08 gennaio 2022

Da don Camillo a Benedetto XVI. Il battesimo dono di Dio

di don Samuele Pinna

Il tempo liturgico del Natale non finisce con l’Epifania (nonostante il noto proverbio: “L’Epifania tutte le feste le porta via”), ma con la festa del Battesimo del Signore, dov’è ricordato a ogni credente il dono ricevuto da Dio: essere suoi figli.

Si tratta, per l’appunto, di un regalo di inestimabile valore che il battezzato deve custodire e rivivere ogni giorno. In un racconto di Giovannino Guareschi intitolato Don Camillo discute, il famoso prete della Bassa rischiò di dimenticarselo quando – si legge nell’episodio – «entrarono improvvisamente in chiesa un uomo e due donne e una delle due era la moglie di Peppone, il capo dei “rossi”. Don Camillo […] si volse e domandò cosa volevano.

“C’è da battezzare della roba” rispose l’uomo e una delle donne mostrò un fagotto con dentro un bambino.

“Chi l’ha fatto?” chiese don Camillo scendendo.

“Io” rispose la moglie di Peppone.

“Con tuo marito?” si informò don Camillo.

“Si capisce! Con chi vuole che l’abbia fatto, con lei?” ribatté secca la moglie di Peppone.

“C’è poco da arrabbiarsi” osservò don Camillo avviandosi verso la sagrestia. “So assai io: non avevano detto che nel vostro partito è di moda l’amore libero?”» (3, pp. 40-41).

Il Crocifisso, però, non approvava l’atteggiamento del sacerdote, perché il Battesimo è un dono elargito dall’alto e non un premio da conquistare o un diritto da vantare. Del resto, se il comportamento di quelle persone fosse stato da “senzadio” non sarebbero venute in chiesa per far battezzare i figli. Don Camillo allora si preparò, ma sentiti i nomi scelti dal sindaco e consorte per il neonato – precisamente Lenin, Libero, Antonio – si rifiutò di amministrare il sacramento: Vallo a far battezzare in Russia, disse calmo, richiudendo il fonte battesimale. E a quel punto, il parroco tentò di sgattaiolare in sacrestia, ma venne ancora redarguito dal Cristo.

«“Gesù” rispose don Camillo. “Voi dovete mettervi in mente che il battesimo non è mica una burletta. Il battesimo è una cosa sacra. Il battesimo…”

“Don Camillo” lo interruppe il Cristo. “A me vuoi insegnare cos’è il battesimo? A me che l’ho inventato? Io ti dico che tu hai fatto una grossa soperchieria, perché se quel bambino, metti il caso, in questo momento muore, la colpa è tua se non ha il libero ingresso in Paradiso!”

“Gesù, non drammatizziamo!” ribatté don Camillo. “Perché dovrebbe morire? […] Gesù, pensateci un momento. Si fosse sicuri che quello poi va all’Inferno si potrebbe lasciar passare: ma quello, pure essendo figlio di un brutto arnese, può benissimo capitarvi fra capo e collo in Paradiso. E allora, ditemi Voi come posso permettere che Vi arrivi in Paradiso della gente che si chiama Lenin? Io lo faccio per il buon nome del Paradiso”.

“Al buon nome del Paradiso ci penso io” gridò seccato Gesù. “A me interessa che uno sia un galantuomo: che si chiami poi Lenin, o Bottone, non mi importa un fico. Al massimo tu potevi far presente a quella gente che dare ai bambini nomi strampalati spesso può significare metterli nei pasticci da grandi”.

“Va bene” rispose don Camillo. “Io ho sempre torto. Cercheremo di rimediare”» (3, p. 42).

In quel momento, però, sopraggiunse Peppone, solo e con il bambino in braccio. Don Camillo dichiarò che avrebbe battezzato suo figlio, ma non con il primo nome che era stato scelto: iniziò così un’epica scazzottata tra i due, nella quale il parroco ebbe la meglio. Il sindaco rimase steso per dieci minuti, ma dopo essersi ripreso poté finalmente portare il bambino al fonte battesimale.

«“Come lo chiamiamo?” chiese don Camillo.

“Camillo, Libero, Antonio” borbottò Peppone.

Don Camillo scosse il capo.

“Ma no: chiamiamolo invece Libero, Camillo, Lenin” disse. “Sì, anche Lenin; quando hanno un Camillo vicino, i tipi come quello là non hanno niente da fare.”

“Amen” borbottò Peppone tastandosi la mascella.

Quando, finito tutto, don Camillo passò davanti all’altare, il Cristo disse sorridendo: “Don Camillo, bisogna dire la verità: in politica ci sai fare meglio tu di me”.

“Anche a cazzotti però” rispose don Camillo con molto sussiego, tastandosi con indifferenza un grosso bernoccolo sulla fronte» (3, p. 44).

Questa storia scalza l’idea che il Battesimo sia da amministrare a una creatura soltanto quando questa l’abbia deciso in età adulta. Altrimenti, a essere coerenti, nessuna “cosa” (scelta del cibo, dei vestiti, delle norme di vita) dovrebbe essere imposta al nascituro. In un discorso a braccio, papa Benedetto XVI, partendo da interrogativi spesso comuni, spiega invece la necessità del Battesimo dei bambini:

«è giusto farlo [il Battesimo dei bambini]? […] possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? […]”. Queste domande mostrano che non vediamo più nella fede cristiana la vita nuova, la vera vita, ma vediamo una scelta tra altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza aver avuto l’assenso del soggetto. La realtà è diversa. La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no; a nessuno può essere chiesto: “vuoi essere nato o no?”. […]. E, in realtà, la vera domanda è: “è giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso […]? Si può […] dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?”. Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita. E perciò il Battesimo come garanzia del bene di Dio, come anticipazione del senso, del “sì” di Dio che protegge questa vita, giustifica anche l’anticipazione della vita. Quindi, il Battesimo dei bambini non è contro la libertà; è proprio necessario dare questo, per giustificare anche il dono – altrimenti discutibile – della vita. Solo la vita che è nelle mani di Dio, nelle mani di Cristo, immersa nel nome del Dio trinitario, è certamente un bene che si può dare senza scrupoli. E così siamo grati a Dio che ci ha donato questo dono, che ci ha donato se stesso. E la nostra sfida è vivere questo dono, […] vivere sempre nel grande “sì” di Dio, e così vivere bene» (“Lectio divina”, 11 giugno 2012).

Vivere di Quel bene che ci consente di essere annunciatori del Vangelo, secondo il monito – che diviene avventura bellissima – di Gesù: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 18-20).

 

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