Dallo Stato tolleriamo comportamenti che non accetteremmo mai da un
privato cittadino. Se tizio mi presta del denaro e io non glielo rendo,
secondo i tempi e gli interessi pattuiti, nella migliore delle ipotesi
mi pignorano pure le terga. Questo vale se sono un cittadino qualunque.
Ma se mi faccio eleggere presidente di qualche Paese sull’orlo del
tracollo finanziario, posso cavarmela semplicemente non pagando il mio
debito pubblico. Io so io; da quand’in qua una Nazione sovrana
restituisce ciò che ha avuto in prestito? Ci sono almeno tre episodi in
cui i governi hanno impiegato questo trucco meschino e, checché ne dica PeppeCrillo, non sono esempi degni di emulazione.
Primo caso, l’Argentina. All’inizio del millennio, lo Stato dichiara
default e improvvisamente tutti i titoli del debito diventano carta
straccia. Questo può capitare anche nei rapporti economici tra
individui: puoi pure minacciarmi con una pistola, ma se non ho i soldi
non posso risarcirti. In una simile eventualità, però, scattano sfratti e
confische; invece, l’Argentina ha svalutato il suo denaro, ha avviato
per fatti suoi una politica di cosiddetto risanamento e, quando l’ha
ritenuto opportuno, ha ricominciato a onorare i suoi debiti. Mica al
prezzo di mercato, però; al prezzo che ha imposto il suo governo.
Avanzavi un milione di dollari? Te ne do 250.000 (il 75% in meno),
prendere o lasciare. Per queste scelte, l’Argentina ha subito anche
condanne da parte di tribunali tedeschi e statunitensi;
e nonostante ci raccontino che oggi, grazie al default di undici anni
fa, cresce ed è politicamente stabile, l’economia del Paese sembra di
nuovo a repentaglio, con uno spread che questo mese ha raggiunto più di
mille punti base.
Secondo caso, l’Ecuador. Il presidente Rafael Correa, fautore del
«socialismo del XXI secolo», dopo aver invocato complotti dei poteri
bancari, ha deciso di non pagare gli interessi sul debito pubblico,
giudicato «illegittimo» (poiché contratto da regimi militari) e, inspiegabilmente, «immorale»
– è una scusa che qualche creditore normalmente accetterebbe? Tuttavia,
anziché esecrare un uomo che opta consapevolmente (e
irresponsabilmente) per l’insolvenza del suo Stato, noi italiani lo
invitiamo a tenere una lectio magistralis, proprio sulla
gestione del disavanzo, all’Università di Milano Bicocca, che è una
statale, tanto per chiarire di che risma sono i nostri funzionari
pubblici. E se già non è abbastanza ridicolo il fatto di chiamare un
moroso a parlare di gestione dei debiti, che sarebbe come nominare
Charles Manson commissario dell’ONU, il Corriere della Sera gli dedica pure un bell’articolo, solennemente intitolato La lezione dell’Ecuador.
Terzo
caso, l’Islanda. Qui tocchiamo vertici ineguagliabili di tragicomicità,
perché a questi 300.000 burloni nordeuropei non è bastato riempirsi la
pancia (lavoratori salariati compresi, visto che l’innalzamento dei
tassi ha giovato pure a loro) in tempi di vacche grasse, per poi votare
con un plebiscito per il rifiuto di onorare il proprio debito, e spedire
in galera, con un certo funambolismo giuridico, i banchieri giudicati
responsabili del tracollo – come se avessero fatto tutto di loro
iniziativa. A questo fritto misto hanno deciso di aggiungere la
«Costituzione 2.0», documento redatto da venticinque cittadini, tra cui
persino un pastore e un contadino, eletti con una consultazione cui ha
partecipato una bassissima percentuale di cittadini aventi diritto al
voto (36% circa). Però alla stesura della suprema legge hanno
contribuito molti altri islandesi; e mica in rumorose assemblee
oceaniche o in un improbabile foro in stile ciceroniano, ma su Facebook e
Twitter, con oltre 3.600 commenti e 370 suggerimenti.
Per scrivere la Costituzione americana, hanno scomodato Washington e
Franklin; in Italia, De Gasperi ed Einaudi. In Islanda, l’Uomo Fumetto
posta le sue consulenze giuridiche comodamente seduto sul divano di
casa.
Non credo ci sia molto da aggiungere. I populisti nostrani raccontano
un sacco di frottole agli italiani esasperati, disillusi, incazzati. È
giusto fare chiarezza, dire la verità, spiegare che non ci sono cure
miracolose e che se ci preoccupiamo dello spread è perché abbiamo
conservato un po’ di buon senso, non perché siamo ostaggi di Goldman
Sachs. Se poi vogliamo la democrazia internautica, accomodiamoci pure.
Se non onoriamo il debito, magari Ugo Chavez inviterà a conferire
Grillo; quando si dice il prestigio internazionale.
Pubblicato il 20 novembre 2012
Quando si ha un'entita' delle dimensioni di uno Stato, l'unico modo per costringerlo davvero a pagare un debito e' muovere guerra.
RispondiEliminaMa con quello che costano le guerra moderne, e visto che spesso lasciano quello che uno stato ha di valore (fabbriche, infrastrutture) in rovina, la guerra diventa una mossa perdente.
Aggiungi a questo la pessima reputazione che ormai ha laguerra sulla scena mondiale, ed ottieni che uno Stato puo' allegramente ripudiare il suo debito senza pagarne conseguenze severe.
Un tempo in situazioni simili i Governi potevano rilasciare Lettere di Corsa che, citando Wikipedia: "autorizzava l'agente designato a cercare, catturare o distruggere, beni o personale appartenenti ad una parte che aveva commesso una qualche offesa alle leggi od ai beni od ai cittadini della nazione che rilasciava la patente. Questa veniva di norma usata per autorizzare dei gruppi di privati ad assalire e catturare bastimenti mercantili di una nazione nemica."
grande Rico :)
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