02 giugno 2019

Libertà, nazione, Europa (lettera ad Andrea Monda)

di Giorgio Salzano
Lettera aperta a Andrea Monda (direttore dell’Osservatore Romano), a proposito del suo editoriale del 28 Maggio – da parte di uno che è stato, almeno per un corso, suo professore.
Una cosa è saper enunciare i principi giusti, un’altra riconoscerne correttamente la realizzazione. I risultati del recente voto per il parlamento europeo richiedono inevitabilmente un commento, che l’editoriale svolge come chiarificazione di “un malinteso senso della libertà”. A partire da questa chiarificazione siamo quindi introdotti al discorso più specifico di quel che il recente voto significa per l’Europa: in effetti l’UE. Le due non vengono però distinte, e qualcosa non funziona nel ragionamento.

Provo a seguirlo, e trovo una serie di affermazioni di principio ineccepibili. Siamo forse un po’ fissati nel mondo che si dice occidentale con la libertà, tanto che non manca chi la erge, anche tra i teologi (soprattutto di area tedesca), a principio filosofico supremo. Se proprio dobbiamo dunque parlare della benedetta libertà, bisogna che facciamo le necessarie distinzioni, quali troviamo suggerite nell’uso ordinario del linguaggio dalla diversità delle preposizioni. Monda la richiama a partire da Romano Guardini, ma anche altri avrebbero potuto essere menzionati, come il filosofo politico britannico Isaiah Berlin, autore di un famoso saggio intitolato Due concetti di libertà. Da una parte c’è dunque il concetto liberale di libertà, accompagnato dalla preposizione “da”; e dall’altra invece c’è quello in cui la libertà è accompagnata dalla preposizione “per”, caratteristico del pensiero cattolico.

L’altro principio ineccepibile evocato da Monda è quello del primato delle relazioni nelle cose umane. Da esso segue che la libertà non ci scioglierebbe “da” ma ci scioglierebbe “per”. Va in effetti notato che, se in questo caso il linguaggio le permette entrambe, vuol dire che per concettualizzare la libertà si richiedono entrambe, che insieme danno il senso della trama di relazioni che gli uomini rappresentano gli uni per gli altri. Con chiunque abbiamo a che fare, lo vediamo infatti sullo sfondo dei rapporti che egli intrattiene con altre persone, e dai quali si distacca per venirci incontro. E questo va da chi è più vicino a chi è più lontano, come ha scoperto l’antropologia a base etnografica, con l’osservazione delle relazioni vissute presso popoli lontanissimi da quelli occidentali, a cominciare dai così detti “primitivi”. Delle loro testimonianze non tiene purtroppo conto il pur lodevole sforzo di Papa Francesco, richiamato da Monda, di sottolineare l’importanza delle relazioni.

La mancanza di relazioni si chiama solitudine. È quanto emerge dalla citazione di un bel brano del discorso tenuto da Francesco al Parlamento Europeo. Quello che non emerge è un’adeguata analisi socio-culturale delle origini della solitudine che affligge le nostre società. Qualcosa, come ho detto, si inceppa nel ragionamento di Monda (per non dire, probabilmente, del suo capo). L’enfasi sul “per” finisce per risultare tanto astratta quanto quella sul “da”: in altre parole, di un moralismo individualista, nel quale difficilmente Cristo viene presentato come più di un semplice modello dell’essere “per” da seguire (per chi non lo sapesse, questo si chiama pelagianesimo, l’eresia contro la quale Sant’Agostino combatté nell’ultimo periodo della sua vita, perché negava la grazia che sola rende gli uomini capaci di seguire quel modello).

Riconosciamo a questo punto come e dove principi ineccepibili e la visione della realtà a cui essi dovrebbero dal luogo possano in effetti divergere. Nell’appello moralista all’essere “per” manca la distinzione di Europa e UE, il che vuol dire a monte quella di società e stato. Monda non pare nemmeno accorgersi della confusione concettuale in cui incorre, e critica il sovranismo, identificandolo con il malinteso senso della libertà, come essere svincolato da qualunque relazione, che dà il titolo all’editoriale. Ricorda che “il sovrano, come indica la parola stessa, è colui che sopra di sé non vuole nessuno”. Pare però dimenticarsi che la sovranità, originariamente attributo divino, fu in epoca moderna rivendicata per sé dagli stati, nel loro dichiararsi superiorem non recognoscens. Definire quindi l’Europa come “unione degli stati”, non vuol dire che essa rappresenti uno “stare-con”, come egli dice. Può semmai venire a costituire un super-stato, in cui gli stati membri tendenzialmente si dissolvono, che in ogni caso non riconosce nulla di superiore, come mostra il feroce secolarismo dell’UE.

Abbiamo visto dunque che l’UE comincia a essere invisa a larghi settori dei popoli europei, ed è difficile capire perché la gerarchia della Chiesa fatichi a prenderne atto. Se questa avversione all’UE prende la veste di richiamo alla sovranità nazionale, non è (a parte frange irrilevanti) per nostalgie di supremazia nazionalista di stampo ottocentesco e primo novecentesco, legata all’identificazione della nazione con lo stato, superiorem non recognoscens, che portava gli stati a essere l’un contro l’altro armati; si tratta piuttosto di una rivendicazione della nazione: il che vuol dire rivendicazione dell’identità dei popoli europei, ciascuno con suoi costumi e tradizioni, contro la loro nullificazione non solo da parte del superstato europeo, ma degli stessi stati che avevano preteso di risolvere totalitariamente in sé la società e i popoli. L’idea di nazione viene così ad assumere proprio il senso dell’essere “con”, la formazione di comunità in cui ciascuno si sa in relazione con altri, e non si avvilisce quindi nella solitudine. Né la propria identità è così rivendicata da ciascun popolo contro quella degli altri che diversamente si identificano. Poiché i costumi che la definiscono rappresentano il modo in cui entro certi confini ciascuno si sa correlare con altri, essi danno il senso del ripresentarsi della stessa trama di relazioni anche nel superamento di quei confini.

All’indifferenziazione statalista dei popoli promossa dalla UE – e da tutti i globalisti euro-americani – si contrappone così la comunicazione tra i popoli europei. Cosa resa possibile proprio da quelle radici cristiane che l’UE ha negato, e la cui riaffermazione non solo ricostruirebbe un senso dell’Europa, ma la aprirebbe anche al resto del mondo.


 

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