Mi vedo un Giorgio Torelli in grande spolvero, con quei baffi da reggitore perfettamente tirati a lucido come il vestito appena uscito da una sartoria milanese. A un primo sguardo mi pare nervoso, giocherella con l'orologio, si muove di qualche passo per poi tornare indietro, appoggiato a un bastone di noce, sino a che non tira fuori la pipa. Il fumo cilestrino delle sue boccate rende più dolce quell'attesa, e lo riporta a rimembrare gli anni passati, ma non del tutto obliati, quando trasvolava fiero i continenti a caccia di buone nuove da appiccicare su carta stampata. Dopo una manciata di mesi la sua Carlina non ha più aspettato e – secondo il decreto del buon Dio – lo ha raggiunto in Cielo.
I due eterni innamorati ora possono finalmente varcare la soglia del Paradiso tenendosi per mano, con la stessa tenerezza di quando erano giovani. Ben più di settant'anni insieme, tra amicizia e matrimonio, quando, diciassette anni lui e sedici lei, nelle dorate stagioni di Parma (nido di cove delle speranze), fu loro dato a voler di Provvidenza d'incontrarsi. Dopo innumerevoli stagioni insieme, anche quando separati dal lavoro – lei medico e lui giornalista in giro per il mondo (l'antiluna, come l'apostrofava) per quotidiani nazionali e riviste patinate – erano sempre uniti da un epistolario quotidiano e da un affetto che non si è spento né assopito nonostante il logorio del tempo che passa.
Nell'ultimo periodo, Giorgio dedicava la sua esistenza interamente alla sua Carlina, allettata a causa di una caduta, raccontandole ogni giorno storie, le sue storie, di bene. Tenendosi per mano. Quando lui ha deciso di incamminarsi per l'ultimo viaggio a ridosso di questa Pasqua, lei ha intuito da sola della sua dipartita, nessuno infatti se l'era sentita di comunicarle la notizia. Ormai non parlava quasi più, ma si lasciò andare in un pianto a dirotto e in un abbraccio verso il suo uomo, presente in spirito, che era stato tale per tutto il tempo che l'Altissimo aveva loro concesso. Volevano finire le loro vite assieme, ma forse dal suo letto di dolore Carlina ha voluto abbreviare al suo sposo il calcolo degli anni di purgatorio ancora mancanti, semmai ce ne fossero stati da scontare (ma non ne siamo sicuri), così da poter entrare trionfalmente insieme nell'aldilà.
Convinzione di un sacerdote, ovviamente, che ha conosciuto entrambi e che da tutt'e due è stato edificato, comprendendo appieno almeno un paio di insegnamenti. Il primo ricorda cos'è il matrimonio cristiano, specialmente oggi dove pare che tutto equivalga a tutto, e dove parlare di famiglia sembra sconveniente, sebbene si sentano di continuo ritornelli di chi attacca quella cosiddetta tradizionale, perché vuole costruirne di nuove con gli stessi diritti dell'istituzione che dileggia. Se non stupisce che il mondo abbia le sue trovate (nonostante siamo arrivati a definire diritti di civiltà abomini), tuttavia lascia basiti che le guide della Chiesa siano intimidite a ricordarci la verità, che non può essere ridotta a opinione, fosse anche quella della maggioranza (di una piccola élite). Molti poi confondono il Vangelo con una storiella edificante con l'unico obiettivo di rasserenarci anche davanti agli scempi commessi (a meno che non siano contrari al pensiero unico imperante), raccontandoci e raccontandocela che l'importante è volersi un vago bene, più somigliante a una libertina tolleranza. Sì, perché se è sacrosanto il fatto che Cristo ha accolto ogni uomo, a ognuno ha chiesto conversione: ai farisei di non essere sepolcri imbiancati, all'adultera di non peccare più, all'indemoniato di tornare guarito dai suoi di casa, agli apostoli di lasciare tutto e seguirlo... Giorgio e Carlina ricordano, quindi, a chiunque che l'amore vero, l'amore cristianamente inteso, non è solo questione di diritti, di voglie o di mode, e non si riduce neppure a un contratto tra due persone. È un amore, invece, che è sorretto dall'Amore. Le fatiche, le incomprensioni, i limiti del carattere e dell'età si vincono soltanto con la grazia divina accolta nella libertà. Ecco, allora – ed è la seconda cosa che ho imparato da Giorgio e Carlina –, la necessità di nutrirsi del Corpo di Cristo, quale maggior fonte e sostegno per rinverdire il reciproco donarsi. Afferro ora ancor meglio il loro modo di accostarsi alla comunione sacramentale: una solenne devozione unita a genuina gratitudine. “Grazie per aver portato in casa nostra il Signore”, mi diceva Giorgio a conclusione di ogni nostro incontro prima di congedarci, mentre Carlina mi ripeteva un flebile e accorato “grazie” in un sussurro, forse il medesimo sussurro di una brezza leggera.
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