di Mattia Spanò
Desidero rispondere all'articolo di Manlio Rossi “La demolizione di Comunione e Liberazione”. Mi sembra che Rossi dica cose giuste, o quanto meno plausibili, corredandole di argomenti imprecisi e talvolta volatili. Intanto segnalo quello che mi sembra un errore di metodo analitico descrivibile in questi termini: l'identificazione di un carisma con il suo fondatore e i suoi leader.
Storicamente i carismi nella Chiesa hanno riguardato la fondazione di ordini religiosi a vocazione sacerdotale o almeno consacrata (benedettini, francescani, domenicani, gesuiti etc.) che hanno dato un impulso straordinario alla vita della Chiesa, sovente riformatore pur non avendone in nuce il programma – la stolida fissazione ideologica per le “riforme” è amenità recente. Dal Concilio Vaticano II è stato un proliferare vigoroso di movimenti laici a marcata vocazione pastorale, atta a innestare i non consacrati nella vita della Chiesa alle condizioni particolari di ognuno. Il sorgere più o meno spontaneo – al netto dell'Azione Cattolica e spesso da costole della medesima, come Gioventù Studentesca – di movimenti laicali (giustamente Rossi ricorda la Fraternità San Carlo e in forma diversa i Memores Domini, forme più tradizionali di apostolato e vita professa) può far supporre uno sfilacciamento del rapporto fra la leadership – parola orripilante per la quale faccio ammenda – consacrata e il popolo non consacrato, e quindi una risposta magari mal data, magari incompleta ad un problema gravissimo e reale. Questo elemento Giussani, la carenza educativa, il non saper nulla della Chiesa, lo aveva colto con straordinaria lucidità e in larghissimo anticipo sui tempi. Quale che sia il punto di vista di ognuno al riguardo, va riconosciuta una costante con il passato: il contributo dei non consacrati alla vita della Chiesa, che non va mai confuso in toto con la guida spirituale perché necessariamente più ampio e spontaneo, pur soggetto a naturali oscillazioni del contesto storico: parliamo di ordini con storie pluricentenarie alle spalle, e nel loro piccolo di movimenti che prosperano da decenni.
Di per sé lo stesso metro di giudizio andrebbe applicato all'interno degli ordini stessi: seguendo il ragionamento di De Mattei – che Rossi debolmente a mio avviso contesta, chiamando in causa la devozione di Giussani per la Madonna – possiamo supporre che il magistero ignaziano contenga in origine i prodromi dei vari Rahner, Arrupe, Sosa, Spataro e last but not least Sua Santità. O almeno possiamo essere confidenti che, sfrucugliando ben bene e interpretando alla luce delle successive conoscenze e sensibilità stratificate, sia possibile documentare tutto e il suo contrario, anche il sostanziale scollamento di Sant'Ignazio dalla Retta Dottrina. Se invece postualiamo che l'intenzione di Giussani, della Lubich, di Arguello ed altri sia quello di innestarsi nel solco del Magistero e della Tradizione – fattore certificato dai vari riconoscimenti canonici – allora la critica di De Mattei possiamo derubricarla a campanello d'allarme, beninteso prezioso, piuttosto che un'accusa compiuta di modernismo, termine che rischia di portarsi bene tanto quanto “fariseo”, “cattolico gommista” o “pipistrello”. È forse superfluo precisare che tale riconoscimento canonico non va visto né come irreversibile – l'idea dell'irreversibilità dei fenomeni la lasciamo volentieri a Sua Santità – né come esente da critiche. Tuttavia la vita di un movimento o di un ordine religioso è epifania troppo vasta e complessa per essere ridotta alla sensibilità del fondatore, e andrebbe forse trattata meno speditamente.
Anche l'espressione “vacuità intellettuale” riferita a Don Giussani mi pare ingenerosa. Ma non voglio eludere la radice della critica di Rossi perdendomi nei meandri della polemica, critica che mi sento di sintetizzare in questo modo: la gente, i cattolici della comune specie per citare Pegùy, non segue più (o non dovrebbe seguire) le guide che tradiscono il Magistero e perdono tempo ad attaccare la base critica (di questo passo, comincerò a provare una sorda simpatia per questi farisei tanto bistrattati). Non perdo un minuto di tempo nel sostenere se quello riportato sia o meno il pensiero di Carròn – diciamo che lo è – né se Carròn sia o meno il degno successore di Giussani – diciamo che lo é – né se lui o altri capintesta ciellini meritino di essere definiti cristiani: ricordo soltanto che Bergoglio accusò Trump di non essere cristiano per la ben nota vicenda del muro messicano, e la cosa urtò non poco le sensibilità più attente alla tradizione come quella di De Mattei e, in sedicesimo, anche la mia.
Se il bersaglio di Rossi è quello che ho malamente sintetizzato, non vedo il problema. Precisamente non lo vedo per quello che lui stesso rimarca lodevolmente quando afferma "il movimento non è la Chiesa", quindi è possibile essere cristiani anche fuori di esso? Carron, consapevolmente o meno, demolisce CL? Pazienza, ce ne faremo una ragione. Intende traghettare CL nell'alveo di questa "nuova Chiesa" di cui molti vaneggiano? Molta gente gli terrà dietro? Segnaleremo il pericolo, ne discuteremo anche animatamente, ma lasciando a Dio gli adempimenti. Fa parte del gioco dai tempi di Sant'Atanasio. Come disse S.S. Benedetto XVI, la barca appartiene a Cristo, "Lui che la guida".
Con ciò non voglio ovviamente significare che Rossi abbia del tutto torto. Le perplessità siamo generosi nel definirle tali, avviluppano molti, lui e il sottoscritto compresi. Solo lo invito a non arrendersi a queste. Il discernimento è stato "inventato" da San Paolo, quel "vagliate tutto e trattenete ciò che vale" che ha illuminato la vita di Giussani e per debole riflesso anche la mia. Se CL deve finire in un cumulo di macerie, il tempo dirà e ognuno se ne assumerà le responsabilità che gli spettano come crede e come può. Per conto mio, don Giussani mi ha educato all'amore a Cristo e alla sua Chiesa, e di questo gli sarò sempre grato.
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