03 novembre 2018

Quando i Santi vincevano sui barbari

di Franco Ressa
Non sempre si incontra gente gradevole, capita di dover avere a che fare con individui loschi, dai quali bisogna guardarsi e i rapporti con essi devono essere molto cauti.
Se l’incontro avviene tra santi e barbari, la differenza tra interlocutori è la più evidente, e il pericolo ancora maggiore, poiché la bontà e la civiltà del santo non può essere molto gradita dal barbaro, che potrebbe vedere nell’altro un nemico da eliminare.

L’episodio più noto avviene nel 452. L’impero romano d’occidente si sta sfasciando, i barbari lo percorrono in lungo e in largo senza più una valida opposizione armata e  nelle sue regioni stanno nascendo nuovi regni che diventeranno poi le nazioni del medioevo.
C’è però un capo barbaro più forte di tutti, è Attila re degli Unni che ha sottomesso diversi popoli germanici: Gepidi, Ostrogoti, Rugi, Sciri, Eruli, Turingi, Alani, Burgundi e domina dalla Germania alla Russia. Attila è uno spietato conquistatore, la distruzione e il genocidio sono la sua regola, il suo motto è “Dove passa il mio cavallo non cresce più l’erba”.

Gli Unni hanno minacciato l’impero romano d’oriente e devastato i paesi balcanici, attuali Serbia, Romania, Bulgaria, Grecia. Quando non è rimasto più niente da saccheggiare si sono spostati di migliaia di chilometri, portandosi negli attuali Belgio e Francia. Per l’ultima volta l’esercito romano d’occidente è sceso in campo, e ai Campi Catalaunici, oggi Chalons en Champagne in Francia ha respinto l’invasione. Sconfitto ma non troppo indebolito, Attila dalla sua sede in Ungheria si dirige nell’Italia settentrionale, distrugge Aquileia e Padova, i superstiti fuggono dentro le lagune adriatiche, questo è il primo nucleo di popolazione che fonderà Venezia. Il re degli Unni pretende la mano della principessa romana Onoria, sorella dell’esautorato imperatore Valentiniano III, che per lettera si è offerta a lui come uomo più forte al momento. Dal Veneto Attila si appresta a traghettare il fiume Po per dirigersi verso le capitali: Ravenna e Roma, ma qui qualcuno disarmato lo affronta e lo ferma.
Il luogo è Governolo sul fiume Mincio, poco lontano da Mantova.
L’uomo è il Papa Leone, pontefice di Roma dal 440 al 461, non è accompagnato se non da preti e funzionari, niente armi, eppure riesce ad imporsi al ferocissimo Attila. Perché ?

I popoli delle steppe dell’Asia centrale come gli Unni e i Mongoli non hanno una religione pagana ed idolatra come i Greci ed i Romani, che adorano statue di déi, ma sono animisti, ossia credono che tutto nel mondo abbia un’anima, un’intelligenza ed un linguaggio. Gli animali, le piante ed anche gli elementi naturali come i monti, i fiumi e il vento possono essere favorevoli o sfavorevoli ed influire sui destini umani. Attila stesso è molto superstizioso, durante l’invasione in Francia ha evitato di attaccare e distruggere Parigi perché lì vi abita una potente maga cristiana (in realtà è santa Genoveffa). Stessa cosa quando arrivato a Troyes ha avuto a che fare con il vescovo Lupo. Ha chiesto al sant’uomo di pregare per lui e ha risparmiato la città. Ora con Papa Leone la cosa si ripete.

Un umano che abbia il nome di un animale ne possiede il totem, cioè lo spirito e l’influenza di tutta la specie. Così davanti alla fermezza ed alle parole del pontefice, Attila si sente misero ed impotente, malgrado le proteste dei suoi guerrieri assetati di preda ordina la ritirata. Tornato in Ungheria il terribile condottiero muore un anno dopo, e l’impero degli Unni subito si sfascia.

Circa novant’anni dopo, le invasioni barbariche non sono terminate, domina sull’Italia Baduila chiamato Totila, generale del defunto re Teodorico. L’impero romano d’oriente vuole riconquistare l’Italia dominata dagli Ostrogoti e manda i suoi eserciti, ma Totila è un valente guerriero e stratega, e per una decina di anni riuscirà a contrastare le armate dell’imperatore Giustiniano.

Siamo negli anni tra il 541 e il 547, percorrendo l’Italia con i suoi uomini Totila si trova a passare presso Montecassino. Da diversi anni sta crescendo la fama di un uomo speciale, Benedetto da Norcia. In oriente, fino dall’inizio del IV secolo Antonio e Demiana hanno fondato il monachesimo; uomini e donne si radunano in conventi ed abbazie per vivere separati dal mondo e dedicarsi interamente a Dio. Ora dopo due secoli l’esempio va fruttuosamente seguito in occidente, e Benedetto è il primo ad organizzare un ordine di monaci con propria regola scritta. Scolastica sua sorella fa altrettanto con le monache.

Totila è ariano, cioè cristiano eretico, perciò non crede nella bontà del monachesimo e nella santità di Benedetto, decide allora di metterlo alla prova, fa vestire Riggo, il proprio scudiero, con i suoi vestiti ed armi, e lo manda sul suo stesso cavallo a presentarsi a Montecassino spacciandosi per il re degli Ostrogoti. Quando però l’anziano abate Benedetto vede arrivare il personaggio gli dice: “Togliti quei vestiti, non sono i tuoi.” Colpito dalla rivelazione dell’inganno, Totila arriva umilmente e si inginocchia davanti a Benedetto. Il sant’uomo ha parole di conforto, ma non può tacere ciò che vede nel futuro, la sconfitta e sottomissione degli Ostrogoti ai Bizantini.

I regni e gli imperi sorgono e cadono, nulla di ciò che fu in quei lontani tempi è rimasto materialmente in piedi, soltanto la regola di san Benedetto da Norcia è ancora in vigore, e le generazioni di monaci hanno attraversato questi 1500 anni. Con la loro opera umile e quotidiana, pregare e lavorare, hanno conservato nei loro archivi le testimonianze della civiltà antica che i posteri hanno potuto riutilizzare nel Rinascimento. Ben meritato quindi per Benedetto il patronato dell’intero continente europeo.



 

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