05 ottobre 2018

The Nun. Al cinema c'è il catechismo horror

 di Paolo Maria Filipazzi
[attenti agli spoiler, ndr]

C’è un genere cinematografico che da tempo tiene alta la fiaccola della verità cattolica senza che nessuno se ne accorga. Stiamo parlando dell’ horror a tematica esorcistica.
Certo, è capitato che anche film sugli esorcismi fossero porcherie, magari deraglianti in una visione occultistica ben poco raccomandabile. Tuttavia, si è sempre trattato di eccezioni. Il punto è che, per fare un film decente di questo tipo, è necessario prima studiare almeno l’essenziale di quanto c’è da sapere a proposito di possessioni ed esorcismi, e le uniche fonti sull’argomento sono, giocoforza, quelle cattoliche.

In questo modo, a prescindere dalle convinzioni del regista, lo schema che ne esce è sempre molto semplice quanto veritiero: il diavolo esiste, è un’entità violenta, disgustosa e bestiale e l’unica ancora a cui aggrapparsi è la Chiesa che, in quanto strumento di Dio, è la sola che lo può affrontare e sconfiggere. Spesso questi film raccontano di famiglie poco o nulla religiose che però, alla fine, si trovano, vincendo diffidenza e scetticismi, ad affidarsi all’esorcista che, crocifisso in pugno al posto della rivoltella del cowboy o della spada-laser dei Jedi, affronterà il nemico per eccellenza. E anche quando si cerca di variare sul tema, presentando magari un prete roso da dubbi di fede che, in teoria, dovrebbero renderlo più “figo”, ci si trova costretti a farglieli risolvere prima della fine, altrimenti non potrà sconfiggere IL cattivo.

Insomma, alla fine la pellicola in sé potrà essere pure una “corazzata Potëmkin”, ma lo spettatore cattolico ne uscirà edificato, confermato nella fede e magari anche un po’ gasato dall’aver visto, una volta tanto, un film che, oltre essere apologetico, è stato anche divertente, al contrario – ahinoi- della maggior parte dei film a carattere religioso, talmente didascalici e zuccherosi da essere spesso intollerabili anche per chi è in odore di santità (e noi, purtroppo, non lo siamo). Soprattutto, sarà entusiasta di avere finalmente visto un film che, per quanto in forma spettacolarizzata ed elementare, tratta l’aspetto essenziale del soprannaturale e del preternaturale, alla faccia di tanti film ad etichetta cattolica in cui sembra sempre che tutto si riduca a volontariato ed attivismo sociale.

In questo panorama un posto d’onore merita sicuramente quello che ormai viene chiamato The Conjuring Universe, l’universo narrativo nato col film The Conjuring nel 2013 ed ormai arrivato al quinto capitolo con The Nun, attualmente nelle sale. La saga prende le mosse dalle vicende di Ed Warren e di sua moglie Lorraine, due “indagatori dell’occulto” realmente esistiti che si occuparono, in collaborazione con le autorità ecclesiastiche, di numerosi casi di possessioni e infestazioni. I film in realtà rielaborano, romanzandole moltissimo, le vicende dei Warren, ma l’impianto tipico sopra descritto è ben chiaro e presente, e in più i primi quattro film sono anche molto ben fatti, rendendo le pellicole qualcosa da consigliare a chiunque non sia troppo impressionabile.

Anche per questo la visione di The Nun ci ha lasciato impressioni contrastanti: da un lato, ci ha deluso, sembrandoci molto inferiore per qualità rispetto ai precedenti, dall’altro ci ha colpito al cuore il cattolicesimo strong della narrazione, che in nessun smielato film sui santi troveremmo mai.

La trama è la seguente. Siamo nel 1952, nel monastero di suore di clausura di Santa Carta, in Romania. Mentre una suora viene “sbranata” da una misteriosa entità nel buio di una cripta tenebrosa, un’altra, suor Victoria, fugge stringendo in mano una chiave-rosario per poi impiccarsi gettandosi dalla finestra con una corda al collo. Viene ritrovata da un uomo chiamato “il Francese”, un contadino franco-canadese che vive nel luogo. Come ci sia finito un franco-canadese in un villaggio della Romania degli anni ’50 è una stranezza a cui verrà poi data, di sfuggita, una spiegazione abbastanza confusa. Il motivo autentico di questa forzatura si capirà solo alla fine. Il Vaticano manda sul posto un esorcista, padre Burke, ed una postulante, suor Irene.

Il seguito del film è più che altro una successione di situazioni lugubri e jumpscare con al centro i tre protagonisti, all’interno della quale si fa strada una trama di per sé non proprio irresistibile.
A Santa Carta si pratica l’adorazione perpetua perché il male non esca dal convento. Suor Irene conosce suor Oana, la quale le spiega che, anticamente, l’edificio era il castello di un conte che praticava l’occultismo ed aveva aperto un portale attraverso il quale far passare nel mondo il demone Valak, già visto in The Conjuring 2, che assume la forma blasfema di una suora dalle fattezze mostruose. La Chiesa aveva mandato la cavalleria cristiana ad affettare il conte (qui, lo ammettiamo, ci siamo commossi) ed aveva sigillato il portale con la reliquia del Sangue di Cristo. Il castello era quindi diventato un convento perché, grazie alla preghiera incessante delle monache, il male rimanesse incatenato. Durante la guerra, però, le bombe avevano colpito il monastero, danneggiandolo e con esso riaprendo il portale.

Suor Irene è nella cappella in mezzo alle monache che pregano ripetendo l’ Ave Maria in latino (altro moto di commozione da parte nostra), resistendo all’attacco del demone, quando padre Burke e il Francese che, nel frattempo, ne hanno già passate di ogni, giungono di soprassalto e la trovano sola. Le suore con cui lei ha parlato e pregato fino a quel momento erano solo delle visioni: il convento è vuoto, dopo che Valak le ha con ogni evidenza eliminate tutte. Per poter passare nel mondo, però, aveva bisogno di possedere un corpo e suor Victoria, l’ultima sopravvissuta, si è impiccata per non farsi prendere. Non è una suicida, ma una martire. La chiave-rosario che stringeva in mano serviva per aprire il nascondiglio in cui si cela il Sangue di Cristo.

A quel punto, suor Irene chiede a padre Burke di prendere sul posto i voti perpetui. Dopodichè, ritrovata la reliquia, sarà lei a portare l’ampolla al collo, in quanto sposa di Cristo. Seguono varie peripezie, al termine delle quali il Sangue di Cristo, versato addosso al demone, lo ricaccerà all’Inferno chiudendo il portale.

Il lieto fine, però, non può esserci del tutto, in quanto Valak dovrà per forza essere in giro ancora negli anni ’70, per non smentire The Conjuring 2. Si copre allora che il Francese si chiama in realtà Maurice Theriault. Questo è il nome di un uomo soggetto a possessione di cui si parla nei precedenti film. Sottoposto ad esorcismo, aveva guardato Lorraine negli occhi, e lei per la prima volta aveva avuto una visione di Valak, in seguito nuovamente rispedito all’Inferno. Il regista, che forse ha paura che gli spettatori non ci arrivino, prima ci mostra come sul collo di Maurice sia apparsa misteriosamente una croce rovesciata poi, evidentemente non ritenendolo sufficiente, conclude il film riproponendo la scena del primo The Conjuring in cui per la prima volta il personaggio viene citato, con un finale alquanto posticcio.

Insomma, avrete capito che il film in sé ci ha lasciati perplessi sul piano formale. Tuttavia, ci ha, al tempo stesso conquistati.

Di tutto il film, la scena che più ci ha emozionati non è una di quelle in cui Valak fa smorfie e versacci, ma quella dell’adorazione delle monache sotto attacco del demone. La musica ed il ritmo non sono quelle dolciastre e soavi tipiche delle scene di preghiera di qualunque altro film. E’ una scena carica di tensione, tanto da sembrare una scena d’azione, una scena di lotta. E lo è, come lotta e combattimento è effettivamente la preghiera di quei monasteri di religiosi e religiose in cui quotidianamente, da secoli, si pratica l’adorazione perpetua, in una costante resistenza all’ assedio del diavolo.
Viene da chiedersi, ad un certo punto, chi sia “la suora” del titolo. A livello promozionale, l’intento è chiaramente di richiamare la “suora-demone” Valak. Tuttavia ad un certo punto sorge il dubbio che si tratti di suor Irene, la vera protagonista positiva della storia, la quale, compiendo la sua vocazione e diventando sposa di Cristo (la scena in cui prende i voti perpetui è l’altra veramente piena di pathos del film), diventa anche colei che può custodirne il Sangue e così affrontare il Male.
Così come non è certo un caso che, alla fine, l’arma invincibile contro le forze infernali sia proprio il Sangue di Cristo. Semplicemente, è Vero.


 

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