Il 19 giugno scorso, commentando il nuovo attacco di Roberto Dal Bosco ed Elisabetta Frezza nei confronti di Francesco Agnoli, avevamo invitato i due esponenti del mondo pro-life a non limitarsi alla critica distruttiva nei confronti delle scelte altrui, ma ad esplicitare in termini costruttivi la propria strategia. Avendo fatto una domanda ed avendo ricevuto risposta, riteniamo giusto pubblicarla, nonostante il nostro fermo dissenso nei confronti di alcuni toni ed espressioni utilizzati dai nostri interlocutori. Non crediamo che, da una parte e dall'altra, esistano "traditori" della causa: esistono persone che manifestano idee diverse su come condurre la stessa battaglia. E' importante che queste idee si confrontino in maniera serena e pacata, senza isterismi e chiusure preconcette, senza che si metta in dubbio la buona fede dell'altro. Da parte nostra, cerchiamo di dare il buon esempio, sottoponendo all'attenzione dei lettori la risposta di Dal Bosco e Frezza. Speriamo che questo sia il primo passo di un nuovo modus operandi, che coinvolga tutti gli interlocutori in campo.
di Roberto Dal Bosco ed Elisabetta Frezza
Avendo
letto l’articolo del 19 giugno a noi indirizzato, intendiamo
innanzitutto ringraziare per la radiografia così chiara e nitida del quadro
concettuale su cui si fonda il nuovo, ennesimo tradimento democristiano. E
dell'identikit che, forse involontariamente, ci avete fornito dei nuovi traditores.
Siamo
d'accordo sul fatto che si deve guardare negli occhi la realtà per quella che
essa è: ci troviamo dentro ad una mostruosa sbornia libertaria, che altro non è
che la pulsione di morte di questa nostra civiltà prossima allo stadio
terminale.
Siamo
d'accordo anche sul fatto che vi sono dei principi per loro natura non-negoziabili.
Ci
preme però dire che forse è arrivata l’ora di urlare che non solo per dei
principi bisogna lottare, ma per delle vite in carne ed ossa che palpitano
dietro di essi.
Non
siamo invece d'accordo col confinare la polemica nell'angusto ambito del
«microcosmo tradizionalista»: il «tradizionalismo» non c'entra proprio nulla,
qui c'entrano la ragione e la fede di ciascuno.
Bene.
È
evidente - e l'esperienza fatta nei decenni trascorsi ne è incontestabile
cartina di tornasole - che prestarsi a entrare nella logica di un meccanismo
perverso, oltre a non scalfirne minimamente l'azione, conferisce ad esso un
apporto di cui mai è poi mai dovrebbe beneficiare: l'apporto del mondo
sedicente cattolico e sedicente pro-life. Il
quale finisce in questo modo, sempre e fatalmente, per divenire un potente
lubrificante, una forza legittimante di enorme suggestione collettiva, che
usurpa il nome di cui si fregia: i pro-life come un sottoinsieme dei
pro-choice. La
trentennale, fallimentare storia del crocevia politico-vescovile chiamato
Movimento per la Vita parla chiaramente di questa catastrofica eterogenesi dei
fini: si è ottenuta la ossimorica legittimazione pro-life dell’aborto di Stato,
perseguita ostinatamente dai sedicenti cattolici a suon di dosi omeopatiche di
«limitazione del danno» (termine non per nulla di matrice radicale) e di
«aborto minimale» (quest’ultimo ora notoriamente ribattezzato dai recenti
catto-quisling della Necrocultura come «abortismo umanitario»).
Ma
a parte il risvolto pratico negativo di questa compartecipazione al male, è
proprio il tradimento stesso del principio a non restituire - mai - sul piano
dell'utilità il danno provocato. Una
volta incrinato il principio, è perduta ogni possibilità di invocarlo. Un vaso
rotto è rotto, anche se è di enorme pregio artistico e storico: non vale più
nulla. Lo stesso vale anche sul piano umano: un embrione distrutto è distrutto
per sempre, con lui è annientato un uomo, un fratello, un figlio.
Mai
come ora, in una situazione disperante come l'attuale, i pro-life devono
avocare a sé una parte di rottura del sistema, di denuncia chiara, di fiera
estraneità ai giochi di potere condotti sulla vita e sulla carne dei milioni di
innocenti. Un
lumino deve restare acceso anche nel buio più fitto, a segnalare dove alberga
la verità, quella tutta intera. Da lì almeno, un giorno o l'altro, si potrà
ripartire.
L’estensore
dell’articolo ci pone dunque la sempiterna domanda politica che già angustiava
Lenin: «Che fare?» La
risposta non può che essere, giocoforza, politica: bisogna suscitare una forza
in grado di opporsi categoricamente a quel programma di distruzione della
natura umana con il quale l’on. Roccella, e i suoi omologhi e sodali di ieri e
di oggi, vogliono scendere subito a patti. Una forza che sia fatta di gente -
preferibilmente non ex abortiste radicali impenitenti con un passato di
propalatrici del feticidio con passino e pompa di bicicletta - a cui poter
affidare una missione così fondamentale per il futuro della comunità umana.
Servono uomini in grado di agire senza timore su un
mondo folle e impazzito; in grado di creare, di proteggere, anche di
distruggere quanto impedisca una inversione di rotta. Ci rendiamo conto che una tale schiera di persone,
al momento, nemmeno appare all’orizzonte.
Tuttavia, affinché essa possa un giorno esistere,
bisogna risolversi una volta per tutte a sfiduciare la presente classe parlamentare sedicente
cattolica, composta da persone incapaci persino di intercettare - come almeno
tentano di fare un Renzi, un Grillo, un Berlusconi - il sentimento inquieto
della popolazione, la prospettiva prossima ventura di un crash di sistema in cui non sarà di certo il moderatismo a pagare. È solo separando il bene dal male, la luce dalla
tenebra, che si può sperare di ripristinare un ordine.
Chiediamo dunque a gran voce una rifondazione del
cattolicesimo politico italiano. Questo è ciò che va fatto, ora. Una nuova
palingenesi del potere cattolico, il cui imponente lavoro di costruzione, per
quanto titanico, non dovrebbe spaventare, ma entusiasmare.
Al contrario di quanto ci viene imputato, non si
tratta qui di fare una battaglia ideologica, ma di combattere una guerra
materiale. Una guerra sì culturale, ma anzitutto biologica. Non si tratta di mantener le proprie mani pulite: al
contrario, di sporcarsele il più possibile, arrivare allo scontro,
radicalizzarlo, chiarire le reciproche posizioni, che sono per forza di cose
opposte e inconciliabili. Si tratta di procedere saldi nella convinzione che
bisogna andare à la guerre comme à la
guerre.
Il
programma effettivo di questa battaglia è tutto da scrivere, ma ci permettiamo
di anticiparne qualche punto.
Primo. Si dovrà denunciare la
guerra per quello che è: guerra, e non l’oscena pax bioetica che regna nella politica e negli ospedali, dove si
pretende di far convivere allegramente santi e assassini.
Secondo. È opportuno avviare
programmi di lotta ai feticci del disastro pro-life, come ad esempio l’immondo
aborto di stato (la passione democristiana per lo stato-mammana mai è stata
denunciata sino in fondo) e la sempre più ipocrita questione dell’obiezione di
coscienza così come professata e praticata oggi, foglia di fico che nessun
nuovo paletto potrà tenere a coprire un sistema ormai putrescente.
Terzo. Va potenziato ogni canale
di resistenza fisica (marce per la vita, rosari, picchetti, sit-in, magari
anche simpatiche «torte in faccia per la vita» che molti mostri bioetici
meriterebbero, etc.) contro i massacri che lo Stato perpetra tramite l'aborto e
la fabbricazione di esseri umani in laboratorio.
Quarto. Andrebbe programmata una
campagna mediatica permanente - così come del resto fanno gli animalisti, i
radicali, gli ambientalisti, Amnesty, Greenpeace etc. - che non tema di
mostrare l’orrore per quello che è, realizzando il desiderio di San Pio da
Pietralcina di «gettare in faccia le ceneri dell’aborto ai responsabili» [i
responsabili siamo noi tutti, nessuno escluso, in quanto volonterosi sudditi e
contribuenti dello stato-Erode].
Quinto. Va radicalizzato lo
scontro rendendo più chiare possibili le posizioni in gioco. Non c’è aborto
minimale, non c’è aborto umanitario, non c’è aborto cattolico, non c’è FIVET
buona perché omologa e con il tetto di «soli» due innocenti ammazzati in laboratorio.
Chi predica tutto questo va dichiarato subito come amico di quel serpente
antico che oggi striscia tra ecografie e provette, annidandosi nella
biotecnologia riprogenetica e nei desideri perversamente hitleriani della
borghesia liberale post-cristiana.
Sesto. Vanno isolati e combattuti
quegli spezzoni del mondo cattolico - ecclesiastici, laici, intellettuali -
insensibili al tema della vita o addirittura compromessi apertis verbis con la Necrocultura, tanto da manipolare ai propri
fini mortiferi la dottrina cattolica.
Settimo. Va realizzata la totale tabula rasa della classe politica
sedicente cattolica. (E non sarà nemmeno un grande sforzo, visto che i partiti
che la raggruppano raggiungono a fatica percentuali di minima rilevanza).
Questa
è solo una piccola parte di quanto andrebbe fatto, contravvenendo praticamente
a tutte le regole che hanno dominato sinora la prassi cattolica e il sottobosco
pro-life di automatico contorno. Bisogna
avere il coraggio di invertire la rotta, riprogrammare l’itinerario in mappe
che il nemico non conosce. Per far questo è necessario non temere il
sacrificio, non temere il male, non temere nemmeno il ridicolo, perché la
missione è più grande di noi, del nostro dolore e dei nostri sentimenti. Ciò
che ci pare impossibile non ci deve spaventare. Del
resto, crediamo in una Resurrezione cui nessuno poteva pensare.
Perciò,
non siamo disposti a offrire nessun grano d’incenso all’Impero della Morte. Né ad
offrire la nostra tolleranza alla macellazione democristiana di un solo
embrione umano.
Pubblicato il 30 giugno 2014
Sono d'accordo in linea di massima con quest'articolo. E' vero soprattutto che laddove c'è un qualche influsso della gerarchia cattolica, salvo rare eccezioni, bisogna stare molto attenti.
RispondiEliminaMa è anche vero che nessuna battaglia veramente cattolica può essere iniziata senza che sia la Gerarchia ad avviarla. Al primo punto io metterei "la scelta di guide cattoliche autentiche e per questo credibili". Perché senza la loro presenza i Cattolici finiranno col dare pugni al vento. Purtroppo senza un Gerarchia ecclesiale degna, i vari laici, italiani e non, difficilmente si lasceranno convincere da posizioni che sono attualmente quasi esclusivamente cattoliche. Magari Roberto dal Bosco, se vuole veramente dare la vita per la causa, può entrare in seminario.
Cattolico
Se per essere pro-life autentici bisogna seguire i dettami di Dal Bosco, io dovrei lasciar perdere. Vi conviene l'emorragia di sostegno? Volete combattere pochi ma duri e puri? Allora tanti saluti.
RispondiElimina