Sono invitato a casa di Giorgio Torelli: si deve riflettere insieme sul Santo Natale! Il giornalista di “buone nuove” ha in animo di scrivere un pezzo sulla notte della nascita del Salvatore e desidera assistenza teologica. Trattasi, invero, di conferme, perché il saggio scrittore seduto di fronte a me la sa lunga più di quello che mi fa intendere. Ma è sempre così con Giorgio: tu pensi di poter essere d’aiuto, ma in realtà stai già imparando qualcosa da lui, navigato nella conoscenza dello spirito umano.
Torno a casa con più domande che risposte. Giorgio da cronista, seppur “a modo suo”, incalzava: «Allora Maria non ha sofferto per il parto? I pastori sono stati proprio convocati da un Angelo e poi si è presentata una milizia intera? Erano rimasti non frastornati, ma riflessivi come d’uso nella loro solitudine?». Mi soffermo davanti al presepio della mia parrocchia, lì a un passo dalla chiesa, tanto maestoso e accogliente, pieno di particolari e veridicità. Guardo le statue e medito, ma non sono distratto. Il buio mi avvolge come il silenzio che a una certa ora si può godere anche a Milano, e rimango lì a osservare le statue nella loro composta immobilità. La mente, però, non è a Betlemme – anche se ciò che ho intorno me lo ricorda –, ma a Roma, città dell’Impero governata da Cesare Augusto, emblema del potere, di quella forza ormai stinta anche sui libri di storia sfogliati decenni fa. Il suo fu un progetto ambizioso, censire il suo regno: considerare, cioè, ogni essere vivente quale sua proprietà. Era un voler farsi Dio, sapere tutto e dominare su qualunque realtà. Eppure cosa ci ricordiamo di questo personaggio, oltre al nome e a qualche impresa che or ora neppure mi sovviene? Non si può vivere il Natale cercando di spadroneggiare. Certo, questa insana voglia può riempiere la vita, ma lo fa solo lasciando un vuoto che giorno dopo giorno diviene voragine rigonfia di illusione.
Lascio la capitale con il suo Imperatore per proiettarmi ancora lì, dinanzi a quell’umile capanna e scopro Giuseppe. Che uomo! “Agisce e non dice”, mi vien da pensare con un gioco di parole. Non è muto, al contrario: non ciarla, però, come molto spesso accade agli uomini del nostro tempo, che dicono e disdicono in un attimo, forsanche nella stessa frase. È forte e intraprendente, uomo giusto e capace. È colui che c’è, è presente, non manca mai: il suo esserci è fondamentale, rassicura, rianima, dà speranza.
Poi il mio sguardo si posa su Maria, donna dello stupore, dell’umiltà, bellissima. Sa rileggere nel cuore ciò che avviene; «meditava», riporta il Vangelo con delicatezza. Fa quello che deve fare, avendo fiducia di Dio: «Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia».
Sorrido quando mi accorgo della simpatia dell’asino e del bue, e intuisco come anche loro aiutino con il caldo fiato a dare un poco di tepore al Re del mondo. Si saranno accorti di chi avevano davanti? O è stata solo una scusa per mangiare di più, come scrisse un cardinale birichino che rileggeva il modo di celebrare le feste natalizie di tanta gente? No – mi dico –, gli animali sono a volte più “intelligenti” degli uomini, perché sanno assecondare meglio l’istinto dato loro dal Creatore.
Gli uomini… sospiro e noto i pastori, gente ai margini, allora, poco considerati, perché non potevano vivere il culto e i riti di purificazione. Quando apparve loro l’Angelo «furono presi da grande timore». Mi chiedo: «Sono o meno sottosopra perché raggiunto da una tale notizia?». Dovrebbe essere lo stato d’animo di Natale, che consentirebbe di partire senza indugio verso la greppia, di trovare quanto annunciato e di raccontare ciò che si è visto e sentito per poi ritornare lodando Dio.
Alzo la testa e adocchio gli Angeli, portano il calore luminoso del messaggio. Rincuorano chi si spaventa, come i pastori: «Non temete»; annunziano una «grande gioia», propongono un segno ed esultano con un «Gloria!». La gioia è contagiosa.
Forse ci è chiesto di essere come gli Angeli, che non annunciano loro stessi o una bellezza vaga del Natale, ma qualcosa di così grande da far scoppiare il cuore. O come i pastori investiti dalla luce e dalla lieta notizia, che permette loro di lasciare il gregge e cambiare, partire, andare e tornare rinnovati e con una grande fede nel cuore, una fede che si fa lode, nonostante le fatiche della vita. Chiedo l’aiuto a Giuseppe e a Maria per vivere davvero da cristiano. Fisso, infine, il posto vuoto dove sarà posto il Bambinello nella Notte Santa: sono qui a riconoscere Gesù come il Messia, l’Atteso, il Salvatore, l’unico che può dare senso al nostro esistere. Se soltanto me ne rendessi conto ogni giorno… Ripenso alle parole di speranza di Giorgio: «Ogni Natale sa quel che fa. Si ripresenta perché possiamo dare gli esami di riparazione».
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