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23 gennaio 2017

Quando dalla Pax Romana si passò alla Pax Christiana


di Marco Notarfonzo

Spesso capita di sentire o di leggere in giro discussioni, commenti, o apprezzamenti sull’impero romano, e in particolare sulla religione dei Romani. Questo è, probabilmente, un fatto positivo, perché gli uomini del mondo antico hanno ancora molto (e forse avranno sempre) da dirci. Per questo motivo può essere utile inquadrare brevemente la religione romana, i perché della sua decadenza e perché il Cristianesimo fu, fin dalla sua nascita, tanto prorompente nel contesto in cui si trovò ad essere, ed in cosa, più esattamente, fu una novità rispetto all’era precedente. Nei giorni scorsi, durante le festività natalizie si è parlato della genesi del Natale così come lo conosciamo, e a questo si è già risposto. Ma come era, in generale, il mondo romano nelle sue festività?

Il paganesimo romano è uno dei sistemi politeisti del mondo antico su cui abbiamo più informazioni ed è anche uno dei politeismi più complessi in assoluto (raggiunto in questo forse solo dall’induismo), complessità peraltro cresciuta di pari passo con l’imperium di Roma, per motivi intrinseci alla religione romana stessa. La religione romana era una tipica religione indoeuropea e mediterranea, legata cioè inestricabilmente alla comunità politica di cui era espressione, la stessa città di Roma: tutti gli ordini sacerdotali erano in realtà subordinati all’ideologia politica, fondamentalmente guerresca, che sosteneva la polis antica (e Roma in questo non faceva eccezione). I primi segni di crisi della religione romana si ebbero nella tarda repubblica (in realtà qualcosa potrebbe essere ravvisabile già dall’opera di Catone il Censore contro i Greci, durante le Guerre Puniche), quando Roma era già venuta a contatto con il mondo ellenistico e con la Grecia, e soprattutto per via delle guerre civili.

A partire dall’uccisione di Tiberio Gracco nel 133 a. C. si ebbe una escalation crescente che portò alla dissoluzione di tutti quei meccanismi che permettevano il funzionamento della polis: l’uccisione di un tribuno, violandone la sacrosanctitas, per di più all’interno del pomerio, la linea sacra che delimitava la città, da cui era estromesso tutto ciò che aveva a che fare con la morte, e più che mai uccidere un cittadino al suo interno era vietato. La mentalità giuridica e religiosa di Roma faceva sì che ciò che si fosse già verificato in passato, e con successo, si potesse ripetere, e così fu: si passò dallo scontro politico verbale a quello fisico come prassi, gli schiavi delle famiglie più influenti si armarono di bastoni durante le elezioni dei magistrati. I colpi successivi che subì la polis di Roma e, con essa, la sua tradizione, vennero da Silla, che entrò per la prima volta in armi all’interno del pomerio e assunse cariche politiche a vita e, per motivi simili, da Cesare. L’inizio della crisi del paganesimo si può quindi far risalire alla crisi della polis quale era la Roma repubblicana e con il successivo affermarsi di quella forma di governo che oggi chiamiamo principato.

Già nel periodo della tarda repubblica troviamo dunque i germi della decadenza della tradizionale religione romana, e perfino Cicerone, dopo aver ricoperto la carica sacerdotale di augure, scrisse il De Divinatione, criticando tutta l’arte divinatoria romana. I meccanismi politici che tenevano in vita la polis erano dunque intimamente legati alla religione, una religione fortemente e intrinsecamente politica, nella quale le cariche religiose erano anche politiche e attraverso la quale la cittadinanza, inconsciamente, adorava se stessa. La crisi politica della repubblica romana e la sua trasformazione portarono, per la prima volta nella storia mediterranea, all’affermazione del singolo su una collettività ormai non più politica, e quindi allo scollamento tra quello che era il consensum della volontà dei cittadini e l’azione di governo dei capi politici.

Tutti questi eventi non erano ovviamente sentiti in modo così repentino dai contemporanei ma in realtà lasciarono un vuoto nello spirito dei sudditi dell’impero, sfociato poi nella crisi spirituale dei due secoli successivi e all’affermazione di nuovi culti, provenienti dall’Oriente, intrisi di misticismo, più personali e intimi rispetto alla religione tradizionale romana, tendenzialmente essoterica, e si posero a tentare di sanare quella ferita che aveva segnato ormai tutti i sudditi dell’impero: si passò gradualmente da una religione ormai solo ossessionata dalla correttezza formale dei riti, in cui il minimo errore nell’esecuzione comprometteva la pax deorum (e quindi la pax romana) e comportava la completa reiterazione del rito (ciò che i Romani chiamavano instaurare), ad una concezione del sacro che metteva sempre più al centro il raggiungimento della felicità, evidentemente ora non più coincidente con le vittorie militari della polis; da una religione in cui non “si credeva”, ma in cui ci si trovava semplicemente a vivere, ad una vera e propria scelta di vita.

Inutile dire che tutto questo aprì la strada al Cristianesimo, il quale però non si limitò ad occupare il posto lasciato vacante dal morente paganesimo, ma diede nuova forza alla compagine statale imperiale, ricompattandola al suo interno, fornendo ai sudditi dell’impero - ormai nemmeno più divisi dalla distinzione tra cittadini e non cittadini – dei nuovi ideali per cui combattere. Come infatti scrisse un grande storico dell’età romana, Santo Mazzarino, “il dramma dell’uomo antico si placava di un ideale religioso nuovo: la fede”.
 

27 febbraio 2016

Cattolici e Ortodossi, la comunione è possibile

di Marco Notarfonzo
Sull’incontro di Cuba in molti hanno già scritto e, scorrazzando per il web, moltissimi sono i pareri che si incontrano su questo avvenimento, anche molto discordanti tra loro. Non voglio aggiungere altro su quanto è stato detto e scritto sul significato di questo incontro, ma solamente tentare di fare qualche precisazione, avendo visto tra i commenti alcune considerazioni molto opinabili.

Parto da un fatto: papa Francesco ha donato al Patriarca un calice, segno implicito del riconoscimento del sacerdozio. Questo riconoscimento non è mai stato negato dalla Chiesa Cattolica, ed è (spero) opinione condivisa tra il clero e i fedeli. Quello che però non è così scontato, è il riconoscimento del sacerdozio cattolico da parte degli Ortodossi, e degli Ortodossi russi in particolare. Su questo Documento, Cirillo ha posto la firma insieme ad una persona che si è dichiarata “Vescovo di Roma e Papa della Chiesa Cattolica”, dando quindi anche lui un implicito assenso a questo titolo e, per estensione, al sacerdozio cattolico. Questo è, con buona pace degli oltranzisti anticattolici, in realtà in linea con quanto la Chiesa Ortodossa Russa fa da anni, per non dire da secoli. Basti pensare che la Russia, insieme alla Prussia, fu la sola nazione in cui l’Ordine gesuita, a fine Settecento, non venne sciolto, per esplicita volontà di Caterina II. Quello che voglio dire, è che è una bufala bella e buona quella messa in giro da alcuni secondo la quale per gli Ortodossi i sacramenti cattolici non sono validi, in quanto la Chiesa Cattolica è da loro considerata eretica. Non è così, tranne che per alcune frange minoritarie e per le posizioni di alcuni vescovi. Se così non fosse, si arriverebbe ad affermare dei “mostri teologici” e molto vicini ad un “neo-pelagianesimo”, questo sì un’eresia.

Si può discutere tantissimo su questo aspetto, ma credo che le ragioni a favore di una non validità dei sacramenti cattolici sia smentita dal semplice fatto che, nella storia, i vescovi scomunicati e poi reintegrati nella Chiesa, non siano mai stati riordinati (almeno per quanto ne so, non ci sono state eccezioni a questa regola), né tantomeno si potrebbe fare in questo caso, visto che la Chiesa Russa non ha mai scomunicato Roma e quella di Costantinopoli ha ritirato la scomunica!

Un altro punto che mi pare abbia dato fastidio ad alcuni (anche cattolici), è la volontà dei due capi spirituali di non promuovere il proselitismo tra i fedeli, per non farli “passare” dall’una all’altra chiesa. Questo atteggiamento è del tutto ragionevole, nella prospettiva di un progressivo riavvicinamento delle Chiese e di una auspicata futura riunificazione, rientra nella posizione non più attendista della Chiesa Cattolica (e a questo punto anche di quella ortodossa) riguardo le Chiese d’Oriente separate portata avanti da cinquant’anni a questa parte ed è anche un ulteriore invito ai fedeli a pensarci bene prima di fare un passaggio del genere, visto che si incorre nella scomunica automatica da parte della chiesa di provenienza.

L’atteggiamento fraterno espresso dalle due Chiese nel Documento è subito dichiarato al punto 4 nell’affermazione: Condividiamo (ortodossi e cattolici) la medesima Tradizione del primo millennio della Cristianità. I testimoni di questa Tradizione sono la Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di cristiani” e, in virtù di queste comuni radici, si invita alla collaborazione pastorale, ormai percepita come l’unica via per ritrovare l’unità.

In un contesto storico in cui ci sono continui incontri tra milioni di persone provenienti da contesti culturali, sociali e religiosi diversi a causa di migrazioni, commerci, studio e altri motivi, sarebbe veramente fuori luogo e antistorico continuare ad ignorarsi. Questo non significa appiattire le differenze, che continuano ad esserci e che lo stesso Documento ribadisce ai punti 5, 6 e 7. In questo insieme di vedute e di contingenze storiche, anche l’uniatismo dei secoli passati perde il suo ruolo di “metodo” per ristabilire l’unità, perché può creare nuove inutili tensioni ostacolando così l’obiettivo che si sarebbe preposto. Nonostante il cambiamento di atteggiamento nei confronti di questa problematica, i capi delle due chiese affermano il diritto ad esistere delle chiese greco-cattoliche, ponendo quindi anche le basi per una riconciliazione, in particolare sul suolo ucraino, dove questa tensione è particolarmente forte.

Tutti i precedenti discorsi, vengono già concretamente e quotidianamente applicati tra i cristiani del Medio Oriente, in quello che il Papa ha definito “ecumenismo del sangue” e dimostrano, al di là di ogni retorica e polemica di chi vuole solo condannare senza fare nulla, che la convivenza e sì, la Comunione tra Cattolici e Ortodossi è possibile.