Un
«umile servo nella vigna del signore». Così si era definito Benedetto XVI
appena eletto pontefice, e in quella frase si trova forse il senso profondo del suo
pontificato. Compresa la scelta di abdicare.
Un
papa ingiustamente accusato di essere oscurantista e reazionario, ha in realtà
avviato su più fronti un processo rivoluzionario. Dallo scandalo pedofilia,
all’adeguamento della finanza vaticana agli standard internazionali di
trasparenza; dai viaggi pregni di significato pastorale (basti pensare al
Messico in via di scristianizzazione), al primo cinguettio di un pontefice su
Twitter, l’ultraottantenne Ratzinger ha dato continue prove della sua capacità
di interpretare la Storia e l’esigenza di adeguamento ad essa, salvaguardando la Verità del
magistero. Sempre un passo avanti agli altri, da questo punto di vista. E non
mi sento di escludere che sul suo gesto abbiano pesato anche altri fattori: esso può e deve essere letto infatti sia come una testimonianza di umiltà, sia come un atto di forza e di denuncia dei
limiti di una certa componente della Chiesa.
Il pensiero non può che correre
alla vicenda del famoso "corvo". Sono spontaneamente portato a escludere le
ipotesi complottiste, perciò non voglio arrivare a supporre che il «bene della
Chiesa», che Benedetto XVI ha detto di voler tutelare con l’abdicazione,
consista nell’evitare che, a scopo ritorsivo nei confronti dei suoi tentativi
di fare pulizia, siano messi in circolazione documenti più scottanti di quelli
già fuoriusciti, in grado di ledere seriamente la credibilità della Chiesa.
Resta, in ogni caso, l’impressione che il gesto del Papa rappresenti l’estremo
atto di libertà di un titano, che denuncia l’impossibilità di arginare certe
derive (a cominciare ovviamente dalla gestione non sempre oculata degli affari
economici), senza un sostegno diffuso all’interno della Curia. Senza che questa
debba sembrare, lo ribadisco, la trama del prossimo libro di pseudo-inchiesta
di Kaos editore.
In
una scelta tanto drammatica, saranno sicuramente entrati in ballo diversi
elementi, ognuno con un peso specifico che è difficile valutare, se
consideriamo che la decisione è maturata nell’arco di diversi mesi, senza che
trapelassero molte indiscrezioni. Di certo, c’è da considerare la volontà,
segnalata in tempi non sospetti, di non conservare la propria carica in
condizioni psico-fisiche che rendessero il Papa inoperante, incapace di
coltivare la «vigna del Signore», lasciando il governo della Santa Sede al suo "gabinetto". In questo senso, ancora una volta, si mescolano umiltà e severità,
la lucidità dell’uomo nel riconoscere i suoi limiti e l’intransigenza tutta
teutonica, nel non accettare un inesorabile declino della propria
autorevolezza. Perché Ratzinger è «vignaiuolo» troppo meticoloso per appaltare
il podere di Dio a dei mezzadri.
In
questo momento epocale, convulso e angoscioso, i cattolici sgomenti non possono
che ricordare le parole di nostro Signore, rivolte a San Pietro: «Tu sei
Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi
non prevarranno su di essa» (Mt 16, 18-19). Qualunque cosa accada, noi siamo
fermi in questa consapevolezza.
Pubblicato il 12 febbraio 2013
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