Volevo scrivere un articolo che cominciava con: domanda, è la mancanza di lavoro che ingenera sfiducia nel futuro, o è la sfiducia nel futuro che ingenera mancanza di lavoro? Doveva essere una riflessione sulla fiducia che porta a sperare, e permette quindi di mettersi in gioco anche a rischio di rimetterci, di impegnarsi nella vita anche a costo di perderla.
Ora le circostanze mi forzano a una testimonianza molto più concreta: scrivo dal lutto. Mia moglie (che sarebbe poi a dire, parlando latinamente, la mia donna – bellissima parola questa della lingua italiana, che fa di ogni femmina dell’uomo una signora), la compagna della mia vita, ci ha recentemente lasciati.
Lo so che non tutto finisce lì, ma solo un’esistenza percettibile da altri in questo mondo, con la quale non si spegne però il supremo principio personale che l’animava, e che continua a vivere nella comunione dei santi, anche se in maniera invisibile per noi che pur siamo già candidati a parteciparvi da questa parte. Lo sai – mi si dirà – andiamo … lo credi. Ma che cosa significa credere se non essere persuasi della verità di qualcosa? Quando poi abbiamo buone ragioni per essere persuasi, allora possiamo ben dire di sapere. Le cose non cambiano se queste buone ragioni vengono dalla fiducia nell’autorità – chiamasi fede – che ci ha rivelato che così stanno le cose: con una sua personale testimonianza che noi possiamo raccontare, nel mentre che ce ne rendiamo noi stessi testimoni.
Lo so, dunque, ma non potendolo percepire è dura. Resta, per noi stessi e per gli altri, il racconto. Racconto di racconti. Mia moglie era una persona alla quale piaceva leggere romanzi, ma mentre da ragazza si piegava a leggere tutto quello che la cultura dominante prescriveva, anche se scritto per fare stare male come un pugno nella pancia, divenuta adulta leggeva solo quello che la faceva stare bene, cose non melense ma edificanti. Allora le leggeva e rileggeva. Avrà letto non so quanto volte nella sua vita I promessi sposi. Più recentemente aveva scoperto, e letto e riletto, Jane Austen. L’ultima cosa che poco prima di morire aveva letto, e volentieri riletto, è stata la pentalogia di Alice Basso dedicata al personaggio di Vani Sarca, la ghostwriter. Si tratta di una giovane donna dotata fin da ragazza di una speciale capacità di mettersi nei panni degli altri, divenuta perciò “scrittrice senza nome”, capace di scrivere libri che altri avrebbero firmato, da saggi di neuropsicologia a romanzi. Con tono leggero, a tratti decisamente umoristico, la Basso le fa raccontare in prima persona nei cinque romanzi il suo passaggio da un atteggiamento difensivo, di indifferenza verso ciò che gli altri pensavano di lei, al progressivo coinvolgimento, in trame vagamente poliziesche ricche di evocazioni letterarie e filmiche soprattutto angloamericane, fino a un finale che echeggia quello de La vita è meravigliosa di Frank Capra.
Per chi non lo sapesse, si tratta di uno dei più bei film mai girati, che risponde alla domanda sul perché siamo nati: per fare la differenza nel mondo che ci circonda, partecipando con la nostra vita a uno scambio che è donativo, fino al sacrificio di sé. Parliamo pure se volgiamo a questo riguardo di amore, purché ci ricordiamo che l’amore non è un sentimento, ma coinvolgimento in una relazione di dedizione reciproca, di cui il sentimento non è che il riflesso soggettivo. È la grazia di cui è benedetto in particolare un bel matrimonio, come quello in cui mia moglie ed io abbiamo riconosciuto l’uno nell’altra tutto il bene che eravamo capaci di dare. Sapendo che quel bene non era cominciato con noi, ma che lo avevamo ricevuto per potercelo donare, non chiudendoci però in noi stessi ma trasmettendolo anche a chi ci stava intorno e soprattutto a chi è venuto dopo di noi: è un bene, in breve, eterno.
Così, dopo tutto, l’articolo che volevo scrivere lo sto scrivendo. La risposta alla domanda che mi ero posta sta in quanto ho detto. È l’orizzonte di eterno rappresentato dagli scambi donativi che dà la fiducia necessaria per l’intraprendenza negli scambi economici. Pensiamo all’Italia, ed all’Europa devastata dalla seconda guerra mondiale, nella quale i popoli trovavano nelle loro radici cristiane la fiducia per riprodursi, e con essa la forza inventiva di intrapresa che avviava il miracolo economico del dopoguerra, grazie anche a quel dono dell’America che fu il Piano Marshall. Purtroppo l’Europa, e con essa anche l’America, continuava anche a covare in sé i germi culturali che avevano portato alla passata devastazione, i quali hanno proliferato fino ad arrivare alla odierna devastazione, non più materiale come dopo la guerra, ma certamente, come dire, spirituale, di negazione dell’orizzonte di eterno rappresentato dalle radici cristiane.
Nella restrizione temporale dell’orizzonte alla presente generazione il popolo italiano, ed in generale i popoli europei occidentali, fanno ormai pochissimi figli: spaventosa denatalizzazione che è segno di mancanza di fiducia nel futuro, attribuita alla contingenza di mancanza di prospettive per i giovani, e non a una società che si nega come luogo di rinnovamento della Vita. Nel frattempo il senso delle istituzioni europee è cambiato: da progetto di restaurazione, diciamo, della Cristianità, la cui dissoluzione negli stati nazionali aveva portato alle due guerre mondiali, alla sua negazione definitiva, a seguito della quale però anche la capacità di intrapresa appare affievolita, mortificata proprio dalle pastoie finanziarie e burocratiche che ne avrebbero dovuto assicurare il corretto e prospero funzionamento.
Lo strano è che i vescovi. invece di fare il loro mestiere, rendendo conto e testimoniando dell’eternità del bene nei passaggi della vita, per quanto dolorosi essi possano apparire, si mettano a fare insipidi discorsi di tipo socio-economico, come quando parlano ad esempio di diritto al lavoro. Sciocchezze, il lavoro non è un diritto, poiché non vi è chi abbia rispettivamente il dovere di soddisfarlo; è un bisogno, che solo può essere soddisfatto da chi sappia intraprendere attività economiche che lo soddisfino. L’intraprendenza richiede però fiducia nel futuro, quella fiducia che senza il Cristianesimo si affievolisce, e lo stato non può fornire.
Continuo così con queste righe la ininterrotta conversazione con mia moglie, accesa antistatalista e devoto membro del corpo di Cristo. Dio la abbia in gloria.
Pubblicato il 27 giugno 2019

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