20 settembre 2018

Vite Parallele. Giulia di Barolo e Ozanam


di Franco Ressa
L’ottocento era un secolo laico. Dopo le rivoluzioni della fine ‘700 sembrava che le nuove idee liberali, repubblicane e socialiste, in uno con lo sviluppo delle scienze e delle tecniche, avrebbero condotto l’umanità ad una dimensione dove il trascendente e le religioni sarebbero dovute declinare e cadere nel dimenticatoio. Non si doveva più parlare di pietà o carità, ma, nuovo termine, filantropia, che in greco significa amare gli esseri umani però con un significato di benessere materiale.
Eppure la pietà e la carità cristiana vi furono lo stesso, e pazienza se si dovevano mascherare sotto il titolo filantropico alla moda.
Juliette Colbert di Maulevrier nasce nel 1786, la sua regione in Francia, la Vandea, conosce anni di guerra civile e repressione repubblicana  e antireligiosa, i Colbert sono quasi tutti uccisi, il loro castello incendiato, la piccola Juliette deve fuggire in Olanda poi resta a Parigi. Alla fine l’imperatore Napoleone la usa per i suoi fini, un altro nobile ma piemontese è tenuto in semilibertà dopo la conquista ed annessione del Piemonte alla Francia, Tancredi Falletti di Barolo. Il grande condottiero ordina: dovete sposarvi e diventare miei cortigiani, e gli ordini politico-militari non si discutono.

Dal 1807 i nuovi coniugi vivono insieme e, caso raro, si intendono alla perfezione come carattere, cultura e spirito religioso. Nel 1814 finalmente sono liberi dopo la sconfitta dell’imperatore, e ritornano in Piemonte stabilendosi a Torino. La capitale sabauda ha molto sofferto la dominazione francese, aveva 90.000 abitanti, ora sono solo 65.000, un quarto di questi sono senza lavoro e campano di sussistenza ed elemosine. Invece che rinchiudersi nei loro lussuosi ed esclusivi palazzi, i nobili Barolo si danno da fare, prima iniziativa una mensa che a palazzo Barolo offre ogni giorno duecento pasti caldi gratuitamente. Nel 1827 apre l’asilo Barolo, che raccoglie i figli dei più poveri. Nell’inverno di quell’anno, particolarmente rigido, vengono distribuite seimila razioni di legna per chi non ha di che acquistarla.

Giulia e Tancredi non  hanno figli, perciò possiamo considerare come un loro erede Fréderic Ozanam, figlio di un medico ufficiale napoleonico di origine ebraica. Nato nel 1813 a Milano e vissuto a Lione e Parigi, conosce il cattolicesimo attraverso un suo insegnante l’abate Noirot, si laurea in giurisprudenza ma frequenta di più l’ambiente scientifico e letterario, conoscendo il fisico Ampére, lo scrittore Chateaubriand, lo storico e politico Montalambert, grandi personalità del cattolicesimo francese.
Da studente deve scontrarsi con l’opposizione dei laicisti ed anticlericali. Durante un incontro culturale gli viene provocatoriamente detto: Il Cristianesimo ha realizzato grandi cose in passato, ma oggi la sua energia si è esaurita. Invece che litigare Ozanam preferisce agire, e nel 1833 fonda la Conferenza di Carità, con base alla chiesa parigina di Saint Étienne du Mont. Due anni dopo la Conferenza viene intitolata a san Vincenzo de’Paoli. Questa organizzazione riunisce giovani cattolici laici sparsi sul territorio, coordinati per essere d’aiuto alle opere di carità delle parrocchie, contattando direttamente i meno abbienti e soccorrendoli sotto l’aspetto materiale e morale.

A Torino la Conferenza di san Vincenzo arriva nel 1850 ad opera del conte Rocco Bianchi, un collaboratore dei marchesi di Barolo, e trova posto nella chiesa dei santi Martiri nella centralissima via Garibaldi. È il grande periodo dei santi piemontesi: Giuseppe Cottolengo, don Cafasso, don Bosco, il canonico Allamano, suor Maria Mazzarello, Leonardo Murialdo, ma tutti questi hanno trovato appoggio già da Tancredi e Giulia. Il marchese di Barolo nel 1826-27 è stato sindaco di Torino, e nel 1831-32 consigliere di stato. Le cariche pubbliche non sono solo onorifiche per lui ma occasione di organizzazione, a lui si deve l’inaugurazione del cimitero generale di Torino, dove possono trovare degno riposo sia i ricchi che i poveri, non più sotto le chiese come si era usato fino allora, ed apre una banca per piccoli risparmiatori. Giulia ha avuto molto a cuore la sorte delle ragazze che per cattive compagnie o per fame hanno rubato, si sono prostituite e anche sono finite in prigione. Le condizioni di carcerazione sono disumane, nessun pentimento, nessun recupero è possibile. Interviene la marchesa: celle pulite, aria, mangiare decente, istruzione. Alcune delle carcerate, dopo la fine della loro pena restano con Giulia e diventano le suore Maddalene, un ordine religioso di clausura promosso da laici, ma altre suore, quelle di sant’Anna, sempre sponsorizzate da casa Barolo, diventano maestre specializzate per gli asili infantili.
Nel 1835 Torino viene colpita dal colera, Tancredi e Giulia si prodigano fino allo stremo, il marchese perde la sua salute e muore due anni dopo. Giulia continua indefessamente le opere di carità. Silvio Pellico arriva pur egli minato nel fisico dopo la durissima prigionia nella fortezza austriaca dello Spielberg, viene assunto ed accudito fino alla fine della sua vita in palazzo Barolo dove diventa segretario e bibliotecario, e può scrivere il capolavoro che gli darà la fama, il semplice ma significativo testo de Le mie prigioni. Seguono nel 1845 l’ospedaletto di sant’Anna per bambine disabili, nel 1847 la scuola professionale operaia per ragazze, nel 1857 la scuola di tessitura e ricamo. Alla sua morte nel 1864 il patrimonio della marchesa, 12 milioni di lire,  formerà l’Opera Pia Barolo, ancor oggi in attività.

Intanto, Ozanam ha ricoperto le cattedre di diritto commerciale, e di letteratura straniera all’università parigina della Sorbona. Scrive numerose opere ed articoli dove difende la civiltà ed il valore culturale ed artistico del Cristianesimo, per questo diventa uno dei primi studiosi ed esperti del medioevo europeo, specie nei suoi aspetti sociali e popolari. Questo colto ed attivo uomo muore prematuramente a 40 anni, ma lascia importanti eredità di storiografia ed organizzazione caritativa.
L’ultima opera realizzata da Giulia di Barolo fu una chiesa nel nuovo quartiere torinese di Vanchiglia, intitolata a santa Giulia. Che l’attiva marchesa prevedesse già la beatitudine propria e del marito Tancredi ? Anche Ozanam l’ha ottenuta per le sue opere, ma se leggiamo il nome di Barolo inevitabilmente ci viene in mente un vino. Ebbene, senza l’opera di coltivazione, incrocio dei vitigni e selezione di Giulia e Tancredi nei loro poderi oggi un tale celebre vino non esisterebbe. È un monumento del gusto, e rammentiamoci quali miracoli di Gesù sono legati al vino.

 

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