08 dicembre 2022

Pace ma non pacifismo



Di Fabrizio Cannone

E’ divenuta quasi un’ovvietà per l’uomo della strada, e persino per il cattolico medio, l’idea secondo cui chi si riconosce nei valori del Vangelo debba essere pacifista. Due interventi che hanno per autore e per oggetto papa Francesco smentiscono questa tesi riduttiva ed errata.

Nessuno può e deve preferire in astratto la guerra alla pace o la violenza dei conflitti alla tranquillità dell’ordine. Tutti infatti, per istinto naturale, vogliono essere lasciati in pace, e perfino chi fa la guerra la fa per avere una pace e una giustizia che pensa di non avere. Nessuno, tranne forse chi auspica lo spopolamento del mondo ed alcuni mercanti di armi senza scrupoli, vorrebbe una guerra permanente, una guerra come fine, una “guerra per la guerra”.

Quel Gesù che ha detto di essere venuto a “darci la pace” (Gv 14,27) è lo stesso che non ha detto ai soldati romani incontrati in Palestina di cambiare mestiere, come invece ha fatto con la Maddalena e i venditori profani nel tempio. Ma ha solo detto di essere dei soldati onesti, rispettosi delle autorità politiche, della legge e della gente più debole e non armata.

Il Sir, l’agenzia stampa della Cei, ha rilanciato, a proposito della visita di papa Francesco in Piemonte, un articolo dedicato al nonno del papa, con il titolo: “Il soldato Bergoglio al fronte del Piave: il nonno Giovanni sul fiume sacro” (18.11.2022).

L’articolo, pubblicato da Ivano Sartor su La Voce del Popolo di Treviso, esalta le gesta militari del nonno del Pontefice che ha combattuto nella prima guerra mondiale. Una cosa infatti è dire che sarebbe stato meglio se la guerra, tra Russia e Ucraina nel XXI secolo o tra Italia e Austria nel XX, non fosse mai scoppiata. Altra cosa è negare dignità e legittimità al militare che combatte sia perché inviato sul fronte dal governo, sia perché è dovere naturale, riconosciuto dal Catechismo, difendere la patria e la propria gente (cf. CCC, n. 2310).

Scrive Sartor che “il nonno dell’attuale pontefice, papa Francesco, è stato arruolato e ha combattuto nel primo conflitto mondiale, com’era suo dovere, da cittadino italiano” (corsivo mio).

Giovanni Bergoglio era nato ad Asti il 13 agosto 1883 ed esercitava la professione di “caffettiere”. Venne “richiamato alle armi all’entrata in guerra dell’Italia nella primavera del ‘15”, quando aveva 30 anni.

Secondo Ivano Sartor, “Gli fu assegnato il numero di matricola 15.543 e venne incorporato nel 78° Reggimento Fanteria, che assieme al 77° appartenevano alla Brigata Toscana. Gli fu affidata la mansione di radiotelegrafista”.

Il corpo di cui faceva parte Giovanni Bergoglio aveva operato a nord di Gorizia, ai confini con la Slovenia e aveva partecipato a “durissimi combattimenti, dando prova di coraggio e valore”. Si rassegnino i pacifisti, cattolici e non: il coraggio e il valore militare esistono, e resistono malgrado i tempi fluidi e indifferenziati che ci troviamo a vivere.

Proprio per il valore dimostrato dai soldati, tra cui Bergoglio, “le bandiere dei reggimenti coinvolti si meritarono la decorazione con la medaglia d’oro al Valor militare”.

Nel Natale del 1917, il 78’ reggimento di cui faceva parte Giovanni Bergoglio, fu impiegato “per bloccare gli sconfinamenti austriaci, in tre giorni di lotta corpo a corpo”. E anche qui ottenne un riconoscimento: “Per l’eroismo dei suoi Fanti, la bandiera del 78° fu decorata con Medaglia d’argento al Valor militare”.

Il motivo, espresso con un italiano aulico a cui purtroppo non siamo più avvezzi, dice così: “In tre giorni di aspra lotta, con estrema tenacia e sommo valore, sbarrava il passo al soverchiante nemico che aveva sfondato la prima linea: i petti degli eroici fanti furono muraglia contro cui si infranse l’impeto avversario. Per la difesa del suolo della Patria non conobbe limiti di sacrifizio e di ardimento”.

Ancora più importante, dal punto di vista cattolico, ciò che ha scritto nero su bianco, il nipote del soldato Giovanni, nella “Lettera al popolo ucraino a nove mesi dallo scoppio della guerra” (25.11.22).

In essa, papa Francesco, tra mille considerazioni, se da un lato condanna “l’assurda follia della guerra”, dall’altro azzera in modo secco la “teologia pacifista”.

Il papa si rivolge ai giovani ucraini elogiandoli per il fatto “che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi”. L’elogio non avrebbe alcun senso, se “mettere mani alle armi” o “difendere la patria” fossero azioni, in sé e per sé, sbagliate, immorali e contrarie alla fede.

In tal senso si vedano le varie vite e biografie di santi militari. Per esempio il classico di Rino Cammilleri, I santi militari, Estrella de Oriente (2004). Oppure il volume di Vittorio Pignoloni, Cappellani militari e preti-soldato in prima linea nella Grande Guerra, San Paolo (2016). Oppure di Giulio Cerchietti, Il volto degli amici. Militari testimoni di Cristo, San Paolo (2007).

Auguriamoci quindi che la guerra in Ucraina cessi presto e che mai più avremo da combattere i vicini austriaci. Ma auguriamoci pure che lo spirito imbelle e pseudo-pacifista di tanti cattolici sia sepolto per sempre dai Bergoglio: il fante Giovanni e il papa Francesco.


 

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