11 febbraio 2021

Cosa sta capitando in Italia?



di Enrico Roccagiachini

Che cosa sta mai capitando all’Italia in questi giorni confusi e surreali, nei quali si consuma una delle crisi di governo più paradossali della nostra storia recente? È inevitabile chiederselo, pur sapendo che comprendere un fenomeno proprio mentre si sta svolgendo è estremamente difficile. È ugualmente vero, però, che le fasi iniziali delle odierne vicende risalgono ormai a parecchi anni fa, sicché forse incominciamo a vedere dalla giusta distanza quantomeno i primordi della situazione corrente.

Per questa ragione, possiamo in primis inquadrare l’attualità entro uno scenario più ampio e più completo, osservando, sulla scorta di larga parte della letteratura scientifica, come appaia ormai più che plausibile, se non addirittura dimostrato, che i sistemi democratici, perlomeno quelli occidentali, evolvano fisiologicamente in senso oligarchico: cioè che, col tempo, le democrazie si trasformino in oligarchie. Si tratterebbe – chi scrive ne è personalmente convinto – di un fenomeno naturale, non patologico. Esattamente come la vecchiaia che, pur essendo una condizione deteriore rispetto alla giovinezza, ne è l’esito fisiologico: se sei giovane e sopravvivi, diventi naturalmente vecchio, che ti piaccia a no. E questa evoluzione non esprime un difetto della tua giovinezza: al contrario, ne è lo sbocco naturale. Così avverrebbe delle democrazie: se si consolidano, e quanto più si consolidino, diventano naturalmente oligarchie (nel nostro caso: di stampo tecnico-finanziario).

É interessante soffermarsi anche sul modo in cui, secondo questa lettura della realtà, tutto ciò avviene. Di norma, non abbiamo trasformazioni istituzionali significative, cambiamenti costituzionali formalmente rilevanti, modifiche eclatanti e repentine dei sistemi politici. Le forme democratiche persistono, ma ne cambia – per così dire – il DNA. Così, si continua a votare, le elezioni ci sono sempre: ma se in un quadro realmente democratico esse servono effettivamente a sostituire la classe dirigente perdente con quella vincente, e sono dunque in grado di determinare reali cambiamenti dell'indirizzo politico impresso alla società, in un sistema oligarchico, invece, servono solo a riequilibrare i rapporti di forza all’interno dell’oligarchia (che è “il governo di pochi”, i quali pochi sono comunque in una certa competizione tra loro), entro una stabile continuità di indirizzo politico. Con la conseguenza che, se si teme che un’elezione possa davvero portare alla sostituzione della classe dirigente, cioè possa attentare alla stabilità dell’oligarchia e alla continuità dell’indirizzo (per esempio: facendo cessare la convinzione fideistica che l’adesione all’UE sia la cosa migliore per un certo paese), diventa un pericolo e va spregiudicatamente controllata o radicalmente demonizzata, come possiamo facilmente constatare in Italia e all’estero.

I sistemi oligarchici, come ogni altro sistema, possono funzionare bene o male; il buon funzionamento esige quantomeno che l’oligarchia sia in grado di garantire ai sudditi un minimale livello di benessere – ove per benessere non si intende solo quello economico, necessario ma non sufficiente, ma anche quello psicologico, esistenziale, morale, culturale, e così via.

Ora, pare evidente che le oligarchie costituitesi come naturale sbocco dei nostri sistemi democratici, a un certo punto – per errori commessi, o per inopinata crudeltà del destino cinico e baro... – abbiano preso a funzionare male, ponendo i sudditi in una condizione di crescente malessere. Ciò costituisce per gli oligarchi un problema di estrema gravità: in un sistema oligarchico, i sudditi insoddisfatti finiscono per ribellarsi; da parte sua, l’oligarchia deve difendersi e, spesso, ciò comporta la necessità di abbandonare anche le apparenze democratiche del sistema stesso, per svelarne senza maschere la natura tendenzialmente autoritaria, se non tirannica, inasprendo ulteriormente l’ostilità dei sudditi. Proprio questa potrebbe essere la chiave di lettura di buona parte dell’attualità: segnata, da un lato, dalla compressione sempre più evidente delle libertà democratiche, il mantenimento delle cui apparenze diventa un lusso che gli oligarchi non possono più permettersi; dall’altro, dal tentativo di annichilire tutte le strutture sociali su cui potrebbe fondarsi la ribellione dei sudditi, a cominciare dalla famiglia (e, sul piano economico, dalla libera impresa diffusa, che si vuole assoggettare alla schiavitù del debito pubblico e privato).

In questo quadro, nel pieno svolgimento di questo fenomeno, reso ancor più turbolento dalla pandemia (che, peraltro, per l’oligarchia rappresenta un’occasione da sfruttare), in Italia compare e si propone quale salvatore della Patria Mario Draghi, che nel sistema oligarchico è organicamente integrato. Trascuriamo le modalità della sua salita al proscenio, l’interrogativo se si tratti di un avvento preparato da tempo, le improbabili scuse accampate dal presidente Mattarella per imporlo (come dicevamo, l’oligarchia è costretta ad abbandonare anche le parvenze dei meccanismi democratici). Limitiamoci a dire che Draghi è un tentativo autodifensivo del sistema in evidente difficoltà. Un tentativo intelligente: non foss’altro perché Draghi è assai diverso da Monti, che a suo tempo svolse un ruolo analogo. Infatti, mentre il professore della Bocconi era chiamato a manifestare il volto spietato dell’oligarchia e la sua capacità di piegare ogni oppositore riducendolo in miseria, Draghi deve tentare un recupero di credibilità, concedendo qualche sollievo al popolo e illudendolo di poter riconquistare una certa quota di benessere. In fin dei conti, assopire è senz’altro meglio di reprimere. Viene in mente la scena finale de The Truman Show: quando Truman, dopo aver avuto il coraggio di affrontare il mare artificialmente in tempesta, sta per uscire dal set che ha costituito sino ad allora la sua falsa ma rassicurante realtà, il regista tenta di dissuaderlo dicendogli mellifluamente che solo lui lo ama e può garantirgli sicurezza, tranquillità, serenità... a prezzo, ovviamente, della continuazione della sua totale sudditanza e della ormai consapevole abdicazione alla sua dignità. In fin dei conti, è proprio questo il compito di Draghi: convincere i sudditi che solo affidandosi all’oligarchia potranno avere qualche bene. L’ex governatore della BCE ha sicuramente la capacità, la competenza, il prestigio e gli alleati necessari per farlo con successo.

E le “opposizioni”? Come ci sono due tipi di prigionieri innocenti e ingiustamente incarcerati: quelli che non si rassegnano, e cercano di fuggire ogni volta che ne hanno l’occasione (e quando non ce l’hanno, provano a inventarsela), e quelli che si rassegnano, e cercano di farsi amico il direttore del carcere; così ci sono due tipi di opposizione: quella che cerca di scalzare l’oligarchia e si sforza di interpretare, organizzare ed orientare in senso costruttivo la ribellione dei sudditi, e quella che si rassegna, e cerca di placarne la rabbia, per poi entrare nel sistema, appoggiandosi a questo o quell’oligarca, magari offrendogli il modo di conquistare l’egemonia entro quella stessa oligarchia che il sostanziale sostegno dell’opposizione rinsalda al potere.

In Italia, quest’ultimo ruolo è da tempo appannaggio di Berlusconi, e non risulta che gli abbia giovato. Ora, però, sembra tentare anche Salvini, il che costituisce una spiacevole sorpresa. Certo, gli si può concedere il beneficio del dubbio, ipotizzando che si tratti di una qualche forma di tattica, auspicabilmente più efficace di quella che lo indusse a far cadere il governo nel 2019... Possiamo sforzarci di sperare, insomma, che Salvini stia solo preparando un qualche boicottaggio di Draghi nello stile di Renzi, o che cerchi di mandare in confusione la sinistra. Si tratterebbe, però, di espedienti di corto respiro, che denoterebbero una fondamentale incapacità di comprendere le dinamiche sistemiche sottese alla crisi del governo Conte. Auguriamoci, comunque, che si tratti almeno di questa piccola tattica, piuttosto che di una rinuncia alla lotta, di una resa al nemico: non solo perché non si può cooperare in nessun modo con l’oligarchia, principalmente per il taglio anticristico che essa ha preso e che non potrà né vorrà dismettere; ma anche perché è estremamente probabile che il sistema oligarchico sia ormai alla frutta, incapace di dare un nuovo equilibrio alla società (nonostante tutti i sogni di Great Reset, e al netto del fatto che il sogno dell’oligarchia è l’incubo del popolo), ed inesorabilmente condannato ad un crollo che travolgerà tutto e tutti, inclusi gli improbabili collaborazionisti dell’ultima ora. Che riusciranno solo a ritardare il collasso, e, così, a prolungare, nonostante ogni pur sincera intenzione contraria, la sofferenza dei sudditi. E a preparare, come risultato del disastro, solo il caos. Che il Cielo ci aiuti.


 

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