23 gennaio 2019

I pellegrini lanzichenecchi

Di Franco Ressa
Dalla fine del ‘400 alla metà del ‘500 a Firenze vennero composte canzonette allegre o satiriche da suonare e cantare durante le mascherate e sfilate di carnevale. Gli stessi Medici signori di Firenze ne scrissero alcune, ma il più divertente compositore fu Guglielmo detto il Giuggiola.

In particolare il Giuggiola mise in satira il linguaggio ed il comportamento di quei soldati stranieri, in maggior parte tedeschi e svizzeri, che campavano come mercenari ed erano chiamati lanzichenecchi o più brevemente lanzi. La loro arma era l’alabarda da loro definita cruche: “bastone lungo”, perciò li si nominava anche “crucchi”.

Nelle composizioni carnevalesche veniva satireggiata la loro rozzezza, la brutalità e l’ubriachezza, ma due canzoni fanno capire che in essi c’era anche una specie di fede religiosa. Il titolo è: Canto di lanzi che andarono a Papa Lione:

Pastor sante signor nostre/ date a noi carità vostre.
Questi lanzi buon compagne/ tanto mene sue calcagne/ che fenute d’ Allemagne/ per feder santità vostre.
Noi star tutte maltrattate/ rotte tutte e strambellate/ per afer tante trincate/ tutte vuote borse nostre.
Quand’in terra star carpone/ lanzi vuol benedizione/ per afer gran divozione/ nelle sante borse vostre.
Pare a lanzi un cose strane/ picchiar usce e chieder pane/ perché in pace ed andar sane/ non far empier corpe nostre.
Queste qui bel margarite/ che star dame sì pulite/ noi foler dare un marite/ se voi dar carità vostre.
Però lanzi poferine/ buon pastor sante e divine/ fate dar qualche fiorine/ per tornare in patrie nostre.

Il Papa è Leone X de’Medici, in carica tra il 1513 e il 1521. I lanzi non speravano solo un’elemosina, ma anche un ingaggio duraturo, infatti il predecessore di Leone X, Papa Giulio II°, aveva creato il corpo delle guardie svizzere, tuttora esistente come milizia della Città del Vaticano e vestito con la stessa uniforme di quei tempi. Sempre durante il pontificato di Giulio II° tra i pellegrini tedeschi giunse a Roma nel 1510 il monaco agostiniano Martin Lutero, ancora devoto cattolico e che non covava i futuri intenti di rivolta religiosa.
Nel 1525, sotto il pontificato di Clemente VII, nipote di Leone X della stessa famiglia dei Medici, fu indetto un giubileo, e i mercenari non si astennero dal parteciparvi, ma il ritorno si rivelava ben più difficile dell’andata, come si legge in questa canzone dei lanzi pellegrini di passaggio per Firenze:

Caritate amore Dei/ pofer lanzi sventurate/ che da Roma star tornate/  dalle sante giubilei.
Queste pofer compagnone/ son fenute pellegrine/ per aver tante stazione/ fatte lunghe e gran cammine/ però date Fiorentine/ caritate amore dei.
Queste pofer farlingotte/ punte argente non afere/ star diserte e mal condotte/ né più sa che vie tenere/ però dà buone messere/ caritate amore Dei.
 Noi afeme in Rome sante/ colossee tutte fedute/ e indulgenzie tutte quante/ a noi stare concedute/ or che star perdon compiute/ caritate amore Dei.

Dalle parole sembra esservi una sincera volontà di penitenza e cambiamento di vita, eppure quegli stessi devoti mercenari pellegrini germanici, solo due anni dopo invaderanno e saccheggeranno spietatamente la città santa, nel “sacco di Roma”.

 

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