Riguardo ai commenti circa l’incendio che ha distrutto la cattedrale di Notre Dame si avverte un’assenza, una specie di imbarazzata omissione tanto più manifesta quanto più taciuta. Questa presenza che si manifesta tramite un’assenza provo io a definirla: l’idea o meglio il sospetto che si tenda a considerare l’evento come un fenomeno naturale e in quanto tale riducibile a meri commenti descrittivi privi di implicazioni di carattere politico, culturale e men che meno religioso.
In altre parole sono scomparsi dalle considerazioni mass mediatiche alcuno aspetti piuttosto rilevanti che hanno facilitato un interpretazione puramente didascalica ossia innocua sul piano politico e culturale. Altri elementi invece sono stati accentuati tramite una serie di strategie comunicative mirate. Ad esempio:
a) Accidentalità dell’evento: dopo le prime ore in cui si era paventata l’ipotesi terroristica questa eventualità è rapidamente scomparsa dal panorama dei commenti giornalistici. La tendenza nettamente prevalente è anzi quella di attribuire senz’altro l’incendio a incuria o presenza di materiale infiammabile che non avrebbe dovuto esserci nel cantiere di Notre Dame in fase di ristrutturazione. Il che è possibile, ma lascia perplessi che a poche ore del disastro ci sia già la certezza che si è trattato di un banale incidente tecnico non meritevole di ulteriori verifiche;
b) Dislocazione del focus: l’oggetto principale dei commenti riguarda l’importante perdita del patrimonio artistico conservato nella cattedrale o facente parte della sua struttura. C’è la sensazione che ci sia lo sforzo di spostare l’attenzione del pubblico su questioni prettamente estetiche quindi in un ambito per esperti in materia mentre qualsiasi riferimento al valore religioso e spirituale è stato discretamente respinto in secondo piano. Insomma Notre Dame vale (o valeva) come reperto culturale artistico e non come cuore pulsante e simbolo della Francia cristiana;
c) Isolamento dell’evento: la distruzione di Notre Dame è stato velocemente ridotto a mero episodio isolato e accidentale privo di qualsiasi legame con eventi simili che negli ultimi mesi o anni si sono verificati in Francia: nessuno pare far notare che la moda di profanare, devastare, lordare le chiese francesi sia ormai una consuetudine, quasi uno sport nazionale. Insomma si coglie l’intenzione da parte di molti di sorvolare sul clima generale di ostilità anticristiana che la Francia laicista non può o non vuole arginare;
d) La trasformazione di Notre Dame in un simbolo non già della Francia cristiana, ma della laicità repubblicana: insomma a essere stata colpita non sarebbe stata una realtà religiosa, ma un monumento laico: si sprecano i commenti in cui si sottolinea come sulla facciata della chiesa venissero esposte in occasione di feste nazionali la bandiera francese e di come il laico Victor Hugo vi avesse ambientato uno dei suoi romanzi. Insomma a essere stato sfregiato non è stata la Francia cattolica, ma quella secolarizzata e laica.
Questa serie di dinieghi, atti mancati, digressioni interpretative che vorrebbero ridurre l’evento a un fenomeno naturale su cui ben poco si può dire se non che si è trattato di una disgrazia si ha l’impressione trasmettano un contenuto anestetico, come un narcotico che abbia lo scopo di tranquillizzare chi lo assume.
La narcosi non riesce tuttavia a cancellare del tutto la presenza di un silenzioso, ma inquietante convitato di pietra: l’idea che la fine di Notre Dame indichi simbolicamente la fine di un’epoca e l’inizio di una svolta senza precedenti verso uno sconosciuto “nuovo che avanza” che ha rotto ogni legame col passato. In altri termini e per essere più diretti il significato metaforico di quella guglia che cade rovinosamente fra le fiamme mentre la cattedrale viene divorata dal fuoco non è solo il collasso di Notre Dame, ma anche e soprattutto della civiltà cristiana in Europa.
Se l’evento venisse così interpretato potrebbe ancora indurre una salutare riflessione, insinuare il dubbio se per caso ad andare in scena fra le lingue di fuoco e le scintille non è solo l’agonia di Notre Dame, ma anche quella della nostra religione e quindi di noi stessi.
Insomma Notre Dame può essere letto come un invito perché finalmente si esca dalla narcosi e si ritorni ad un corretto esame di realtà cioè alla lucida visione finalmente depurata da filtri sentimentali di cosa ci attende se insistiamo con le tendenze liquidazioniste e autodemolitive.
Ma già immaginiamo quale sarà l’interpretazione prevalente di una parte del clero anche di alto livello: un generico appello alla pace cioè la versione clericale dei gessetti colorati.
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