di Hercule Flambeau
La violenza, in qualunque sua declinazione
(diretta, indiretta, fisica, morale, personale, sociale…), sta dunque a
fondamento di tutte le relazioni umane. [21] Il desiderio si ingenera non
dalla cupidigia per un oggetto qualunque, ma dalla brama di raggiungere e
superare il prossimo per mezzo del possesso di qualcosa. [22] Questo
confronto si avvia in modo incruento ma, rapidamente, cresce in ferocia
trasformando il modello, il “doppio mimetico”, in un letale rivale che,
desiderando il possesso delle stesse cose che noi desideriamo, si oppone al
raggiungimento del nostro agognato compimento.
Il confronto al fine del possesso
di un oggetto può sussistere, in sé, soltanto negli stadi iniziali dell’
escalation; mano a mano che il duello si incrudelisce, si fa
strada sempre più una identità, una con-fusione tra i contendenti. I doppi
mimetici si fondono l’uno nell’altro fino ad essere incapaci di scindere il
desiderio dell’oggetto dal desiderio di sopraffazione dell’altro. L’oggetto
stesso passa in secondo piano dato che, una volta che uno dei due l’abbia
ottenuto, i contendenti battaglieranno o per la difesa dello stesso o per
l’appropriazione di qualcos’altro.
La peculiarità del meccanismo
mimetico è quella di non influenzare solo le relazioni tra i singoli
individui ma di spandersi all’interno di una comunità come un morbo
infettivo, aumentando esponenzialmente il numero dei contendenti e il
livello di violenza del loro confronto.
Si capisce
come un meccanismo di violenza mimetica di questo tipo, una peste come
questa, possa portare alla formazione di fazioni contrapposte all’interno
dello stesso popolo, sollevando gli uni contro gli altri fino a mettere a
repentaglio non solo la pacifica convivenza di una comunità ma la sua
stessa sopravvivenza. [23]
È per questo che, fin dalla fondazione del mondo
, tutte le comunità umane elaborarono un meccanismo di difesa verso questo
tipo di degenerazione violenta. [24] Girard nota che, da sempre e a tutte
le latitudini, quando il calore dello scontro all’interno di una comunità
abbia raggiunto il suo culmine, si innesca un meccanismo di selezione di
uno o più individui, preferibilmente diversi, stranieri, deboli, che la
comunità, tramutatasi in folla, addita come responsabili del caos.
In un più o meno breve lasso di tempo
, il processo prevede che tutti i contendenti si coalizzino contro quella
vittima e arrivino ad ucciderla nell’intento di ristabilire la pace
sopprimendo l’ipotizzata causa scatenante della crisi. [25] Alla fine del
processo mimetico tutta la popolazione si ritroverà coalizzata nello stesso
partito, la fazione degli uccisori del capro espiatorio: colui che aveva
portato morte, malattia, sventura o guerra all’interno di una comunità
inizialmente pacifica.
La coagulazione di tutta la popolazione
dalla stessa parte ha l’effetto di sedare la violenza montante. Dopo
l’assassinio del colpevole la pace viene a ristabilirsi fra i partecipanti
all’omicidio (almeno fino alla successiva crisi violenta) confermando il
fatto che, evidentemente, il morto fosse sia la causa delle precedenti
sventure, sia, con la sua morte, la causa del ristabilirsi della pace. La
potenza dell’omicidio, l’improvviso ristabilirsi di una certa serenità
all’interno della comunità, spinge inoltre il popolo a congetturare che,
l’ucciso dovesse essere un dio o un eroe, dato che nessun essere umano
potrebbe rivendicare per sé un tale potere. Il gesto compiuto, per la sua
potenza misteriosa, si configura come l’irrompere del sacro nel vissuto
quotidiano della società degli uomini. [26]
La possibilità di una duratura convivenza
tra gli uomini si fonda dunque su un omicidio fondatore che, nei secoli e
nei millenni, si tramanda nelle rappresentazioni rituali di quel sanguinoso
atto iniziale. Il rito, definendo e ricalcando i tempi, i modi e i gesti
del primo assassinio, previene e scongiura gli effetti più drammatici e
sanguinosi delle possibili crisi mimetiche violente successive.
Il ritualizzarsi delle forme
, nel tempo, porta ad un occultamento sempre più raffinato della brutalità
iniziale facendo emergere modalità incruente di rito (tramite l’immolazione
di animali, o di offerte inanimate, o di simboli …) e strutture sempre più
complesse e monumentali: nasce il sacro, la religione. [27]
Tutta la civiltà umana
si fonda dunque sulla religione, essa è lo strumento sociale che dà alla
comunità umana la stabilità necessaria allo svilupparsi della cultura e
delle arti. [28] Il sacro è il meccanismo di bilanciamento di un sistema
altrimenti altamente instabile, una sovrastruttura costruita lungo i secoli
per stabilizzare ciò che, se lasciato a se stesso, imploderebbe
velocemente, un espediente sociale mirato al controllo della violenza tra e
nei popoli.
[21] “La violenza, in qualsiasi forma essa si esprima, esclusione,
emarginazione, sopraffazione, è a fondamento delle relazioni umane, di quel
“mimetismo” che attraversa “me” e “l’altro”. E’ certo poco rassicurante
credere, con Girard, che l’odio verso il rivale nasconda il desiderio di
essere al suo posto, e che siano solo i nostri stessi desideri ad
alimentare la violenza. Eppure, è solo attraverso la tragica consapevolezza
di questa condizione, e cioè dell’impossibilità di sottrarci alla spirale
della violenza, che può prendere corpo la possibilità della non-violenza,
la possibilità, scrive Girard, dell’amore.” Girard, intro il risentimento
[22] L’ipotesi mimetica si riassume nell’espressione desiderio di “essere
secondo l’altro”. Si tratta di riconoscere in ciascuno di noi un essere
costitutivamente mancante, che non è autonomo né autosufficiente, ma che
viene formandosi e trasformandosi attraverso l’altro, nel corso delle
incessanti interazioni umane. Questa nostra incompiutezza non è tuttavia
segno di «kantiana» minorità, di una maturità a venire, ma una condizione
generativa, espressione di apertura e di potenzialità, come suggerisce
d’altra parte la parola «desiderio». Girard il risentimento
[23] Forte dell’acquisizione della teoria mimetica, egli si rivolge ora
alla mitologia delle religioni arcaiche, all’enorme mole del materiale
etnografico, alle tragedie greche. Userà la teoria mimetica come chiave
ermeneutica per rileggere la mitologia. La teoria del desiderio mimetico
conduce direttamente, come abbiamo visto, ad una nuova comprensione dei
rapporti umani minacciati costantemente dalla violenza, la quale appare
sempre come elemento presente nella mitologia e soprattutto in
quell’elemento della realtà mitologica generalmente trascurato che è il
sacrificio. Analizzando una mole enorme di materiale etnografico troviamo
che tornano sempre, alle più disparate latitudini e longitudini, gli stessi
elementi ricorrenti: inizialmente una violenza e disordine generalizzati
(peste, incesti, parricidi, ecc.); la delineazione di un colpevole;
l’eliminazione del colpevole tramite un sacrificio; la ricomposizione
dell’ordine e la riappacificazione della comunità; il ritorno sacralizzato
della vittima in veste positiva. A questo punto Girard ha gli elementi per
proporre una nuova teoria del sacrificio. La struttura antropologica umana
basata sul desiderio mimetico conduce diritto ad una violenza
generalizzata. All’inizio della storia, le prime comunità umane devono aver
sperimentato in maniera distruttiva l’escalation della violenza generata
dall’escalation dei desideri mimetici tra i membri della comunità. Poco
alla volta queste comunità primitive hanno cominciato a sperimentare che
alcuni fatti erano in grado di riportare la pace azzerando la violenza
indiscriminata: quando la violenza indifferenziata di tutti finiva per
coalizzarsi contro un membro della comunità che casualmente, per certe sue
caratteristiche, finiva al centro dell’attenzione violenta di tutti.
Avviene, in questo modo, una specie di transfert: la vittima che
casualmente era finita al centro dell’attenzione violenta, aveva finito per
polarizzare la violenza di tutti contro di sé, diventando la somma di tutti
i mali e funzionando come una specie di parafulmine per tutti gli altri. La
vittima finiva distrutta, ma la comunità si ritrovava momentaneamente
sollevata dalla minaccia della violenza indiscriminata. Entra allora in
funzione un secondo transfert: la ritrovata solidarietà viene accreditata
alla vittima, la quale, se prima appariva come la somma di tutti i mali,
ora appare come la causa della pacificazione. Da questi eventi spontanei,
pian piano si generano i riti: per prevenire l’insorgere della violenza si
cominciò a ripetere l’evento che aveva riportato la pace, tramite una
specie di simulazione dell’evento fondatore: il sacrificio, che doveva
essere tanto più correttamente ripetuto quanto più da esso dipendeva
l’ordine e la pace sociale. Tutta una serie rigorosa di regole e di divieti
(i tabù) delimitano tempo e spazio del sacrificio della vittima, i quali
assicuravano così pace e prosperità alla comunità. Nasce in questo modo “il
sacro”. Dalle vittime nascono le divinità ed è così spiegata la loro strana
ambivalenza tra il malefico e il benefico. Il sacrificio diventa quindi la
pietra angolare della cultura umana: esso è all’inizio l’unica possibilità
di contenimento dei processi di violenza indiscriminata; esso è l’unico
responsabile della generazione delle differenze all’interno della comunità
che sono in grado di conservare l’ordine sociale; da esso nascono le varie
espressioni culturali: il sistema politico (il potere della vittima
differita), il sistema giudiziario (basato sulla regolazione della
vendetta), il sistema economico (l’addomesticamento degli animali come
vittime sostitutive), ecc.
[24] “L’iniziazione [alla religione animista] potrebbe sembrare positiva;
ma, in realtà, questo rito è un inganno, una dissimulazione che utilizza la
menzogna, la violenza e la paura. Le prove fisiche e le umiliazioni sono
tali che non portano ad una vera trasformazione né ad una assimilazione
libera degli insegnamenti da cui l’intelligenza, la coscienza e il cuore
dovrebbero venire sollecitati. Vi si coltiva una sottomissione servile alle
tradizioni per paura di essere eliminati nel caso in cui non ci si conformi
alle prescrizioni. Durante il rito di iniziazione, i guardiani delle usanze
fanno credere alle donne che il giovane adolescente muore e rinasce a
un’altra vita. L’iniziato sarebbe mangiato da uno spirito, il “nh’emba” e,
in base alle credenze animiste, è restituito alla società con uno spirito
nuovo. La cerimonia di ritorno al villaggio è particolarmente solenne,
perché il giovane appare per la prima volta pretendendo di essere
fisicamente un uomo diverso, dotato di nuovi poteri nella società.
L’iniziazione è un rito obsoleto, incapace di rispondere alle domande
fondamentali della nostra esistenza e di mostrare come l’uomo guineiano
possa integrarsi nella maniera giusta in un mondo pieno di sfide. Infatti,
una società che non favorisce la capacità di progredire, di aprirsi ad
altre realtà sociali per accogliere serenamente la propria trasformazione
interiore, si chiude in se stessa. Ora, l’iniziazione ci rende schiavi del
nostro ambiente, rinchiusi nel passato e nella paura. [R. Sarah, Dio o
niente, p 21]
[25] “Le persecuzioni che ci interessano si svolgono di preferenza durante
periodi di crisi che comportano l’indebolimento delle istituzioni normali e
favoriscono la formazione di “folle”, cioè di assembramenti popolari
spontanei, suscettibili di sostituirsi interamente a istituzioni indebolite
o di esercitare su queste una pressione decisiva. […] Il crollo delle
istituzioni cancella o comprime le differenze gerarchiche e funzionali,
conferendo a ogni cosa un aspetto insieme monotono e mostruoso […] La folla
tende sempre verso la persecuzione perché le cause naturali di ciò che la
sconvolge, di ciò che la trasforma in “turba”, non possono interessa rla.
La folla, per definizione, cerca l’azione, ma non può agire sulle cause na
turali. Cerca dunque una causa accessibile che sazi la sua brama di
violenza. I membri della folla sono sempre dei persecutori in potenza,
perché sognano di purgare la comunità dagli elementi impuri che la
corrompono, dai traditori che la sovvertono.” Girard, il risentimento
[26] “La figura del “capro espiatorio” è complessa. Per un verso, indica
una vittima innocente che, polarizzando attorno a sé e su di sé gli odi
reciproci, i veleni insidiosi della mimesi, salva la comunità dalla “crisi”
interna, generata dagli effetti distruttivi delle rivalità che alimentano
il desiderio unanime e indifferenziato di vendetta. La violenza sulla
vittima sacrificale limita una violenza maggiore. Senza l'”intervento
correttivo” del capro espiatorio si porterebbe all’eccesso la crisi interna
alla comunità. Per un altro verso, la vittima espiatoria, con la propria
stessa morte, traccia una differenza incolmabile tra sé e i propri
persecutori. In quello spazio vuoto si realizza la catarsi della comunità.
In essa irrompe il sacro. I sopravvissuti rimangono attoniti di fronte al
prendere corpo – al posto delle molteplici narrazioni parziali l’una contro
l’altra – di un’unica grande narrazione che iscrive la vittima nella sfera
del sacro attraverso il suo sacrificio. Chi, se non proprio colui che,
secondo questa narrazione totalizzante, ha generato il caos può essere
all’origine del nuovo ordine? Chi, se non la vittima, sarà consacrata eroe
del mito, e commemorata attraverso il rito e i divieti che esso sancisce?
Per Girard, la storia dell’umanità inizia dunque con la figura simbolica di
un omicidio fondatore, che i sopravvissuti raccontano nei loro miti e
rivivono ciclicamente nella pratica rituale (7). Le società arcaiche,
figlie di quell’assassinio, ossessionate dal rischio del dilagare della
violenza, hanno cercato in ogni modo di prevenire le forme di rivalità
mimetica: hanno perfezionato I divieti, canalizzato il desiderio
conflittuale attraverso il sacrificio rituale e consolidato l’ordine
sociale nei miti che raccontano in modo camuffato quell’assassinio, come
dimostra l’analisi girardiana di tutti i testi mitici della tradizione
occidentale (8).[1]” Girard il risentimento
[27] “Una volta in possesso di questo filo conduttore costituito dalla
“mimesi” e dalla vittima espiatoria, ci si accorge immediatamente che solo
la nostra ignoranza può ricondurre i divieti primitivi alla pura
superstizione o ai fantasmi: il loro oggetto infatti è reale, ed è la
“mimesi” desiderante stessa, con tutte le violenze che l’accompagnano.” R.
Girard, Il Risentimento. “Molti indizi teorici, testuali e archeologici
suggeriscono che nei primordi dell’umanità le vittime erano soprattutto
umane. Con l’andar del tempo gli animali hanno sostituito in misura
crescente gli uomini, ma quasi ovunque le vittime animali passano per
essere meno efficaci delle vittime umane. In caso di estremo pericolo,
nella Grecia classica, si ritornava al sacrificio umano. Se dobbiamo
credere a Plutarco, alla vigilia della battaglia di Salamina Temistocle,
sotto la pressione della folla, fece sacrificare dei prigionieri
persiani.”R. Girard Vedo satana cadere come la folgore p. 116
[28] La gente cominciò prima a rendere onore ad un luogo, e poi guadagnò
gloria in suo nome. Gli uomini non amarono Roma perché era grande. Roma fu
grande perché gli uomini l’avevano amata» Ortodossia Chesterton
Pubblicato il 22 giugno 2017
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