15 luglio 2019

Vincent Lambert. Il puritanesimo di Onfray

Veglia per Vincent Lambert
di Riccardo Zenobi
La recente vicenda di Vincent Lambert ha suscitato svariate e differenti reazioni. Molti, tra cui Michel Houellebecq (personalmente ateo), hanno compreso che si è trattato di un omicidio di Stato perpetrato ai danni di un innocente, il quale peraltro aveva espresso volontà contraria rispetto alla sua uccisione – avvenuta per fame e sete dopo 10 giorni di agonia, quindi tutt’altro che in modo dolce.
Quanto compiuto dallo Stato francese in maniera perfettamente legale dovrebbe scuotere molti dalla fiducia che hanno verso il potere statale e l’ideologia di cui si fa portatore. Al di là di tutto, si è trattato di perfetta coerenza del credo progressista, secondo il quale la vita non è un principio intoccabile ma si valuta in base alla “soddisfazione personale” o altri parametri volontaristici; e questa ideologia attraverso l’utilitarismo (una vita deve essere degna di essere vissuta altrimenti non è vita) arriva a coincidere con l’idea tecnocratica espressa dalla finanza internazionale per la quale una vita improduttiva deve essere eliminata perché “costa troppo” ed è “solo un peso”.

La coerenza è perfetta se mettiamo da parte il volontarismo, pilastro del progressismo radicale, in quanto Vincent Lambert era contrario alla propria eliminazione fisica. Ma si trattava solo della sua volontà, mentre quella di molti altri è stata più importante – del resto per il progressismo ci sono eccezioni alla rispettabilità della volontà personale, come nel caso si abbraccino volontariamente delle idee non progressiste. A tale eccezione si è involontariamente richiamato Michel Onfray, il quale in una intervista al corriere della sera ha messo in campo l’apice del suo pensiero:

"Questa famiglia cattolica integralista mi sorprende: ho letto che Lambert era il frutto di un amore adulterino. Ha vissuto i suoi primi sei anni con due padri. La coppia di amanti ha finito per risposarsi e il padre biologico lo ha riconosciuto dopo sei anni. Niente da ridire su questo, ma ho difficoltà con i tradizionalisti che hanno relazioni sessuali al di fuori del matrimonio, tradiscono i coniugi, fanno figli nell’adulterio, li iscrivono in scuole tradizionaliste e poi, senza vergogna, danno lezioni di virtù al mondo. Ciascuno ha il diritto di vivere in contraddizione con i valori che pretende onorare: ma che in nome di quei valori almeno non gestisca la vita altrui. Non sono credibili queste persone che parlano di “nazismo”, di “crimine di Stato”, di “assassinio” quando la loro vita contraddice le idee professate"

Al di là della fallacia logica Ad Hominem basata su argomenti esterni a quello in oggetto, il nocciolo dell’argomentazione di Onfray è “se ti comporti male o incoerentemente non puoi parlare di bene o male morale”; qui si nota subito il nucleo puritano del “filosofo dell’immoralità”: non esiste perdono per gli "ipocriti" o per chi non è perfetto (nella visione progressista coerente con ciò che professa, non tanto con la legge morale); e l’assenza di perdono – anzi, il giudizio di condanna senza appello, anche su cose che nulla c’entrano con ciò di cui si sta parlando – è l’essenza del moralismo farisaico. Anche mettendo da parte la smania di giudicare fino al disprezzo le altre persone (che francamente non rende chi lo fa una buona persona), c’è da notare che qui Onfray non è incoerente con quanto sostiene: di fondo la sua idea è che non esiste morale e quindi ogni morale va bene; non si è accorto però che la morale dello Stato francese ha avuto la meglio – leggi e polizia alla mano – sulla morale di Vincent Lambert e della sua famiglia, e la chiusa finale può suggerire che in questo conflitto tra sistemi morali ha vinto quello “credibile” rispetto alla morale di “persone non credibili”. Un modo per contentarsi di fronte ad una ingiustizia palese? Forse. È del resto impossibile per Onfray valutare ciò che avviene quando diversi sistemi morali entrano in conflitto tra loro, se non considerare “chi è più ipocrita di chi”, cosa che però non risolve il conflitto pratico.

Alla fine la posizione espressa da Onfray e da tutti gli immoralisti è un desiderio di perfezione frustrato, che non potendo seguire la morale se ne fanno una a loro misura in modo da risultare perfetti per sé stessi, e dunque inattaccabili. Un blogger ha fatto notare come "Non c’è soddisfazione più grande per gli immoralisti che rimproverare la loro morale ai virtuosi", e quanto riportato è una conferma (l’ennesima) del puritanesimo di chi costruisce la propria carriera sull’odio verso il puritanesimo (altrui) vero o presunto.

 

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