostro amato Papa emerito stia fruendo della visio beatifica nell’attesa del giudizio universale. Nella sua opera sulla morte e la vita eterna – che ha definito la “meglio riuscita” – ha spiegato: «La salvezza del singolo sarà completa e piena soltanto quando sarà compiuta pure la salvezza dell’universo e di tutti gli eletti, poiché questi non sono nel cielo soltanto separatamente gli uni accanto agli altri, ma costituiscono tutti insieme, quale unico Corpo del Cristo, essi stessi il cielo. Allora l’intero creato sarà un “cantico”, un gesto con cui l’essere si libera nel tutto e insieme un entrare del tutto nel proprio, un gaudio in cui tutte le domande avranno risposta ed esaudimento».


 

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