29 settembre 2017

L’obitorismo. Nascita di un nuovo genere letterario (I parte)


di Marco Sambruna

“Lo zoo è la rappresentazione della città, lo zoo safari del suburbio residenziale fuori città. Visti dal sedile anteriore destro del monovolume, gli animali sfilavano in tutto il loro insuccesso, non sapevo se essere felice nel vederli vivi o compiangere la fierezza addomesticata, il portamento ammaestrato, la mia situazione fallimentare”
(Giorgio Falco, L’ubicazione del bene)

Ultimamente mi sono soffermato a leggere alcuni romanzi della recente narrativa italiana vincitori, o comunque finalisti, di quello che è forse il massimo premio letterario italiano, cioè il “Premio Strega”. Ho letto i seguenti titoli: “La Chimera” di Sebastiano Vassalli, “Diceria dell’untore” di Gesualdo Bufalino, “Accabadora” di Michela Murgia, “Storia della mia gente” di Edoardo Nesi. Di altri romanzi recentemente premiati invece conosco il contenuto senza averli letti: “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi e “La scuola Cattolica” di Edoardo Albinati.

Ho potuto constatare, pur nella diversità degli argomenti trattati e nella personalità dello stile, almeno un paio di elementi comuni:
Il memorialismo come scuola letteraria che getta uno sguardo retrospettivo sulle vicende recenti d’Italia.
L’agnosticismo come assoluta indifferenza alla religione se non per rappresentarne l’aspetto oscurantista, regressivo e,  in alcuni casi, grottesco.

IL MEMORIALISMO

Il memorialismo, o il passatismo come direbbe un futurista, che anima il romanzo italiano contemporaneo riguarda, nei casi sopra citati, il recupero di un aspetto della storia regionale italiana in una sorta di riedizione del verismo di fine Ottocento. Come accade nella ricostruzione del novarese del Seicento in “La Chimera” dove sotto la dominazione spagnola si narra di un processo di stregoneria a cura di una chiesa locale immersa nella più cupa ignoranza, ben prima quindi di essere rischiarata dai lumi rivoluzionari. La dimensione memoriale regionalista è presente nella Sicilia post bellica di Bufalino,  nella Sardegna anni Cinquanta della Murgia, nelle paludi pontine del Ventennio di Pennacchi. Finalmente col romanzo di Nesi “Storia della mia gente” ci accostiamo alla storia recente d’Italia attraverso le vicende imprenditoriali del protagonista. Si tratta però sempre di una ricostruzione memoriale sebbene riguardi un frammento recentissimo della storia nazionale, quello degli anni Ottanta e Novanta caratterizzati dalla crisi e dal crollo dell’illusione di un benessere perpetuo.

In tutti i romanzi la dimensione religiosa o è completamente assente cioè manifesta la sua presenza tramite una clamorosa assenza, oppure se c’è se ne sottolinea la beceraggine cinica e grifagna sotto forma di una presunta disumanità del clero e dell’ignoranza malvagia della gente.

Nel romanzo della Murgia, ad esempio, il tema è quello dell’eutanasia, seppure trattato con delicatezza, come pratica da sempre in uso anche nella Sardegna arcaica del romanzo; in quello di Vassalli il clero novarese, evidentemente rappresentativo di tutta la Chiesa, è attanagliato da angosce nere, tenebrosi presagi necrofili, affetto da sadismo acuto dove “la Chimera” del titolo allude alla inesistenza di Dio. infine in Bufalino all’interno del romanzo troviamo alcune annotazioni amaramente disilluse sul significato della fede scritte da un prete morto in una specie di sanatorio che sembra riecheggiare gli appunti di qualche prete modernista di cui sia stato rinvenuto il diario all’indomani della morte.

MEMORIA  E RELIGIONE

In tutti o quasi questi romanzi in cui sono rappresentati aspetti di vita italiani si ha la sensazione di leggere la biografia di un estinto, la cronaca delle vicende salienti di una persona passata a miglior vita. Ecco allora che anziché memoriale questi romanzi rivelano una natura più esattamente biografica: descrivono cioè le vicende biografiche di un popolo con le sue eccellenze e le sue bassezze come si potrebbero descrivere vizi e virtù di un uomo che non c’è più.

Tuttavia è possibile descrivere efficacemente qualcuno o qualcosa solo se nel suo carattere e nei suoi tratti peculiari si possono cogliere degli aspetti personali che lo connotano e lo specificano nettamente. Tanto più la realtà descritta appare articolata e complessa, quanto più sarà ricca di sfumature, avvincente e coinvolgente e in certi casi anche avventurosa. Sappiamo tutti che un libro è anche un prodotto commerciale, cioè deve vendere, ma solo ciò che offre qualcosa di originale e quindi di intimamente connesso con un carattere peculiare può affascinare il lettore e stimolarlo all’acquisto.

Il romanzo italiano contemporaneo quindi è pressoché costretto a fare del memorialismo, ossia a rivolgere lo sguardo al passato proprio per la ragione che il presente non è rappresentabile e non lo è perché appare come un prodotto privo di caratteristiche proprie, anonimo e standardizzato. Descrivere la realtà italiana attuale dunque non vale la pena perché non c’è nulla che connoti in modo peculiare i popoli italiani conferendo loro una fisionomia specifica.

Nulla differenzia ormai il carattere italiano con i suoi usi, costumi, visioni del mondo dagli usi, costumi e visioni del mondo del resto del mondo occidentale: l’Italia è dunque diventato ormai un prodotto standardizzato, perfettamente omologato a qualsiasi altri prodotto che l’occidente produce.
Non vale più la pena descrivere l’attualità italiana perché semplicemente non c’è più nulla di avvincente da descrivere; l’attualità del carattere italiano odierno infatti è simile a un celebre quadro di Lucio Fontana: una tela completamente bianca attraversata da un taglio obliquo, attraverso il quale, forse, è ancora possibile afferrare qualche lacerto del passato, questo si, rappresentabile con un certo interesse a beneficio del lettore.

Descrivere l’Italia odierna ormai spossessata di tutte le sue ricche sfumature e della sua complessità significa tentare di descrivere i fenomeni biologici che fermentano su una salma, vuol dire doversi limitare ad eseguire un autopsia, compilare un referto scientifico il cui unico scopo è quello di adempiere a un dovere burocratico.

Ma è chiaro che la semplice descrizione didascalica di un corpo morto dal punto di vista narrativo non interessa nessuno. E dunque, infine, non resta che la strada del memorialismo biografico ossia rievocare le vicende di quel corpo irrigidito dalla morte quando ancora si muoveva, agiva, si relazionava col mondo secondo modalità sue proprie che lo differenziavano dalle modalità di altri corpi che agivano sotto altre latitudini.

(continua)

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