di Samuele Pinna
Se Erode Antipa fosse stato un personaggio letterario la sua figura sarebbe risultata di estrema attualità; non a caso nel musical “Jesus Christ Superstar”, composto da Andrew Lloyd Webber con testi di Tim Rice, il suo è tra i soggetti più ecclettici, per non dire bizzarri e variopinti. Ciononostante, il tetrarca fu persona reale che ben rappresenta l’uomo (decaduto) più di quanto si possa immaginare a prima vista. Ha avuto la fortuna (sprecata) di incontrare il Cristo e il Precursore. Se quest’ultimo discorreva con lui per rimbrottarlo per la sua immoralità, il primo non pronunziò al suo cospetto neppure una parola, deludendo la voglia del regnante di poterlo finalmente vedere (cfr. Lc 9, 8). La storia dice che dopo la sconfitta con gli arabi, perdendo il favore del nuovo imperatore Caligola, fu spedito a Lione, prontamente seguito da Erodiade, moglie di suo fratello Giovanni che aveva voluto per sé. Per tale motivo il Battista lo sferzava con i suoi ammonimenti, tanto da rimetterci la testa. Evidentemente non era ancora in auge nella sorgente cristianità il dogma del dialogo, ma ci si atteneva a quanto avrebbe scritto poco più tardi san Paolo: «Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente» (Ef 5, 11).
E, così, Erode diventa prototipo anche dell’uomo moderno che insegue e vede i segni della presenza di Dio, ma si rifiuta di riconoscerli. Ma simboleggia, in qualche modo, pure il potere politico e dominatore, di chi cioè si sente – e in misura lo è – sopra la legge e spadroneggia. A questo proposito, c’è un illuminante commento di sant’Ambrogio presente nel trattato su «Le vergini» (lib. III, 26. 28-30) in cui spiega il motivo per cui Giovanni fu ucciso.
«Sono due adùlteri – egli scrive – che mettono a morte quel giusto, due rei che ritorcono contro il giudice la pena di delitto capitale. La morte del Profeta, poi è il premio concesso a una ballerina». Infatti, nel bel mezzo di festini e gozzoviglie , «cosa – precisa Ambrogio, mostrando come le riletture storiche possono anche distanziarsi dalle vulgate di moda – che gli stessi barbari hanno sempre avuto in orrore», si emana l’ordine di consumare il delitto .
«Quanti peccati in una sola scelleratezza!», esclama il Vescovo di Milano con sdegno. Il passo del vangelo è conosciuto: il re, dopo il lascivo ballo della figlia della sua concubina, «n’ebbe piacere e disse alla fanciulla di chiedergli ciò che voleva. E giurò di darle anche la metà del regno, se lo avesse chiesto» (cfr. Mc 6, 22-23). Ecco il commento, non privo d’ironia, di Ambrogio: «Vedete il conto che fanno i mondani dei loro regni e dei loro stati: li vendono per un ballo. La ragazza, istruita dalla madre, chiese che le si portasse su di un bacile il capo di Giovanni. Quel che si legge poi (cfr. Mc 6, 26): “Il re si rattristò”, non è pentimento, ma riconoscimento della propria iniquità, a cui la divina giustizia suole condurre il malvagio costringendolo a condannarsi con la confessione della sua colpa. Sèguita il vangelo: “Ma a causa di quelli ch’erano a mensa con lui”. Che cosa poteva fare di più vergognoso che dare l’ordine di un omicidio solo per non dispiacere a dei commensali? “E per il giuramento”, soggiunge. Oh religione veramente singolare! Sarebbe stato un male minore lo spergiuro! […] Intanto si colpisce un innocente per non violare un giuramento. Non so davvero quale delle due colpe ispiri più orrore. Gli spergiuri dei tiranni sono più tollerabili dei loro giuramenti. Vedendo quel correre su e giù dalla mensa al carcere, chi non avrebbe creduto che si ordinasse la scarcerazione del Profeta? Chi mai, dico, visto che si trattava di festeggiare il natalizio di Erode, che il convito era solenne e che era stato concesso alla fanciulla di chiedere quel che volesse, non avrebbe pensato che si mandasse a liberare Giovanni? Che ha a che fare la crudeltà con i festini, il piacere con la morte? Viene trucidato il Profeta nell’ora stessa del convito, per ordini emanati durante il convito stesso, e dai quali del resto avrebbe sdegnato di venire prosciolto. Viene decapitato, e la testa di lui portata in un piatto. Ben conveniva a quell’inumano una tale vivanda, con cui sfamasse la sua ferocia non sazia di cibi». E poi, davanti a un potere politico degradato, l’invettiva del Padre della Chiesa: «Guarda, scelleratissimo re, quale spettacolo degno del tuo banchetto! E perché nulla manchi alla tua barbarie, stendi la mano, così che ti scorra tra le dita quel sangue sacro. E poiché la tua fame rabbiosa non poté saziarsi con le vivande, né con i vini spegnersi la tua sete d’inaudita ferocia, bevi quel sangue che scorre ancora dalle vene di quel capo reciso. Guarda quegli occhi che, anche morti, attestano ancora il tuo peccato, e aborrono i tuoi festini. Si chiudono quegli occhi non tanto in forza della morte, quanto per orrore della tua lussuria. Quell’aurea bocca, della quale non potevi tollerare i giudizi, è muta, eppure la temi ancora. La lingua, che, quantunque morta ancora compie il suo dovere come quando era viva, con un movimento che si sarebbe detto convulso, fulminava anche adesso quello scandalo!».
Non sembra molta diversa la situazione ai giorni nostri, dove – per carità! – nessuno taglia teste (almeno fisicamente). L’uomo è uomo, sempre. Non sono tanto le strutture di potere che devono cambiare (anche, in qualche caso), ma il cuore delle persone che dovrebbero vivere la politica come servizio per il bene comune. Altrimenti una dittatura darà spazio a un’altra (fosse “solo” ideologica), perché si ha inevitabilmente sempre bisogno di qualcuno o qualcosa da cui dipendere.
Come vincere il potere? Si può attingere una risposta a partire dalla favola del Collodi, Le avventure di Pinocchio, quando il protagonista incontra Mangiafoco «un omone così brutto, che metteva paura soltanto a guardarlo». Se Pinocchio stesso è fatto dello stesso materiale delle marionette che va a vedere a teatro, tuttavia lui non ha fili invisibili che lo controllano. Davanti al burattinaio, pronto a sacrificarlo per cuocere il suo montone, il burattino la scampa, riuscendo pure a ottenere la liberazione del suo amico Arlecchino, evitandogli così il rogo, e, addirittura, ricevendo in dono cinque monete (ha difatti detto di Geppetto che «guadagna tanto quanto ci vuole per non avere mai un centesimo in tasca»). Pinocchio può salvarsi perché, a differenza degli altri burattini, ha un padre e ciò mette un limite persino al potere. Il dare senso alla propria vita seguendo un orizzonte (di Bene) è ciò che consente di non cadere vittima di chi esercita il dominio. “Seguendo un orizzonte” e “fidandosi di Qualcuno”, però: altrimenti si cede all’ideologia di un sistema che altro non è che un diverso idolo “costruito da mani d’uomo”, un nuovo padrone che illude e, ineluttabilmente, delude.
Pubblicato il 29 agosto 2020

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