Uno studio su Karl Rahner
È indubitabile l’influsso di Karl Rahner sulla riflessione teologica contemporanea. Cornelio Fabro lo definisce nel 1974 il «teologo più letto e seguito dalle giovani leve della teologia cattolica in quest’epoca postconciliare» (1). Gli fa eco Antonio Margaritti secondo cui «la teologia di Rahner ha avuto una diffusione universale: su ogni questione e da ogni parte si fa ricorso a lui» (2). Ha dichiarato, inoltre, Brunero Gherardini, che, «anche se il suo nome non costituisce più, come nell’immediato post-concilio, il referente obbligato d’ogni elaborazione teologica né la carta di credito dei teologi à la page, “i suoi discepoli hanno occupato le cattedre della teologia scolastica e numerose sedi vescovili” [David Berger, Commiato da un pericoloso mito, «Fides Catholica» (2002) 2, p. 102]» (3). Per questo, afferma Antonio Livi, «è particolarmente significativo il pensiero di Karl Rahner, sia per le categorie filosofiche da lui introdotte in teologia che per l’influenza da lui esercitata sul linguaggio e perfino talvolta sui contenuti dei documenti del Magistero nel periodo storico che si suol denominare “conciliare”» (4).
Appare con non poca evidenza che il pensiero di Rahner sia entrato a pieno titolo nella prassi ecclesiale odierna. Se non tutte le derive dipendono direttamente da lui, esse possono in qualche modo essergli ricondotte, quale matrice costitutiva di uno sviluppo successivo. È a partire dalla rilettura, più o meno portata alle estreme conseguenze e a volte tradita (più nelle intenzioni che non nelle formulazioni), della riflessione rahneriana che
«si è diffusa la tendenza a far precedere alla dottrina la pastorale; si pensa che non possano più darsi precetti assoluti; che il dogma sia anche frutto di interpretazione; che tutto nella Chiesa sia dentro la storia; che la rivelazione avvenga nel mondo e non nella Chiesa; che tra storia sacra e storia profana non ci sia più differenza; che la prassi contribuisca a fare la verità; che il Vangelo non abbia senso se non letto a partire da una situazione concreta; che la morale tradizionale della Chiesa circa la sessualità sia superata; che non si possa mai giudicare e quindi valutare alla luce della ragione e della fede nessuna situazione oggettiva di vita; che non si possa più parlare di anima; che la fede sia un’esperienza esistenziale; che possono essere ordinate preti anche le donne; che i vescovi e i parroci dovrebbero essere indicati dal basso; che la Chiesa docente debba imparare dalla Chiesa discente; che il centro della vita cristiana sia la misericordia senza la verità e la giustizia; che Dio in Cristo abbia già salvato tutti e che l’inferno è un mito come anche il peccato originale, i miracoli o la stessa creazione; che nessuno sappia bene quando sia veramente in peccato; che la distinzione tra peccato mortale e veniale sia un cavillo legalistico; che siccome tutto è storia anche Gesù ha progressivamente vissuto un processo di consapevolezza del suo essere Dio; che la Chiesa non abbia nessun titolo preferenziale quanto a possesso della verità; che i divorziati risposati possono accedere all’Eucaristia; che i cattolici possano approvare le leggi sull’aborto; che pretendere di influire sulle leggi dello Stato per motivi religiosi significhi trasformare la fede in ideologia; che la Chiesa non dice di no a niente ma si limiti ad accogliere e ad accompagnare; che i dogmi si evolvano; che la rivelazione avvenga nel progressivo sviluppo della coscienza; che la Chiesa ha delle relazioni tra uomo e Dio; che la Scrittura abbia il primato sulla tradizione la quale sarebbe una sua interpretazione sempre in corso; che la Chiesa debba aprirsi non solo a tutti ma anche a tutto; che i pastori non debbano insegnare ma ascoltare; che non debbano dare risposte ma fare domande; che il dubbio sia positivo per la fede perché ne stimola la vita; che la legge nuova abbia abolito la vecchia con il suo legalismo; che obbedire a Dio per dovere sia un tradimento del Vangelo; che la vera mensa eucaristica non sia l’altare ma i poveri; che la secolarizzazione sia positiva per la fede perché la libera dalla tentazione ideologica; che il pluralismo filosofico e teologico sia un bene per la Chiesa; che possano darsi diverse legittime cristologie; che si debba promuovere un decentramento dottrinale; che la sinodalità e la conciliarità debbano trovare una configurazione istituzionale permanente accanto al primato di Pietro; che non si debba fare proseliti; che la missione non vada intesa come conversione degli altri ma come conversione di se stessi; che il mondo vada ascoltato e non giudicato; che la fedeltà dottrinale sia contraria alla misericordia; che l’interesse per la persona debba precedere l’interesse per il sacramento; che la Chiesa debba far proprio il linguaggio del mondo; che l’unità sia una forma di chiusura; che il con-venire sia più importante dei suoi contenuti; che si debba collaborare con tutti; che importante sia fare tratti di percorso insieme indipendentemente dalle dottrine professate; che la dottrina non vada presentata tutta insieme; che le preoccupazioni di coerenza dottrinale soffochino lo slancio dello spirito e della carità» (5).
Da questo corposo elenco problematico, l’intento del presente volume è quello di mostrare la “fragilità” di una teologia che, nonostante la sua grande divulgazione, non pare presentare un fondamento epistemologico sicuro, mancando anche di un supporto filosofico che possa permettere alla sacra dottrina di raggiungere in pienezza il suo alto compito di precisare ecclesialmente la Rivelazione divina. Come è ovvio, non si giudica la persona, in questo caso di Karl Rahner, né la sua fedeltà più o meno riconosciuta alla scelta vocazionale (religiosa) (6), ma il suo pensiero, che tanto ha influito sulla riflessione filosofica e teologica contemporanea.
Studi qualificati su Rahner non mancano (7), ma quello quivi proposto vuole sintetizzare quegli aspetti nevralgici e decisivi per comprendere la globalità della sua produzione filosofico-teologica. Il carattere di novità riguarda, dunque, la struttura e il percorso indicati che si preoccupano di mostrare quegli aspetti fondamentali per la valutazione dei risultati della ricerca di un autore.
Si deve, perciò, mettere innanzi tutto a fuoco la “questione epistemologica”, che ritiene – a buon titolo Livi – «il criterio principale, il fondamento oggettivo per una valutazione della dottrina di un teologo» (8).
In secondo luogo, è necessario risalire alle correnti filosofiche a cui Rahner fa riferimento, per comprendere la base con cui, di conseguenza, ha sviluppato la sua teologia, poiché quest’ultima «non può mai permettersi di ignorare la filosofia» (9). Infatti – dichiara Giovanni Paolo II –, «la teologia ha sempre avuto e continua ad avere bisogno dell’apporto filosofico» (10).
Una volta chiarito il sistema filosofico soggiacente si può valutare l’opera teologica in generale oppure fermarsi su un aspetto particolare e circoscritto, quale esempio concreto (e lampante), còlto in actu exercito, delle conclusioni teologiche raggiunte dall’autore stesso preso in esame.

(1) Cornelio Fabro, La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi Editore, Milano 1974, p. 5.
(2) Antonio Margaritti, Svolta antropologica e istanza kerigmatica , in Giuseppe Angelini - Silvano Macchi (ed.), La teologia del Novecento. Momenti maggiori e questioni aperte, Glossa, Milano 2008, pp. 237-296: p. 269.
(3) Brunero Gherardini, Natura e grazia: l’equivoco di Karl Rahner , in Karl Rahner. Un’analisi critica. La figura, l’opera e la recezione teologica di Karl Rahner (1904-1984) , ed. Serafino M. Lanzetta, Cantagalli, Siena 2009, pp. 41-49.
(4) Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”. Terza edizione con aggiornamenti sugli ultimi sviluppi della questione teologica , Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 20173, p. 271.
(5) Stefano Fontana, La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo , Fede & Cultura, Verona 2017, pp. 5-7.
(6) Su questo concordano sia Brunero Gherardini, il quale precisa che «la testimonianza quasi unanime sulla qualità morali del gesuita Karl Rahner l’accredita come religioso osservante, studioso infaticabile, uomo di fede e di preghiera» (Brunero Gherardini, Natura e grazia, cit., p. 42) sia Antonio Livi, il quale nel suo discorso non implica «un giudizio negativo sulla fede che personalmente Karl Rahner si deve presumere che avesse» (Antonio Livi, Il metodo teologico di Karl Rahner. Una critica dal punto di vista epistemologico , in Karl Rahner. Un’analisi critica, cit., pp. 13-17: p. 17).
(7) Si pensi al già citato volume di Cornelio Fabro ( La svolta antropologica di Karl Rahner), che – secondo Vittorio Possenti – mostra, non senza polemica, il «modo alquanto problematico con cui sono reinterpretati alcuni snodi notevoli della dottrina tomista della conoscenza» (Vittorio Possenti, Nichilismo e metafisica. Terza navigazione, Armando Editore, Roma 2004, p. 434). Lettura che si deve affiancare al già citato volume collettaneo Karl Rahner. Un’analisi critica. La figura, l’opera e la recezione teologica di Karl Rahner (1904-1984) . A sua volta questo testo si può accostare, visti i prodromi della filosofia soggiacente al pensiero di Rahner, a quello di Concetto Baronessa (ed.), La critica kantiana della “ragione pura” e la metafisica, «Sensus Communis» 19 (2018) 1, n. 27.
(8) Antonio Livi, Il metodo teologico di Karl Rahner, cit., p. 13.
(9) Inos Biffi, Teologia e filosofia: recupero del disegno originario, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 72 (1980) 4, pp. 698-704: p. 704.
(10) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Fides et ratio, n. 77. Pubblicato il 22 maggio 2019

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