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22 dicembre 2017

Fede e ragione: conversare ragionevolmente

di Giorgio Salzano

Nel primo dei racconti di padre Brown, Chesterton racconta di come egli smascherasse il ladro internazionale Flambeau dal fatto che questi, facendosi passare per prete, aveva parlato male della ragione. Quale migliore consonanza con quel d’Aquino, al quale non a caso lo stesso Chesterton aveva dedicato un sapido libretto divulgativo. All’inizio della Summa contra Gentiles, infatti, san Tommaso aveva scritto: con i cristiani argomenterò sulla base dell’Antico e del Nuovo Testamento, e della ragione; con gli ebrei, dell’Antico Testamento e della ragione; con chi non è cristiano né ebreo sulla base della ragione. Ma san Tommaso non è più di moda, e dubito che oggi il criterio chestertoniano per distinguere un vero da un falso prete sia ancora applicabile.

La conversazione razionale sembra sparire dal nostro mondo, non solo tra i laici e tra laici e cattolici, ma tra gli stessi cattolici. Il Papa che invitava a ragionare non ha trovato, anche tra questi, consenso, ma è andato piuttosto incontro a ostilità tali da decidersi, dopo molto pregare, alla fatidica renuntiatio. Mentre invano ci si attende, dalla bocca di quello che è seguito, qualcosa che somigli a un ragionamento. E se non fosse per la fede nel “logos fatto carne”, anch’io nel mio piccolo temerei di avere sprecato la vita, dedicandomi a trovare ragioni che permettessero di conversare con i cristiani, con gli ebrei, e con chi non è né l’uno né l’altro. Invece di quella fede, infatti, che sollecita a ragionare, prevale la luterana sola fides, che richiede semmai sottomissione. La conversazione razionale appare di conseguenza sommersa da una melassa sentimentale, nella quale c’è poco da dire: al meglio si fa mostra di benevola tolleranza, al peggio ci si insulta.

Nella polemica che divide lungo le stesse linee cattolici e non cattolici così come gli stessi cattolici, quel che fa problema è essenzialmente la Chiesa. Ma a fare problema con la Chiesa è, a monte, la società, in termini universalmente umani. Tanti ragionamenti sono stati dedicati al suo studio, per il quale è stata persino creata una disciplina apposita, che da essa ha preso il nome di sociologia. Ma per lo più la società viene oggi riguardata come una artificiale creazione umana, presupponendo alla sua origine degli uomini già formati a prescindere da essa. Il nome di Dio è stato quindi escluso dal discorso sociologico, e di conseguenza politico, lasciando così la Chiesa appesa a una fantomatica fede, di stampo come ho detto eminentemente protestante, senza cioè alcun aggancio nella esperienza ordinaria degli uomini. Ci dimentichiamo che la parola fides, così come le altre parole fondamentali del vocabolario cristiano, non è originariamente parola cristiana, ma stava a designare già nell’antico uso romano una componente essenziale dell’umana socialità. E con essa religio e auctoritas: testimonianza romana, comparativamente universalizzabile, di come non si costituisce società tra gli uomini senza la consapevolezza di un’autorità che li trascende, ed alla quale viene prestato religioso ossequio. Non esitiamo quindi a chiamare “teocratico” questo aspetto della socialità umana, come faceva ancora Antonio Rosmini negli anni quaranta dell’Ottocento in un libro della sua Filosofia del Diritto. Ritroviamo il senso della tomistica ragione, tanto esaltata da Chesterton, in questa sua considerazione che possiamo leggere come un invito al lettore a ragionare: 

« Io so troppo bene quanto mal suoni oggidì agli orecchi di molti la parola che io inscrissi in fronte di questo libro, Società teocratica; e l’avrei evitata, ché facilmente potevasi, se io mi volessi con altro procacciare il favore de’ miei lettori, che colla verità. Ma guai a me, se anch’io prendessi ad adulare questo secolo piuttosto che a ragionare, come mi sono prefisso, con lui. Gli uomini ragionevoli a questi dì non mancano; e questo è, che mi conforta e incoraggia: io parlo dunque a quelli a cui piace di ragionare su tutto, e sulle stesse loro proprie opinioni, pronti a dismetterle quando le trovino mal fondate: parlo a quegli onesti, che non ricusano mai di udire chi non istrepita, ma ragiona e ciò fa di buona fede, non ricusano d'udirlo con pacatezza fino al termine del ragionamento, non giudicando mai a parte inaudita. Sebbene dirò di più: io parlo anche agli altri uomini, agli uomini tutti, perocché so finalmente che tutti hanno la ragione, eziandio quelli che istizziscono alla prima parola che ascoltino opposta a’ loro sentimenti od alle loro passioni; a’ quali egli è e sarà sempre permesso di non aprir questo libro, di non leggerne pure il frontespizio, o di chiuderlo a loro talento; poiché il libro non viene mai meno a questa regola d’urbanità, di non parlare a chi non vuol udire, e si tace con tutti quelli che non l’interrogano, non molestando loro gli orecchi pure d'un zitto.»

Nota bene: Rosmini fu preso a suo tempo, da censori che lo misero al bando, per un modernista; ma basta rileggere le pagine della Filosofia del diritto, così come delle tante altre sue opere, per vedere come egli sia nella verità della tradizione.



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28 settembre 2017

Lo strano caso di Rosmini, tra Benedetto XVI e Francesco


di Giorgio Salzano

Mi imbarazza sentir definire indiscriminatamente certi cattolici come tradizionalisti, come si usa fare per chi dopo il Vaticano II si richiama alla costanza della tradizione. In tal caso, io stesso, semmai proprio dovessi definirmi, mi chiamerei un cattolico "tradizionale"; ma per tanti basta il semplice richiamo alla tradizione, per aggiungere alla parola il famigerato "ismo", come se considerare la tradizione valida testimonianza della verità esaurisse la capacità di ragionare. Comunque, non è il mio irrilevante caso che mi porta a queste considerazioni, quanto piuttosto lo strano destino a cui è andato incontro un grandissimo della chiesa cattolica: Antonio Rosmini. Nel 1888, trentatré anni dopo la sua morte, una serie di proposizioni più o meno indebitamente estrapolate dalle suo opere furono condannate per una ragione opposta a quelle che rendevano sospetto il tradizionalismo: per un eccesso cioè, di novità filosofico-teologica che sapeva di razionalismo, e quindi di modernismo.  A cominciare però dal secondo dopoguerra c'è stata una efficace opera di riabilitazione, non solo della sua figura di santo, maestro impeccabile di ascetica, ma anche del suo pensiero filosofico e teologico, culminata nella nota del 2001 ad opera dell'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede cardinale Ratzinger, che lo liberava da qualunque sospetto e preludeva alla beatificazione avvenuta nel 2007. La cosa curiosa di questa recente vicenda è il diverso modo in cui Rosmini è stato menzionato nei discorsi di Benedetto XVI ed in quelli dell'attuale pontefice.
A più riprese Benedetto XVI ha fatto riferimento a lui come a un campione della ortodossia cattolica, senza per questo aver mosso rimprovero di errore, nella nota del 2001, agli estensori della censura ottocentesca. Francesco, invece, ogni volta che lo ha nominato nei suoi discorsi (come nell'omelia di Santa Marta di qualche giorno fa), lo ha fatto per sottolineare il variare dei giudizi della Chiesa da un'epoca all'altra, al punto che chi ieri era considerato eretico, oggi viene venerato come santo o beato. Così Rosmini appare, attraverso le sue parole, non più come il campione della indefettibile dottrina della Chiesa, ma come l'anticipatore, prima osteggiato e poi finalmente riconosciuto, delle "aperture" al nuovo che i tempi richiederebbero da essa.
Ma se vogliamo sapere davvero come si situa Rosmini nella storia della Chiesa, è opportuno rileggere il passo della Fides et Ratio di san Giovanni Paolo II, dove egli è menzionato come uno dei maggiori esponenti, negli ultimi due secoli, di un santo esercizio della ragione al servizio della fede. Chi ne avesse curiosità può andare a vedere i più di 50 volumi delle sue opere: ci troverà una incredibile freschezza di pensiero, capace di metterlo in dialogo e con i più recenti sviluppi della cultura scientifica e filosofica e con le più antiche testimonianze degli uomini.
In conclusione, non ci si accorge che la stessa contrapposizione di tradizionalisti e modernisti non ha cristianamente senso, poiché per la Chiesa solo vale il semper, ubique ab omnibus di san Vincenzo di Lerins. Il semper include l'esercizio della ragione come esplicitazione dei preambula fidei e chiarificazione degli stessi misteri di fede. Al punto che Rosmini non si perita dal dire nella introduzione alla sua Logica, che logica e vangelo sono i due pilastri su cui si basa la dottrina cattolica. Ci possiamo chiedere quindi, data la diversità dei riferimenti a Rosmini a opera dei due pontefici, se l'ecumenicità della ragione, tanto valorizzata da Rosmini, non possa segnare il discrimine tra vera e falsa "apertura": egli mostra infatti che è solo mantenendosi aperti a ciò che ci viene trasmesso dallo ieri che ci si può aprire anche al "fuori".


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10 dicembre 2016

Fede e ragione, scienza e religione


Pubblichiamo l'abstract di uno dei capitoli contenuti nel nostro libro in uscita, "Pensieri controrivoluzionari".

di Riccardo Zenobi

Il rapporto tra fede e ragione viene considerato da molti “problematico”, ma ciò solo perché si fraintendono i termini in gioco, spesso prendendo per buone delle visioni caricaturali di quale sia il contenuto della Fede, le quali sorgono da una altrettanto semplicistica rappresentazione delle dinamiche interne alle discipline scientifiche – che sono spesso confuse con le sole razionali. Se volete approfondire la questione del rapporto tra Fede e ragione, e cercate delle motivazioni per rigettare lo scientismo di chi sostiene che “solo le domande scientifiche hanno valore”, troverete in questo capitolo argomenti per controbattere ai più noti luoghi comuni degli attivisti atei; infatti, dopo aver introdotto e definito i termini in gioco, viene analizzata la pretesa di ritenere le scienze sperimentali le sole discipline razionali, mostrando come tale supposizione scientista sia infondata. Si passa poi a trattare l’argomento principe dell’ateismo, ossia l’evoluzionismo, il quale viene utilizzato come ariete contro il testo biblico, quest’ultimo ovviamente travisato dall’ottica di lettura di un ateo del XX/XXI secolo. Il tutto, per citare la recensione fatta da Marco Tosatti, “con buona pace degli ateisti contemporanei, che sostengono che Dio è un problema da bigotti”.