di Alessandro
Rico

Il vero guaio è il programma.
Perché si può ragionevolmente invocare l’esempio della Grossekoalition tedesca, si possono mettere da parte le questioni
su cui sarebbe impossibile un accordo e cercare soluzioni condivise – di compromesso
– ai problemi più evidenti; si può fare tutto questo e persino governare bene
per un’intera legislatura, solo se si fa riferimento a una solida guida. Un
programma, appunto. Una cosa ben diversa da un «discorso programmatico», come
quello di Letta a Montecitorio. E come l’abito non fa il monaco, il «catoblepa»
e altri funambolismi concettuali non fanno un programma. Che non è l’analogo
grafico del prodotto di una masturbazione, ma un documento nel quale si
indichino finalità, modi e tempi di attuazione, coperture finanziarie, in
un’ottica «sistematica»: cioè, non procedendo a random, ma avendo presente un modello di Paese (si trattasse pure,
come sarebbe inevitabile per una «strana maggioranza», di un modello un po’
ibrido). È solo un progetto dotato di questa sistematicità che può invertire il
senso degli indicatori economici. Per fermare il declino non basta sospendere
l’IMU, sbloccare un altro anno di cassa integrazione e sperare che imprese
strozzate da una pressione fiscale alla soglia del 70%, ostacolate dallo Stato
ladro in ogni tentativo di investire e innovare, si mettano ad assumere grazie
a qualche incentivo.
Ad oggi, questo programma non
c’è. È vero, però, che è presto per una sentenza. Elaborare un «sistema» non è lavoro
di due giorni, almeno non finché le incombenze principali sono tutte tecniche –
elezione del Capo dello Stato con annesso congresso dei democratici, stipula di
un patto, formazione del governo, giuramento, fiducia. Già nel giro di una
decina di giorni, comunque, dovrebbe delinearsi uno scenario più definito.
Allora sarà possibile verificare, con una buona approssimazione, se la
diffidenza iniziale dovrà trasformarsi nella constatazione di un governo
abortito, o se un lavoro sui contenuti potrà aprire prospettive più
incoraggianti. La partita che si gioca è delicata, abbiamo sul collo il fiato dei
grillini che gongoleranno a ogni inciampo dell’esecutivo. Per ora, fermo
restando che il governo Letta è l’unica strada, a meno di ritrovarsi Rodotà,
Civati e Crimi, è doveroso prodursi nel gesto tipico dello scetticismo: la
sospensione del giudizio.
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