12 novembre 2019

La fiaba dell'apostolato di Santa Tecla

di Franco Ressa
Un apocrifo è un libro di argomento sacro di contenuto non genuino, scritto a volte dagli eretici, quindi per antagonismo, ma altre volte per troppo zelo verso Cristo o i santi, narrando in tono favolistico imprese da loro non eseguite. Nel secondo caso, pur non servendo alla teologia, questi testi contengono una morale positiva, sono insomma belle fiabe.

Una di queste fiabe religiose prende lo spunto dagli Atti degli Apostoli, e descrive la predicazione di san Paolo nel centro dell’Anatolia, oggi la Turchia, veramente verificatasi negli anni 47-48 (Atti, 13-14). Gli atti di Paolo e Tecla erano stati scritti intorno al 160 da un sacerdote che voleva dare un omaggio al grande apostolo, ma poco dopo il severo teologo cartaginese Tertulliano smascherava la cosa. L’autore, il cui nome non è stato tramandato, ammise di aver lavorato di fantasia, ma ciò non lo mise al riparo dalla punizione di essere retrocesso.

Malgrado questo il racconto ebbe un grande successo nelle comunità cristiane dell’epoca, poiché il personaggio principale, molto accattivante, non è Paolo, ma la convertita Tecla. Tecla è una ragazza di 17 anni, vive ad Iconio (oggi Konya), ed è promessa sposa, ma ascoltando le parole di san Paolo cade in una specie di innamoramento spirituale per la persona dell’apostolo, diventando una sua fedele discepola. Ciò causa la rabbia del fidanzato e della stessa madre, che la credono impazzita, perciò Paolo viene cacciato dalla città e Tecla mendata al rogo come invasata, ma un temporale spegne il rogo. La ragazza esiliata raggiunge Paolo che si è rifugiato in campagna dentro un sepolcro in compagnia di altri simpatizzanti del Cristianesimo. Con questi si trasferisce ad Antiochia di Pisidia (oggi Yalvaç). La ragazza viene notata da un ricco uomo, Alessandro, che credendola una nomade senza casa allunga le mani su di lei, ma Tecla lo respinge con forza; gli strappa il mantello e fa volare via una preziosa corona dalla sua testa. La vendetta del notabile fa sì che la ragazza venga condannata “ad bestias” cioè essere sbranata nell’anfiteatro. Questa sentenza fa infuriare le donne di Antiochia che evidentemente conoscono le prevaricazioni di Alessandro verso il sesso femminile. La più nobile di queste, Trifena, accoglie Tecla in casa sua perché le ricorda la sua figlia morta di recente e sa che nella prigione rischierebbe di essere violentata. Trifena deriva dalla menzione che ne fa san Paolo nella Lettera ai Romani come di una delle prime convertite in Roma. Portata al supplizio, Tecla non ha addosso altro che le pterigi, una specie di minigonna a strisce pendenti come quella dei legionari. Entra nel circo legata sulla groppa di una leonessa, ma la fiera la difende contro gli orsi ed i leoni fino a farsi uccidere. La ragazza allora si lancia nella fossa dove sono tenute le foche. È un rischio perché potrebbero straziarla, ma appena tocca l’acqua esce da lei un lampo che fulmina le bestie. Da adesso Tecla viene circondata da una specie di scudo termico, che non permette a nessun altro animale di avvicinarla. Atterrito, il governatore della città fa togliere la ragazza dall’arena, la libera e la fa rivestire. Trifena adotta Tecla come sua figlia, ma lei ritornerà da Paolo. L’apostolo le affida l’incarico di essere il primo apostolo donna, tornata a Iconio trova il fidanzato morto e la madre pentita. Ripartita si trasferisce a Seleucia di Cilicia (oggi Silifke) sul mar Mediterraneo. Qui Tecla compie miracoli e per richiesta delle donne convertite del posto, organizza un monastero femminile. Morirà poi all’età di 90 anni e verrà sepolta nel suo stesso convento.

È veramente esistita Tecla? A parte le leggende, dopo tre secoli una pellegrina, Egeria o Eteria, nel 383-84 visiterà il monastero fondato dalla santa, ne vedrà forse la tomba, e lo annoterà nel suo diario di viaggio verso la Terrasanta. Il significato del racconto è certamente la protezione di Dio verso i suoi fedeli, ma il maggiore interesse sta nel ruolo preponderante delle donne rispetto agli stessi apostoli uomini. Tertulliano, notoriamente misogino, si lamentava che alcuni cristiani di Alessandria seguendo questo testo rivendicassero la possibilità per le donne di battezzare e di insegnare in chiesa  [come vedete, oggi non c'è nulla di nuovo sotto il sole NDR] (De Bapt., 17). Nei fatti, Tecla non verrà dimenticata, e numerose sono le chiese in Europa a lei dedicate, anche quella che diventerà poi il duomo di Milano. Lo sappiano le femministe: Tecla nella chiesa Ortodossa è dichiarata isoapostolo cioè pari agli apostoli, e protomartire, come prima donna condannata perché cristiana.


 

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