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29 dicembre 2016

Sulle Tracce di Lutero


di Satiricus

Non capirò mai come funziona la psicologia dei formatori di seminario, i quali temono come la scabbia qualsiasi riferimento alla Tradizione nella sua forma propria (liturgica e teologica in primis), mentre non avvertono alcun rischio nel mettere i loro studenti alla mercé di pesanti influssi ereticali (i convegni su Lutero riempiono i seminari ormai vuoti): o sono imprudenti, o sono malevoli, oppure non credono essi stessi che Lutero e soci valgano alcunché, né dunque che influenzino alcunché. Non lo capirò mai.

Più facile comprendere come mai un teologo o un dotto possa comportarsi similmente nei confronti del popolo cattolico, in sé poco preparato e facilmente influenzabile, posso comprendere che un cattedratico sia lontano dal cogliere le dinamiche di fede concreta e ordinaria e posso comprendere che a un cattedratico non interessi una mazza delle sorti del popolino (Marx salvaci tu, questi al popolo manco più l’oppio: la cicuta direttamente!).

Capirò sub condicione la presa di posizione di CL, movimento accattivante che mi sfugge e del cui lessico interno non riesco a decifrare mezza sillaba: mi sono pippato tutta la filippica di Carròn sulla “forma della testimonianza”, ma non ci ho cavato un ragno dal buco. Però sono sicuro che, condotto da un buon ermeneuta dell’Era Giussanica, potrò capire il loro linguaggio e dunque potrò capire certe linee seguite, per esempio, da Tracce.

Non fosse così, sarei obbligato a ritenere che il mensile ciellino sia scaduto ai livelli di Jesus e Famiglia Cristiana. Apro il numero di ottobre e trovo l’intervista al simpatico don Franco Buzzi. Buzzi è un ottimo studioso, ma appunto è uno studioso, uno che deve miscelare le sue conoscenze coi luoghi comuni dell’Accademia e della piega di decadenza ad essa connaturale. Il tema trattato è il rapporto Chiesa-luterani e i mantra sciorinati sono i soliti: i cattolici erano barricati e ora non più; i processi storici di cui fu protagonista Lutero non erano irreversibili; la politica ha piegato la teologia; ora siamo diventati amiconi; se Roma non avesse fatto la ‘fighetta’ avremmo evitato la spaccatura; in fondo tutti testimoniamo Cristo; io ho ragione e se qualcuno non è d’accordo è perché è carente di autostima (ha “paura”) e perché non ha fede (“la fede vissuta apre”).

Partiamo dal fondo: ma perché tutte le volte che coi progressisti parli di questioni storiche o dogmatiche e insomma teoretiche, hanno sempre bisogno di buttarla sul personale o sullo psicologico o sull’etico e insomma deviano il discorso (la fanno fuori dal vaso, per dirla in termini freudiani)? Io ritengo che si debba avere le palle di scegliere il campo di battaglia: l’offesa personale o il confronto teoretico; una volta scelto, i concorrenti sono pregati di non sottrarsi alle regole pattuite.

In attesa della scelta, considero più importante la ratifica tridentina e il sostegno di schiere di santi alla Controriforma rispetto alle chiacchiere da salotto di un qualsivoglia accademico, per cui, dovendo giudicare qualcuno, non giudicherò i santi riformatori carmelitani di non aver “assimilato fino in fondo l’appartenenza a Cristo”, né infamerò quanti di tali santi si fanno imitatori, ma al massimo - se mi costringete - accuserò i dotti poltroni contemporanei di aver perso lo smalto della prima e vera fede, in fondo a noi peccatori, dottorati o meno, valgono sempre ed ugualmente i moniti di Apocalisse: “Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima” (Ap 2,4).
Che poi si possa affermare una “comune testimonianza da rendere a Cristo” è vero quanto inutile: anche i mormoni la rendono e anche, in certo senso, i teosofi alla Gurdjieff. Ma cosa si testimonia? L’amore ai poveri e la cura del malato? Questo lo sanno fare anche atei e mangiapreti. Cosa? La Risurrezione? Sì, ma senza tanti e tanti elementi della fede che per un cattolico sono determinanti e non negoziabili. La verità è che per mettersi insieme, fianco a fianco, a dar una scodella di minestra ai poveri, non serve certo esser tutti cattolici, ma soprattutto - e qui sta il punto - non serve nemmeno fare alcun tipo di ecumenismo: ci si dona alla causa e basta.

Veniamo ora alle colpe di Roma. Buzzi sostiene: “Lutero si trovò nella situazione di dover ordinare pastori prescindendo completamente dalla Chiesa cattolica. La Chiesa di Cristo va avanti attraverso i Sacramenti e, non trovandosi nella condizione di poter procedere con il consenso di Roma, sono andati avanti senza”. Io mi chiedo se questa frase sia detta per scherzo o meno. Lutero non si trovò nella situazione di dover ordinare nessuno, Lutero al massimo si incaponì con superba testardaggine di dover ordinare preti. Nessuno mi costringe a divenire milionario, per cui non posso dirmi “costretto” a rubare e frodare a fini di lucro personale. Ecco un caso in cui calzava l’accusa di cui sopra: Lutero non ha avuto “fede”, ha avuto “paura” che il suo show decadesse, non ha saputo “appartenere a Cristo” e quindi si è ostinato nel disastro. No, ma la logica è un souvenir in certe aule e biblioteche. E Lutero è un santo. E io un astemio.

Di qui si passa al rapporto politica-fede: un intreccio mai banale, lo riconosco, ma che mi risulta piegato a una retorica troppo bolsa, se si vuole nascondere il trauma del credere imputando sempre tutto ai prìncipi e così nascondere la polvere dell’eresia formale sotto il tappeto dell’ambizione imperiale, a meno di ammettere che Lutero sia stato uno stolido imprudente, un guru improvvido, uno che pretendeva di “ministrari” e si è trovato - ahilui - a “ministrare” (l’opposto del Divin Maestro).

Quanto all’irreversibilità dei processi storici - quinto punto - concordo in pieno: poteva essere evitata la sciagura luterana, proprio per questo bisogna fare di tutto per evitare che gli influssi sterili di tale pianta si innestino nel cuore del cattolicesimo oggi.
Quanto alla comune amicizia, direi che è un puro nome. C’è un’amicizia di utilità, dovuta all’impostazione dello Stato di diritto, in cui si vive la pace contrattuale, mettendo tra parentesi l’opzione religiosa personale. Altro non vedo. Se devo dedicarmi alla fede, ho davvero poco da spartire col luterano. Anzi, dato che il credere è un fenomeno complesso, potrei trovarmi di fatto ad avere più punti di sintonia con l’islamico moderato che non con l’eretico ostinato. In ogni caso, non ci sgozziamo più a vicenda, questo sì, però non mi è chiaro se ciò sia l’effetto dell’ecumenismo o non invece, al contrario, ne sia la causa (da cui la semi-inutilità del medesimo).

E infine chiudo con la chicca del professore: “non esistono le basi per una reciproca scomunica”. Gran frase, peccato che la scomunica vige nella sua forma più alta: la negazione dell’intercomunione. Ma lui lo sa e infatti intendeva dire altro; ma anche io so che lui sa e che voleva dire altro ed è qui il problema: è giustappunto il momento di dire quell’unica cosa, che non c’è intercomunione perché c’è la scomunica (fatti salvi i documenti ecclesiali depositati), perché allora ci intratteniamo a parlare d’altro?

Una cosa ci giova a tirare le fila: la rivista che riporta l’articolo bomba è Tracce, mica il Timone, e allora mi spiego un po’ di più com’è che di tante cose ha lasciato un’impronta in questa sede, ma con nessuna di esse ci ha indicato una rotta affidabile. Oppure sarà che sono un pessimo segugio?

 

26 agosto 2013

Legge anti-omofobia: se i capi di CL servono Mammona

di Marco Mancini

«L’unica raccolta di firme che il Meeting di Rimini sta facendo è quella contro la persecuzione dei cristiani nel mondo. La raccolta di firme sull’omofobia è una iniziativa del settimanale “Tempi”». Con queste parole i vertici ciellini si sono dissociati dalla donchisciottesca battaglia della rivista diretta da Luigi Amicone contro il ddl sull’omofobia: infatti, spiegano ancora i responsabili della kermesse romagnola, «che il Meeting non abbia paura dell’altro o della diversità, qualunque essa sia, lo documentano le decine di migliaia di persone che affollano in questi giorni la fiera di Rimini, visitatori, relatori o ospiti, che vivono il Meeting come fosse casa propria».

Poche righe ma confuse, verrebbe da commentare. Gli estensori del comunicato sembrano non accorgersi della portata liberticida del ddl Scalfarotto, delle conseguenze che progetti normativi come questo potranno avere in termini di persecuzione, magari non violenta ma strisciante, proprio dei “cristiani” che ci si propone di difendere in altre parti del mondo. I grandi capi del Meeting, dunque, non raccolgono firme contro la legge sull’omofobia, perché non hanno paura della “diversità”; ne segue logicamente che chi lo fa sia invece intollerante, insomma un tipaccio da cui prendere opportunamente le distanze. Una conferma implicita proprio del falso teorema messo in campo dai sostenitori della legge, uno sconcertante segno di subalternità culturale che non ci si aspetterebbe dai presunti eredi di don Giussani.

Sembrano lontani i tempi in cui il Fondatore accusava la modernità illuminista e secolarizzata di aver prodotto una vera e propria “scomunica”, ben più violenta di quelle comminate in passato dalla Chiesa, contro il cattolicesimo. Lontanissimi i tempi in cui CL e il Movimento Popolare erano attraversati da pulsioni anticapitaliste, antiamericane e anche un po’ terzomondiste. Oggi trionfa il “politicamente corretto”, come confermato dall’imbarazzante e sibillina chiusa del comunicato, laddove si afferma che, nel merito della questione omofobia, «possiamo solo auspicare che le sedi parlamentari affrontino la vicenda secondo quello spirito di responsabilità auspicato dal Presidente Napolitano che ha invitato a “parlare il linguaggio della verità” nell’interesse di tutti e di ciascuno». Ecco, non pretendevamo certo che si nominasse il Catechismo, ma almeno una citazione da don Gius. Dal Fondatore a Re Giorgio, il passo è stato più breve del previsto: la sete di “Assoluto” ha forse prodotto qualche volo pindarico di troppo.

Nessuna battaglia contro la legge sull’omofobia, dunque: sia mai che qualche ricco sponsor – che so, Legacoop – ritiri il suo contributo finanziario al prossimo Meeting, come suggerito con mentalità mafiosetta da Franco Grillini. Eppure Qualcuno aveva messo in guardia: “Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona!”. Un invito sempre attuale, sul quale i signori del Meeting farebbero bene a riflettere.

da barbadillo.it