di Giorgio Salzano
Io mi chiedo perché mai le nostre emittenti televisive abbiano dei corrispondenti negli Stati Uniti, se poi ripetono più o meno a pappardella il messaggio dei main stream media americani. Tanto vale che se li guardino e leggano da qua. Io da qua seguo le vicende di là, e vedo che vi sono anche altre voci, anche se mediaticamente minoritarie. E non è detto che la maggioranza abbia sempre ragione. Non solo bisognerebbe che tenessero conto di quello che le parti contrapposte sostengono, ma almeno di quello che sostiene la parte che esse ascoltano.
Ieri sera, a Prima Pagine del TG5, ho visto un servizio che mi ha lasciato esterrefatto.
Riportava le immagini di Martin Luther King che il 28 agosto 1963 pronunciava al Lincoln Memorial, di fronte a una folla oceanica, il famoso discorso “I have a dream”: il sogno che coloro che i figli di coloro che erano stati schiavi e i figli di coloro che avevano posseduto schiavi siedano insieme al tavolo della fratellanza, in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ma soprattutto degno di nota oggi è il finale di quel sogno: «che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno». Per chi non lo sapesse, queste ultime immagini del sogno sono da Isaia 40,3. E il predicatore King conclude: «E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud». A cui potremmo aggiungere oggi gli altri punti cardinali.
Che cosa c’era da rimanere esterrefatto? È un “sogno” sempre valido, suggeriva il servizio mostrando un bambino bianco e uno nero che si correvano incontro abbracciandosi. Certo che è sempre valido, ma che cosa ci dice dei violenti disordini scatenatisi in questi giorni nelle città americane? Forse che sono “proteste razziali” dovute all’esasperazione per la sua incompiuta realizzazione? O che ne sono l’esatto opposto? Qualche parolina al riguardo da parte dei nostri corrispondenti non avrebbe guastato. Ci sono ragioni di dubitare del carattere razziale della violenza, degli incendi e dei saccheggi di questi giorni, malgrado i connotati razziali dell’omicidio che ne è stata l’occasione; o quanto meno valeva la pena di investigare.
Segnalo innanzitutto due momenti che mettono questi disordini in opposizione al sogno di Martin Luther King. Il primo è la dissacrazione del Lincoln Memorial, imbrattato di graffiti: quello che viene imbrattato non è solo il monumento dal quale egli pronunciò il suo famoso discorso; imbrattata è la Costituzione, in nome della quale egli condusse la sua battaglia per l’abolizione delle leggi discriminatorie degli Stati del Sud, oggetto come l’America tutta di discorsi denigratori. L’altro momento è l’incendio appiccato all’antica chiesa di san Giovanni costruita vicino alla Casa Bianca duecento anni fa: è una dissacrazione del sogno stesso di Martin Luther King, di cui ho segnalato la radice biblica, in Isaia ed essenzialmente in Cristo.
Ancora una parola su quelli che pretendono di condurre avanti la lotta contro il razzismo: noi li chiamiamo “democratici”, in americano sono chiamati “democrats”. Fino a qualche tempo fa essi condividevano il consenso americano, con qualche differenza di enfasi su un maggiore o minore interventismo statale. Quel consenso si basava sulla Costituzione e sulla religione. La libertà di religione, garantita dalla Costituzione, era intesa essenzialmente come non intromissione dello stato nelle cose di religione. Il consenso era costituito da una interpretazione dei dieci comandamenti, intesi non soltanto come frutto di rivelazione, ma come rappresentativi del diritto naturale. Negli ultimi decenni questo consenso è saltato. I democrats ne sono lentamente, diciamo durante un mezzo secolo, usciti fuori. Lo vediamo essenzialmente nell’atteggiamento verso la libertà di religione: essa non è più stata intesa come prima, ma alla maniera francese divenuta la maniera europea, per la quale la neutralità o laicità dello stato si trasforma, paradossalmente, in quella che non posso chiamare altrimenti che la religione di stato, l’unica dottrina pubblicamente insegnabile che scarsamente tollera un insegnamento non statalista. Con la libertà di religione viene oggi anche rimessa in discussione la libertà di parola. All’immagine di un popolo di uomini e donne capaci di discutere, sostenendo anche opinioni divergenti, viene sostituta quella di un popolo di bambocci supersensibili, facili all’offesa dalla quale vanno perciò protetti. Salvo che l’offesa non sia quella di “razzista”, e allora uno deve solo farsi piccolo piccolo e chiedere scusa.
Voglio forse dire che non c’è razzismo in America? C’è, e forse è anche endemico, il sogno di Martin Luther King è ancora lungi dall’essersi realizzato. Ma chissà come l’accusa di razzismo viene sempre da una parte, i democrats, bianchi o neri che siano. Chi dissente è suscettibile di essere subito apostrofato “razzista!”, a proposito o a sproposito. Così, gli stessi che sostengono la legittimità dell’aborto fino al momento della nascita, cercano di mantenere la loro egemonia.

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