Nel secolo della psicologia, dopo il diffondersi della terapia individuale, su cui hanno ironizzato tanti film americani, si è scoperto che spesso i disturbi della personalità non sono disgiunti da quelli delle relazioni, e si è promossa di conseguenza la terapia di coppia e di famiglia. Ma il primo requisito a questo fine è che coloro che vivono relazioni viziate si riconoscano tutti parte del problema, e non scarichino le colpe sull’altro o gli altri: solo allora saranno disposti ad rivolgersi ad un terapeuta. E qua sta la difficoltà, che come per i singoli vale anche per gli schieramenti a confronto sull’arengo politico.
Si manifestano tra essi, in un gioco retorico di accuse e controaccuse, divergenze inconciliabili, e nessuno sembra disposto a riconoscere di essere tanto quanto gli altri partecipe della debolezza di fondo che affligge le istituzioni democratiche: l’indeterminatezza del terreno comune necessario alla convivenza di individui e gruppi diversi, che impedisca il formarsi di quella dittatura della maggioranza nella quale Alexis de Tocqueville vedeva solo pochi decenni dopo la formazione della repubblica la più grande minaccia alla “democrazia in America”. Diciamo infatti che in un regime democratico il popolo elegge i suoi governanti, scegliendo tra diverse proposte elettorali. Ma affinché la maggioranza vincente sia accettabile bisogna che queste non divergano eccessivamente. Una cosa sono infatti le divergenze di carattere diciamo prudenziale, sul come cioè perseguire un fine comunemente accettato, un’altra cosa quelle di principio. Quando in America si venne a una di queste, si ebbe una sanguinosa guerra civile. Oggi si riproducono, in America come in Europa, le stesse condizioni, con ciascuna delle parti che vede esclusivamente nell’altra il problema, in una guerra civile strisciante, nel senso che è combattuta non con le armi ma con i mezzi della propaganda mediatica e della finanza.
La domanda è dunque, dove si posizionano i cattolici nella odierna guerra civile strisciante? E qua cominciano le dolenti note: da entrambe le parte. Questo potrebbe significare che non hanno niente da proporre di loro. O forse no, ce l’hanno, poiché è dell’essenza del Cristianesimo il richiamo a un “terapeuta”. Ma, come ben sappiamo, sul senso e la portata della “terapia” non vi è pieno accordo, e i cattolici si dividono nell’identificare dove e in che cosa risieda la cattolicità, ovvero il maggiore orientamento universale. Si ritrovano così anch’essi coinvolti nelle diatribe della guerra civile. Ne consegue che i due partiti in cui si dividono non possono essere ugualmente “cattolici”: o lo sarà quello che mantiene il Cristianesimo come risposta globale al problema della coesistenza umana, o quello che guarda a questa primariamente in alcuni aspetti, che permettano agli uomini di Chiesa di accordarsi anche con chi dalla Chiesa si tiene fuori. Ora, scegliere di ritenere qualcosa e tralasciare qualcos’altro del complesso messaggio cristiano è precisamente quel che è stato chiamato eresia.
Purtroppo anche colui che dovrebbe essere faro di unità appare schierato, insieme a tanti altri vescovi, da una delle due parti, ponendo particolare enfasi su alcuni temi che lo avvicinano a chi è altrimenti nemico del Cristianesimo. D’altra parte il popolo di quelli che non vorrebbero far altro che mantenersi fedeli alla tradizione manifesta preoccupazioni nelle quali non si trova rappresentato dalla gerarchia dei chierici, ma da politici laici che si servono eventualmente anche dei simboli di quella tradizione. Per cui poi i chierici li accusano di strumentalizzare la religione; e dall’altra parte si risponde che loro non tengono conto delle istanze popolari. E così via e così avanti, tra accuse e controaccuse.
L’accusa che dall’alto è riversata sul popolo cristiano è essenzialmente quella di fariseismo. L’accusa che invece da ambienti anche ben qualificati che si richiamano alla tradizione salgono fino al vertice è quella, non c’è neanche bisogno di dirlo, di eresia. Il cardinale Mueller ha dichiarato in una intervista di non credere che il Papa sia eretico. Ma poi ha proseguito spiegando il suo dissenso da tante delle posizioni da lui pubblicamente prese. La domanda quindi che mi pongo scavalca la conciliatoria dichiarazione di Mueller, e si chiede se le azioni e prese di posizione in questioni socio-politiche non siano già in quanto tali dimostrazione di adesione o mancata adesione all’ortodossia. Come definire l’ortodossia resta però questione aperta, alla quale non è quindi possibile dare risposta semplicemente con richiamo al precedente magistero ecclesiastico, essendo proprio questo in discussione. Non la si può dare se non sulla base di una analisi psico-socio-logica delle relazioni umane, di carattere puramente filosofica, perché non si richiama espressamente all’autorità della rivelazione, anche se è da essa autorizzata nel suo trovare in quelle relazioni, cattolicamente attestate, le immagini di ciò che nella rivelazione si realizza.
Per decenni ho criticato certe idee, se pur si possono chiamare così le nozioni moderne, tra illuminismo e romanticismo, in base alle quali ci siamo abituati a intendere la realtà. Risentirne oggi l’eco nella bocca del capo della Chiesa cattolica non le rende più rispettabili; non rende più accettabili analisi dell’attualità che considerano indifferente l’appartenenza socio-culturale dei singoli, o più sopportabili tanti bei predicozzi morali sui poveri, i deboli, gli esclusi, che non tengono conto della nostra povertà, debolezza, esclusione, a cui ci condanna una società di uomini che non conosce la presenza costitutiva della “grazia”, nel senso più lato della parola. Sono rimasto sorpreso, a questo proposito, quando alle sciocche provocazioni teologiche di Scalfari Francesco rispose invitandolo a un colloquio.
Io ho sempre ritenuto Scalfari un perfetto “idiota” (parola che uso nel senso tecnico di uomo senza dimensione pubblica, che viene dalla sua etimologia), come tanti con cui ho avuto a che fare, e con i quali è impossibile stabilire un dialogo: semplicemente perché non stanno a sentire che se stessi. E invece Francesco sembra aver pensato che un dialogo lui era capace di stabilirlo, con tutti gli Scalfari di questo mondo; aggiungiamo a questi gli imam, ed il quadro è completo. Hybris di gesuita. Non si può dire che la sua strategia comunicativa stia sortendo grande successo, a parte le lodi dei nemici della Chiesa che plaudono al suo incrinarne la dottrina.
Non ho bisogno di ricorrere a questa per comprenderne il perché. Supplisce bene l’antropologo psicologo Gregory Bateson, teorico della terapia della famiglia. Questa si rende necessaria quando i suoi membri sono coinvolti in un circolo vizioso di recriminazioni e meccanismo di difesa dai quali come ho accennato all’inizio è impossibile uscire senza qualcuno, il terapeuta, che interviene da fuori a spezzarlo. Questa teorizzazione delle trappole mortali presenti nelle relazioni tra gli uomini è quanto di più vicino io abbia trovato a una concettualizzazione filosofica del peccato originale, tradizionale pilastro della dottrina ortodossa sul quale si costruiva l’annuncio evangelico della salvezza. La presenza negli uomini così come li conosciamo di una tendenza a prevaricare gli uni nei confronti degli altri è la dimostrazione di un bisogno di redenzione immanente alle relazioni umane, a cui non può supplire la buona volontà delle parti perché non basta a spezzare il circolo vizioso determinato da quella presenza. Per questo gli uomini, prigionieri del circolo vizioso, hanno bisogno di un “terapeuta” che da fuori li aiuti a uscirne, così da poter stabilire tra loro sane relazioni scambievoli. A livello di umanità il “Terapeuta” di cui c’è bisogno non può essere un uomo tra gli altri, ma dovrà avere qualcosa di divino.
Negata la possibilità di rivolgersi a un Terapeuta la guerra civile resta senza scampo.

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