“La scena cult è quella del sesso
con un crocifisso che pratica l'ultracattolica protagonista Anna Maria. Prima lo stacca lentamente, e con grande
rispetto dalla parete, poi lo bacia leccandolo in ogni sua parte e, infine, si
masturba con lo stesso sotto le coperte”. Ecco
servito il pezzo forte del film “Paradise: Faith”, il secondo di una
trilogia dedicata dal regista austriaco Ulrich Seidl nientepopodimeno che alle
virtù teologali.
Non avendo visto il film, premetto che questa non vuole essere una recensione in senso proprio. La storia, comunque, è quella di una donna cattolica che, divenuta preda del fanatismo religioso (sic!), passa il tempo a infliggersi punizioni corporali, a camminare per casa ginocchioni e a intraprendere fallimentari opere di proselitismo in casa d’estranei (manco fosse testimone di Geova…) con in mano una statuetta della Vergine. Il ritorno a casa dopo tanti anni del marito, un disabile musulmano, crea inevitabili problemi, rompendo l’equilibrio esistenziale raggiunto dalla donna e determinando una vera e propria “guerra” domestica.
La pellicola, in concorso al Festival
del Cinema di Venezia, ha immancabilmente suscitato grande scalpore: “shock” e “scandalo” sono le parole più
utilizzate dai titolisti nostrani. Certamente appropriate, se si tratta di
descrivere l’effetto sgradevole, anzi nauseabondo, provocato dalla visione di
certe scene. Del tutto ingiustificate, se si intende invece alludere a un
presunto carattere provocatorio e “rivoluzionario” dell’opera in questione.
Direi, anzi, che non vi è nulla di più
banale di uno scontato mix tra sesso e blasfemia anticristiana, in questo
Occidente di inizio terzo millennio. E infatti le cronache, dopo averci avvertito
che quella sopra descritta “non è l’unica scena forte del film”, ci comunicano
prontamente che, alla prima per la stampa, esso “è stato applaudito”. “Bonciboncibonbonbon!”,
verrebbe da ripetere insieme a un famoso spot pubblicitario. Per essere
anticonformista, mio caro Seidl, lei è in ritardo di almeno un paio di secoli:
oggi il suo è un film mainstream.
Applaudono, dunque, i cosiddetti
“giornalisti”, come applaudono e applaudiranno i fancazzisti che si fregiano nostro
malgrado del titolo di “critici cinematografici” e magari usurpano abusivamente
anche quello di “intellettuali”. “Culturame”,
li definì con termine spregiativo, ma azzeccatissimo, il compianto Mario
Scelba. Gente che ha completamente smarrito l’autentico significato
della parola “cultura” e si contenta di identificarla nei rutti ideologici che
assecondano la deriva nichilista della nostra civiltà; personaggi talmente immersi
nella propria attività di masturbazione mentale da non poter non compiacersi di veder ritratta quella fisica.
Leggo una recensione su uno dei tanti siti di cinema che circolano sul Web: a
sentir loro, con questo film Seidl “non solo conferma tutto ciò che di buono
aveva fatto con “Paradise: Love”, ma va anche oltre[:] egli centra decisamente
l’obiettivo, e gira forse il suo miglior film”. Scusate – viene da chiedere –
ma qual era l’obiettivo? Una parziale risposta arriva qualche rigo più sotto:
nel film “la questione sessuale ha un ruolo primario”. Niente di cui stupirsi,
considerato che in Austria è nato anche Sigmund Freud. Ma è lo stesso regista a rivelarci qualcosa di più: il nocciolo della questione
è che la protagonista “non capisce che proprio la sua adorazione cieca per Gesù
la porta all'inumanità e all’incapacità di provare amore – e alla perdita
di quella virtù cristiana che permette di amare il prossimo”. Ecco il
messaggio: chi sceglie Cristo disprezza l’uomo, finisce per non amare né se
stesso né gli altri, sacrifica la propria vita sull'altare di un’adorazione
masochistica. La carità cristiana rimane una “virtù” accettabile solo se
ridotta a un messaggio falsamente umanitario, un generico "volemose bene", solo se si riesce a togliere di
mezzo Cristo, cioè la Croce. Senza religione saremmo tutti più liberi, più
buoni, più gaudenti. È l’eterna utopia di una felicità facile, a portata di
mano purché la si voglia afferrare, di un amore a buon mercato.
Peccato che questo amore, così
facile, sia anche altrettanto fragile, precario, superficiale, incapace di
portare frutto. È Cristo che ci insegna
l’Amore vero, quello che non si conquista a buon mercato ma porta a donare
tutto se stesso gratuitamente, perché “chi vorrà salvare la propria vita la
perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9, 24). È
Cristo che insegna a ciascuno di noi a prendere sulle spalle la propria croce, “poiché
il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Mt 11,30). In questo senso,
nella sua prima lettera San Giovanni chiarisce polemicamente che Cristo è
venuto “non con acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue” (1Gv 5, 6). Senza la Croce, scrive papa Benedetto XVI, “quel
che resta del cristianesimo è «acqua» - la parola senza la corporeità di Gesù
perde la sua forza. Il cristianesimo diventa puro moralismo e questione di
intelletto, ma gli mancano la carne e il sangue. […] Chi non vi scorgerebbe
qualche minaccia per il nostro cristianesimo attuale? L’acqua e il sangue vanno
insieme; incarnazione e croce, battesimo, parola e sacramento sono inseparabili”
(J. Raztinger, Gesù di Nazaret, Rizzoli, 2007, p. 284).
“In verità, vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25, 40).
L’adorazione di Cristo ha prodotto, nel corso dei secoli, gli ospedali, i
lebbrosari, gli orfanotrofi, innumerevoli frutti di vera carità che hanno
scaldato i cuori e reso questo nostro mondo un posto migliore e, appunto, più
umano. Lungi dall’essere contro l’uomo, Cristo
ci svela il vero senso dell’essere uomo, quello per cui la vita vale veramente
la pena di essere vissuta. Atto sovversivo e rivoluzionario è, oggi, solo raccontare
questa verità.
Pubblicato il 01 settembre 2012
Magari il regista si è solo ispirato agli scritti di santa Margherita Maria Alacoque:
RispondiElimina"Era io delicata a segno, che anche una lieve immondezza moveami nausea. Di un cotal vizio il Signore ripresemi sì gravemente, che una volta accingendomi a pulire il suolo dal vomito d'un'ammalata, non potei contenermi di tergerlo colla lingua, e di tranguggiarlo, al mio Signore dicendo: Se mille corpi avessi, mille amori, mille vite, tutto ciò a voi ben volentieri immolerei, per esser tutta vostra. (da Vita della venerabile madre Margherita Maria Alacoque, cap. XL, p. 79)."
"Un altro giorno avendo con qualche nausea servita un'inferma di dissenteria, ei me ne diè una sì forte riprensione, che, per riparare a questa colpa, mi vidi costretta, mentre andavo a buttare via ciò che aveva fatto, a bagnarvi la lingua dentro e a riempirmene la bocca. Appresso il Signore dolcemente, ed in amichevol modo mi rimproverò del far tali cose: Ed io, O mio Signore, gli dissi, così fo a fin di piacervi, e di così obbligarmi il Cuor vostro divino, e tanto spero io conseguire da voi. (da Vita della venerabile madre Margherita Maria Alacoque, cap. XL, pp. 80-81)."
oppure di Teresa d'Ávila:
"Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era cosi vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era cosi grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c'era da desiderarne la fine, né l'anima poteva appagarsi che di Dio."Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13
Ma che senso ha criticare un film e trarre rapide conclusioni dalle parole del regista quando si ammette fin da subito che quel film manco lo si è visto e si prende spunto dalle recensioni trovate in giro? Si può fare meglio di così. Proprio un brutto articolo, senza mezzi termini.
RispondiEliminaBravo Marco, hai ragione su tutto. Purtroppo questo film, atroce nella sua cattiveria, nel suo odio contro i cristiani e contro lo stesso Gesù Cristo, rivela a chiare lettere, esplicitandolo in un paradosso folle e nauseante, quello che tanti europei oggi pensano: che solo sbarazzandosi di Dio si può avere la felicita piena, si può essere veramente uomini (e donne). La conclusione del tuo articolo, con il richiamo all'amore, è la verità. Solo con Cristo entra nel mondo il concetto di persona, si accende la fiamma dell'amore, nasce la speranza della vita eterna e della liberazione dalla morte. Complimenti per l'articolo.
RispondiEliminaAni-Sama, ho specificato nel testo di non aver visto il film proprio perché la mia intenzione non è quella di recensire un prodotto cinematografico (non ho neanche le competenze per farlo), ma di commentare le scene blasfeme presenti nel film e analizzare il brodo di coltura all'interno del quale quel prodotto è nato. A mio avviso, il nodo teorico del dibattito emerge con chiarezza dalle parole del regista: su quello mi sono concentrato.
RispondiElimina@Marco Mancini
RispondiEliminagià, il film non l'hai visto, però scrivi un post per "commentare le scene blasfeme presenti nel film ".
Geniale!
bravo Marco
RispondiEliminaL'Anonimo del primo commento evidentemente non ha capito cosa significano i brani che riporta. Non descrivono perversioni sessuali né atti di balsfemia.
RispondiElimina@Alessandro Rico
RispondiEliminabene, allora prova ad immaginare un regista che, volendo rappresentare questi scritti di Margherita Maria Alacoque la mostra mentre, per compiacere Gesù, lecca vomito ed escrementi.
Cosa scriverebbero i commentatori-senza-aver-visto-il-film come Marco Mancini?
L'anonimo confonde la vita di due Sante della Chiesa Cattolica (citando episodi di mortificazione e misticismo) con il prodotto volutamente provocatorio (e blasfemo) di un documentarista che punta alla denuncia sociale in modo alquanto "forte", ma proponibile anche in altri modi (e Canicola l'ho visto)...
RispondiEliminaCommentare le scene blasfeme... Vabe', io non so più cosa dire. Sembra che nel mondo ci sia un complotto anticattolico, ma questa è una convinzione che rasenta la patologia.
RispondiEliminaE invece l'ovvietà è che scene forti e/o blasfeme possono avere un senso, e l'unico modo per scoprirlo è guardare l'opera senza pregiudizi. Se no, uno butta via anche l'ultimo film di Pasolini, visto che è un susseguirsi di scene di violenza e perversione esplicita. Ma sarebbe una tale sciocchezza, proprio una cosa da stupidi.
Si possono esprimere le proprie idee senza per questo mostrare scene forti o blasfeme... Stupido è pensare di poterlo fare solo in un modo (pensa alla differenza tra Arancia Meccanica e I Fratelli Karamazov nel trattare il libero arbitrio...)
RispondiEliminaE quindi cosa facciamo? Disprezziamo le opere che usano toni forti solo perché "si può dire in un altro modo"? Insomma, non so, a questo punto andiamo a dire a Leonardo come fare la Gioconda... È un atteggiamento insulso, ed è da sciocchi non rendersene conto.
RispondiElimina(E comunque, non ho letto "I fratelli Karamazov", non ancora, ma ho visto "Clockwork Orange" e l'ho trovato eccezionale)
Sì, scene forti e/o blasfeme possono avere un senso. E' proprio quello che ho ricostruito dalle parole del regista, sulle quali ho esercitato la mia critica. Non è tanto questione (almeno per me) di forme espressive (che di per sé sono abbastanza discutibili), ma di contesto ideologico.
RispondiEliminaGenovese, non ti scaldare.... Non voglio spiegare a Leonardo come fare la Gioconda, ho solo detto che certi argomenti si possono trattare in molti modi (e qui sta la genialità dell'artista), magari evitando di essere blasfemi (che tra l'altro è uno pseudo-esercizio di libertà). Sennò uno può cominciare a sparare a vista in strada per far vedere quant'è sacra (e dura anche) la vita.
RispondiEliminaNon ti impedirò di esercitare il tuo intelletto visionando le scene di stupro di Arancia Meccanica, trovandolo eccezionale. Per fortuna gli Artisti non hanno bisogno di scandalizzare per essere ricordati.