Nonostante la vulgata abbia ormai deciso che meno parlamentari ci sono, meglio è per il popolo, forte certamente dei numerosi vizi della categoria degli eletti, al referendum di settembre mi discosterò dalla massa e voterò no al taglio dei parlamentari.
La modifica del numero di deputati e senatori è figlia infatti della famosa antipolitica, quella furia giacobina che ha già tagliuzzato le rappresentanze elettive a tutti i livelli, cancellato le elezioni provinciali e ormai ridotto ogni tipo di riconoscimento a chi, ancora, lavora per il bene comune sui territori.
L'indebolimento della classe politica però non è lotta alla casta, ma è il semplicemente la strumentalizzazione, eterodiretta dalle peggiori consorterie, del rigurgito astioso degli invidiosi che pensano di aver trovato un nemico in quei "porci che prendono 10 (o 20 o 30, inversamente proporzionale al grado di istruzione di chi parla) mila euro al mese per non fare nulla". Eppure, la classe politica oggi fatiscente andrebbe semplicemente riformata, dovrebbe essere instaurato un vero legame territoriale fra elettori ed eletti, servirebbe una selezione vera da parte dei partiti.
Non si capisce l'automatismo per cui il taglio del numero aprirebbe automaticamente la porta ai migliori. Probabilmente sarà il contrario. Per la cronaca, questa riforma farà risparmiare allo stato meno di 60 milioni di euro all'anno, facendo però perdere rappresentanza ai territori e spazzando via numerose istanze oggi difese da sparuti gruppi di parlamentari che non avranno più spazio.
Anche le cause della famiglia e della vita, va da sé, non troveranno più cittadinanza in un parlamento ridotto all'osso.
Ne beneficeranno solo i potentati e i gruppi di pressione, sia a livello nazionale che locale, che non avranno più di fronte una classe politica forte capace di dire "no".
D'altronde la democrazia rappresentativa senza rappresentanti, non può che dirigersi verso il disastro.
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