Otto anni dopo la morte di Harvey Dent/Due Facce, Bruce Wayne è un uomo trasandato, malconcio, depresso e solitario. E al maggiordomo Alfred, purché il suo pupillo non rischi la vita, tutto sommato sta bene così. Le carte cambiano, quando la ladra professionista Selina Kyle/Catwoman ruba le impronte digitali del miliardario, per venderle a un infido membro del Cda della sua azienda: il progetto è quello di convertire in un’arma distruttiva un reattore nucleare che la Wayne Enterprise aveva costruito per produrre energia pulita e gratuita. Con il prezioso contributo del perfido e fortissimo Bane.
Il regista Cristopher Nolan è un
artista capace di coniugare il successo commerciale alla densità di contenuti,
sondabili, a più livelli, dallo spettatore accorto. I temi che si intrecciano
sono molteplici e anche di rilevanza filosofica: la paura, la verità, la
conoscenza di sé, la solitudine, la fragilità dell’essere umano. Ma quel che
più mi preme evidenziare, in tempi di crisi economica e declino del
capitalismo, è l’aspetto politico: The
Dark Knight Rises è un manifesto del liberalismo.
Tutto comincia, dove era finito
il secondo capitolo della trilogia: Gotham è la perfetta realizzazione del regno
delle leggi speciali, stile Patriot Act,
eredità dell’ex procuratore Dent. La città è ripulita dal crimine, ma le
garanzie giuridiche sono un ricordo. Fin qui, la critica al conservatorismo. Poi
arriva Bane. Se volete, più sadico di Joker: questi era l’anarchia, lui è il
dogmatismo democratico, la redistribuzione autoritaria delle ricchezze, a
tratti il socialismo reale, nella scena dell’assalto alla Borsa rimanda
inequivocabilmente a Occupy Wall Street
(non è un caso che negli USA, la pellicola sia stata associata all’agenda del Tea Party).
La vicenda di Joker rappresentava
un atto di sfiducia verso il potere, chiunque lo detenesse: persino
l’incorruttibile Dent, alla fine, cadeva («La follia è come la gravità: basta
solo una piccola spinta»). Al suo estro perverso fa da contraltare il metodo di
Bane. Con un piano ben architettato riesce a trasformare Gotham in una Comune,
che presto degenera nel Terrore giacobino: saccheggi nelle abitazioni dei
ricchi, processi sommari consumati ai piedi di un surreale scranno, sul quale
siede lo psicopatico professor Crane/Spaventapasseri. In questo clima
giustizialista, persino Catwoman, che da subito si distingue per uno spirito di
rivalsa anticapitalista, sospira durante una razzia: «Questa era la casa di
qualcuno» (come a dire che il rispetto della proprietà privata è parto naturale
del common sense), mentre la compagna
ribatte: «Ora è la casa di tutti».
La minaccia dell’ordigno
nucleare, che incombe ineluttabile su Gotham, può essere diversamente
interpretata: è la conseguenza non intenzionale di un progetto ecologista
(anche qui, Nolan insiste sul pericolo costante che un immenso potere sfugga di
mano persino a un supereroe); è la dimostrazione che la corsa verso il
progresso e il sapere non può essere concepita come un’esplorazione solitaria e
autoreferenziale (lo scienziato russo, l’unico in grado di fermare la
detonazione, viene prevedibilmente assassinato da Bane); ma soprattutto,
simboleggia quell’autodistruzione che è l’exitus
inevitabile, per una società che si voti all’autogestione, alla sospensione del
diritto, all’invidia della ricchezza.
Non mi stupirei, se i fruitori
italiani parteggiassero per Bane. Conosco i miei polli e la loro cultura
politica. Anzi, ho già beccato, tra i commenti a qualche recensione on line, l’indignado che si sfogava: «Al posto di
Monti metterei Bane. Lui sì che è cazzuto».
Vorrei concludere, però, sottolineando
un aspetto che rivela, se non un messaggio di chiara marca cristiana, almeno una
sintonia di spirito con la nostra fede.
Il vero protagonista del film è
Bruce Wayne. Su circa tre ore di film, infatti, Batman è in scena sì e no per
quaranta minuti. In più, pressoché tutti i personaggi principali conoscono la
sua vera identità: la figlia di Ra’s al Ghul, Selina Kyle, Bane, il giovane e coraggioso
poliziotto Blake, alla fine persino il commissario Gordon. E allora, che senso
ha portare quella maschera? La ragione è spiegata forse dallo stesso Uomo
Pipistrello: «Chiunque può essere un eroe. Anche un uomo normale che mette un
cappotto sulle spalle di un bambino, per fargli capire che il mondo non è
finito». Quella maschera sottrae l’individualità per allegorizzare l’uomo
qualunque, tu, noi, mentre teniamo dietro, quotidianamente, alla nostra
vocazione. Molto vicino alla concezione dell'Opus Dei, potremmo
dire.
E comunque, state tranquilli:
Batman non muore.
Pubblicato il 04 settembre 2012


Bellissimo articolo.
RispondiEliminaComplimenti all'autore. Ho visto il film e la chiave di lettura proposta è quella giusta. Bellissima la citazione finale. Non a caso S. Josemaria parlava dell'eroismo degli ultimi 5 minuti!
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaGran bell'articolo! E' la resa esatta della mia interpretazione del film. Complimenti all'autore!
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