23 marzo 2019

"Una Voce nel Silenzio" dal Kosovo alla Siria

Una Voce Nel Silenzio nasce in principio dalla volontà di rendere noto il dramma vissuto da tanti cristiani che, in tutto il mondo, sono ancora oggi perseguitati per la loro fede religiosa ma rapidamente estende il suo raggio d’azione donando aiuti, attraverso missioni umanitarie, a tutte quelle comunità oppresse e perseguitate per le loro radici religiose e identitarie. Il concetto di solidarietà tra popoli, spesso malamente confuso dall’Occidente con lo sradicamento forzato in favore del modello di mondo unico, è nucleo fondante del progetto.
Sono proprio i concetti di solidarietà e di identità a spingere gli attivisti di UVNS a sentire fratello chiunque lotti per la propria patria, chiunque venga attaccato per fini economici con lo scopo di instaurare una dittatura governata dalle sole leggi della finanza e del capitale.
Abbiamo incontrato Stefano Pavesi, per parlare delle attività di questa associazione. 


#Siete stati ricevuti da alti funzionari della Repubblica serba. Puoi dirci cosa sta succedendo riguardo il Kosovo? Il governo serbo cosa sta facendo per risolvere la crisi?
Siamo stati ricevuti dai funzionari del Ministero degli Affari Esteri serbo che ci ha spiegato cosa sta facendo la Serbia per risolvere il problema Kosovo e cioè sta cercando di dialogare con Pristina per trovare una situazione che sia di compromesso e non dove un’unica parte ci guadagni. Hanno però denunciato il fatto che il governo del Kosovo sta facendo di tutto perché i trattati saltino. Le autorità serbe hanno ribadito che l’unico esercito legittimo che può stare in Kosovo è quello della Kosovo Force [contingente Nato ndr] mentre quello kosovaro non è legittimo e costituisce l’ennesima provocazione nei confronti di Belgrado. Altra provocazione è quella dell’aumento dei dazi al 100% tra Kosovo e Serbia.
Abbiamo poi incontrato Milovan Drecun che è stato giornalista inviato in Kosovo durante la guerra ed oggi Presidente della Commissione Parlamentare per il Kosovo e Metochia. Anche lui ha ribadito quanto già detto dal Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri ed ha però aggiunto che il dialogo è fondamentale fino a che sarà possibile, infatti se l’esercito kosovaro dovesse attaccare la popolazione serba e la K-for non dovesse riuscire a difenderla la Serbia sarebbe costretta a intervenire. Inoltre la commissione sta redigendo un plico dove saranno inseriti tutti i crimini commessi dagli albanesi durante la guerra del ’99.
Dal canto nostro abbiamo presentato i nostri progetti rivolti al Kosovo alla popolazione serba e la petizione per chiedere la ridiscussione del riconoscimento del Kosovo come stato presentata al Governo italiano.

#La situazione dei cristiani in Kosovo ad oggi com'è? Stanno scappando o rimangono a presidiare i luoghi santi?
Per i cristiani la situazione non è semplice, la tensione è altissima, ogni giorno vengono distrutti monumenti dedicati a serbi morti e interi cimiteri sono presi d’assalto dagli albanesi musulmani. Inoltre molti foreign fighters stanno tornando dalla guerra in Siria, pronti ad addestrare nuovi adepti che questa volta dovranno colpire l’Europa. La popolazione cristiana resiste anche se per i giovani è difficilissimo restare nelle enclavi senza possibilità di lavoro e futuro ma lo spirito di appartenenza e la sacra battaglia per il Kosovo serbo è più importante di qualsiasi altra cosa.

#Parlando di Siria, sembra iniziata la ricostruzione. Tempo fa abbiamo scritto che attualmente i cristiani nutrono una certa diffidenza nel tornare. Quali sono le prospettive per loro? C'è futuro per la cristianità in Siria?
È vero, i cristiani hanno paura di tornare sia a livello fisico sia a livello economico. Ma la situazione migliora di giorno in giorno ed anche i cristiani stanno ripopolando la Siria e le chiese che la compongono. La speranza c’è e dobbiamo alimentarla anche noi, ogni giorno, aiutando i nostri fratelli cristiani siriani.

#In cosa consiste il vostro progetto "Nella casa del Padre" per la ricostruzione di una chiesa ad Homs?
L’associazione quest’anno ha deciso di tornare in Siria, nello specifico ad Homs. Homs non è una città come tante altre e non solo per i suoi 2300 anni di storia ma perché è considerata, insieme a Damasco e ad Aleppo, una delle città più importanti della Siria. È la terza città siriana, dopo Dar’a e Hama, ad essere stata investita dalle manifestazioni di dissenso e rivolta verso il governo Assad che hanno infiammato il Paese dal marzo del 2011. Passata alla cronaca come la “capitale della rivoluzione”, la città è oggi distrutta: interi quartieri sono stati rasi al suolo, palazzi chiese e moschee sono ora un cumulo di macerie. Manifestazioni e disordini hanno spalancato le porte ai terroristi islamici di Daesh, supportati dai foreign fighters, mercenari al soldo di Qatar e Arabia Saudita affinché trasformassero le proteste in rivolte e le rivolte in guerra. Una guerra che - è bene ricordarlo - ha causato circa 465 mila morti e più di 11 milioni di sfollati. Dei terroristi non c’è più traccia ormai da tempo ad Homs e nella sua città vecchia, dove per mesi gli abitanti sono stati tenuti in ostaggio dai gruppi jihadisti. La città contava più di un milione di abitanti e adesso la sfida più grande, come in tutta la Siria del resto, è quella della sua ricostruzione e del suo ripopolamento. Ciò che rimane, dopo anni di un'estenuante lotta al terrorismo, è una ardente voglia di ricominciare. I cristiani, prima della guerra, rappresentavano il 10% della popolazione e garantivano insieme al governo la diversità religiosa e culturale della Siria perciò la rinascita del Paese non può prescindere dalla ricostruzione dei luoghi sacri cristiani. La chiesa di St. George dalla guerra ne è uscita devastata: il tetto crollato, gli altari distrutti, le icone bruciate. I lavori di riqualificazione in questi anni sono andati avanti ma i fedeli di St. George hanno bisogno del nostro aiuto, gli è stato portato via tutto ma non la loro fede. A loro e alla loro chiesa, simbolo della resistenza contro la barbarie, doneremo delle panche per consentire così di poter ritornare a pregare. Il costo di una singola panca - costruita in Siria da artigiani locali - è di 120 euro. Chiediamo a tutti di aiutarci a portare avanti questo progetto. Incideremo il nome di chi ci aiuterà su una targhetta a ricordo della sua solidarietà. L'ISIS ha distrutto, noi ricostruiamo.

Approfondimento sul Kosovo
Approfondimento sulla Siria


 

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