Non v’è dubbio che sant’Agostino sia uno dei giganti del pensiero cristiano di tutti i tempi. Difficile pensare a qualcuno che ha avuto un impatto così grande sul pensiero cattolico, con l’eccezione probabilmente di san Tommaso d’Aquino.
La musica è per Agostino “scientia bene modulandi”. Nel suo capolavoro, le Confessioni, ci sono alcuni riferimenti alla musica e alla commozione che Agostino provava nell’ascoltare gli inni nella chiesa di Ambrogio. Musica che da una parte era una opportunità di crescita spirituale, ma dall’altra anche un pericolo per il potere che essa ha su chi ascolta.
Nella nostra musica liturgica, non sempre ci si cura di stimolare una educazione all’ascolto, promuovendo l’idea (falsa!) che la musica sia neutrale rispetto al testo cantato, cioè che ogni musica possa servire i testi sacri se essa viene giudicata dilettevole da un certo e determinato gruppo o auditorio. Si potrebbe osservare che questo è palesemente contrario a tutta la tradizione liturgica e musicale della Chiesa. Anzi, i Padri della Chiesa molte volte mettevano in guardia dai pericoli di certa musica, riprendendo in questo la tradizione greca (e anche indirettamente quella cinese, che certamente non conoscevano) per cui la musica ha potere di migliorare o peggiorare le persone.
Sant’Agostino, diceva al Capitolo IX delle sue Confessioni: “Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene”. Un testo molto conosciuto e molto bello, sui cui meditare attentamente. Ricorda gli inni e cantici ascoltati nella Chiesa di Sant’Ambrogio, suo grande maestro e padre dell’innodia latina. Vediamo la sequenza che Agostino descrive: prima l’ascolto (“quegli accenti fluivano nelle mie orecchie”), poi l’adesione della persona a Dio che parla attraverso la sua liturgia (“distillavano nel mio cuore la verità”) e poi la fede (“eccitandovi un caldo sentimento di pietà”), una fede che è frutto quindi di una commozione profonda (“Le lacrime che scorrevano mi facevano bene”). Non si parte da una vaga fede, che si trasforma in fideismo se non appoggiata all’esperienza concreta, nel caso della musica all’ascolto. E l’ascolto non è neutro, in quanto non tutto ciò che ascoltiamo ci comunica lo stesso tipo di esperienza. Dire che una musica vale l’altra, basta che il testo sia liturgico (quando va bene) è un enorme malinteso e grandemente disconosce il potere della musica in se stessa.
Prima c’è un ascoltare, come per Israele: ascolta, Israele! Ma questo ascolto deve essere curato, non lasciato alla buona volontà di persone incompetenti o, peggio, malevole. L’adesione convinta viene solo quando siamo stati capaci di ascoltare qualcosa che veramente ci edifica perché diretta a Dio. Scopo della liturgia e della musica sacra è, in quest’ordine, la gloria di Dio e l’edificazione dei fedeli. Questa edificazione può essere costruita solo elevandosi a Dio, non arrampicandosi su se stessi.
Pubblicato il 22 marzo 2019
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