31 marzo 2021

L'inferno dantesco della modernità secondo Pasolini/1

La Divina Mimesis  dell'ultimo grande poeta italiano



di Marco Sambruna

Il progetto di una riscrittura della “Divina Commedia” di Dante insorse in Pasolini già nei primi anni Sessanta: tale progetto fu più volte abbandonato e poi ripreso nel corso degli anni seguenti finché uscì largamente incompiuto dopo la morte del poeta nel 1975. L’opera dal titolo “La Divina Mimesis” presenta i Canti I e II completi più alcuni frammenti e annotazioni relativi ai Canti III, IV e VII. 

È probabile che per Pasolini, da sempre estremamente critico verso la modernità, il viaggio infernale rappresentasse l’ideale strategia letteraria per descrivere l’orrore di una umanità che per il poeta era destinata trasformarsi nel segno della disumanità, della violenza, e del darwinismo sociale più brutale. Del resto nella produzione saggistica pasoliniana costituita dalle “Lettere luterane” e dagli “Scritti corsari” più volte Pasolini denuncia, profeta inascoltato, il “genocidio culturale” in atto che ha cancellata la millenaria visione del mondo tipica delle religioni e dato l’avvio alla “rivoluzione antropologica” diretta alla generazione di una sorta di aberrante “uomo nuovo” che nulla avrebbe più avuto a che fare con quello modellato nel corso dei secoli dalle culture tradizionali.

LA DIVINA MIMESIS

Il mondo pasoliniano presenta molti dualismi contrapposti a cominciare da quello fra sviluppo e progresso ad esempio che per il poeta non sono sinonimi dal momento che il primo è concetto economico e omologante, il secondo valoriale e virtuoso: perciò Pasolini diceva di essere a favore del progresso, ma non dello sviluppo laddove per “progresso” non intendeva l’ideologia progressista bensì una civiltà che rigettasse la nuova umanità consumistica e profana che lo sviluppo appunto andava preparando.

Anche ne “La Divina Mimesis” c’è una dicotomia. Essa riguarda la differenza fra i dannati “continenti” e “non continenti”. Per comprendere la differenza fra queste due categorie occorre rifarsi a un altro dualismo che percorre gran parte dell’opera di Pasolini: quello fra il concetto di Storia e l’idea di innocenza. Per Pasolini la società contemporanea pone l’individuo nella condizione di dover compiere una scelta drammatica: o si partecipa alla Storia cioè alla costruzione della civiltà borghese, disincantata, desacralizzata e laicista rinunciando perciò a una certa ingenua innocenza tipica delle culture pre industriali; oppure ci si congeda dalla Storia e ci si disimpegna da essa rinunciando così alla costruzione di una civiltà disumana conservando l’innocenza, ma a costo di isolarsi egoisticamente e narcisisticamente nella propria dimensione intimistica e privata.

In entrambi i casi il soggetto è colpevole o di cinismo o di egoismo. In realtà Pasolini in altri luoghi della sua opera definisce una terza via costituita da quella che lui determina come “adesione critica” alla Storia cioè una partecipazione al progresso, ma in funzione critica come “una forza del passato”1 ossia, per molti versi controrivoluzionaria. Tuttavia, per il momento il dualismo Storia - innocenza resta e si traduce ne “La Divina Mimesis” nelle due categorie di dannati infernali dei “continenti” che sono colpevoli in quanto partecipano alla Storia e quindi al processo di disumanizzazione della civiltà e dei “non continenti” cioè di coloro che rinunciano all’impegno sociale ponendo così in essere una sorta di “colpevole innocenza” che consiste in un’egoica e narcisistica separazione dalle vicende collettive.

Prima di esaminare meglio le categorie di dannati che appartengono al gruppo dei “troppo continenti” e dei “non continenti” è interessante notare che fra i diavoli che li vessano Pasolini inserisce le figure delle ”demonie” ossia donne crudelmente sadiche che con la loro fredda ed efficiente spietatezza custodiscono come delle aguzzine i dannati affidati alle loro cure.

Questa categoria femminile risponde all’idea pasoliniana secondo cui proprio gli ultimi arrivati chiamati a partecipare alla costruzione del nuovo mondo desacralizzato e disumanizzato si dimostrano i più zelanti e devoti alla causa. È la strategia borghese di ascendenza laicista, infatti, ad assoldare le categorie umane più umili e da sempre marginalizzate come le donne o i popoli extra europei per trasformarle in fedeli servi del Potere. 

Essi non si accorgono dell’inganno per cui barattano la loro innocente e lieta spontaneità in cambio dell’ammissione alla mensa delle élites dominanti che promettono la ricchezza materiale in cambio della loro servile collaborazione al processo di sviluppo consumistico di matrice laicista. Traspare dunque in queste figure femminili diaboliche la critica pasoliniana all’estremismo femminista che trasforma la donna in una grottesca imitazione del maschio nei suoi aspetti più brutali e violenti.

Per Pasolini paradossalmente proprio tramite la concessione di diritti il Potere sradica gli uomini dalle loro culture tradizionali disfunzionali alla costruzione dell’uomo nuovo. La Storia infatti, da intendersi come graduale cammino verso forme sempre più sofisticate e artificiali di vita, necessita di nuovi zelanti vassalli collaborativi e funzionali al “genocidio culturale” propedeutico alla “rivoluzione antropologica” da cui scaturirà uno spaventoso “uomo nuovo”. 

Naturalmente, come tutti gli inganni, anche questa strategia finisce col mostrare la propria vera fisionomia truffaldina; gli zelanti servitori del Potere ben presto si accorgeranno di essere stati ingannati. 

L’illusione di promozione umana promessa dalle élites dominanti si rivelerà per quello che è ossia una chimera di cui resta solo un sogno mai realizzato. Si tratta appunto de “Il sogno di una cosa”2 come dal titolo di un’altra celebre opera pasoliniana. Il sogno in questione è quello del marxismo che resta solo un vano miraggio nel momento in cui le classi umili che avrebbero dovuto beneficiarne scoprono che si è trattato solo di uno scaltro espediente borghese per spossessarli della loro cultura tradizionale che ostacolava l’acquisizione di una nuova mentalità consumistica. 

Il marxismo, come del resto il cristianesimo, viene così trasmesso dalle classi privilegiate a quelle popolari privato della sua forza eversiva in una sua versione innocua ossia funzionale al processo di modernizzazione omologante in cui l’arrivismo e il consumismo saranno l’humus comune che permette la trasformazione dei proletari in piccoli borghesi. Le classi popolari infine non sogneranno più la rivoluzione marxista o la vita eterna promessa dalla religione, ma il possesso di beni di consumo.

(continua)

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1-P.P. Pasolini: Io sono una forza del passato, solo nella tradizione è il mio amore. da Poesie in forma di Rosa, ed. Corriere della Sera.  Vedi anche https://www.youtube.com/watch?v=nPNYgW3Mq00 
2- P.P. Pasolini, Il sogno di una cosa, ed. Corriere della Sera.

 

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