«Leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò». Tradotto: non ne parlerà mai più. Conoscendo lo stile Bergoglio, la risposta data alla giornalista Anna Matranga nel corso del volo di ritorno dall’Irlanda in merito al “memoriale Viganò”, è chiara e lampante: non ci sarà una risposta ufficiale. Come con i “dubia” dei quattro cardinali: magari, il pontefice risponderà giocando di sponda, su giornali amici o tramite lettere a qualche conferenza episcopale sparsa per il mondo. Vorremmo sbagliarci, ma temiamo che alle rivelazioni dell’ex nunzio negli Stati Uniti non ci sarà risposta scritta o verbale. Vorremmo sbagliarci, perché la lettera di Viganò, che sul quotidiano La Verità ha occupato ben 6 pagine (sei!), non può essere risolta con un’alzata di spalle. Ne va dell’immagine della Chiesa, ne va della reputazione del Santo Padre.
Vogliamo credere che la risposta arriverà in forma ufficiale, ma temiamo di sbagliarci. Se Bergoglio non risponderà, né cercherà di sgravarsi le pesantissime accuse di aver coperto le ripugnanti azioni di McCarrick, quale immagine ne uscirà fuori del ministero petrino? Beninteso: nei secoli una molteplicità di prelati hanno avuto uno stile di vita personale decisamente perverso, tanto da concedere una giustificazione perfino all’esasperazione di Lutero. Beninteso: in passato, una schiera di pontefici hanno protetto e tutelato uomini di Chiesa protagonisti di azioni ignobili. La storia ha giudicato ampiamente queste azioni. E non è il caso di replicarle o chiedere che intervenga, nuovamente, il giudizio della storia. Perché, da un papa che si professa portatore di una riforma positiva in seno alla Chiesa, ci aspetteremmo tutt’altro che un’alzata di spalle. Da un papa come Francesco ci aspetteremmo ben altro, perché il silenzio di molti papi del passato ha portato la Chiesa dentro la voragine degli scismi, l’ha macchiata per i secoli a venire.
Bergoglio, invece, sceglie un’altra via. Richiama sull’attenti i giornalisti, ricordando loro che non possono uscire dal “frame”, da ciò che è convenzionalmente vero e da ciò che è convenzionalmente falso. «Voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni»: ciò significa che il documento si commenta da solo, perché è carta straccia, di nessun valore. Poco importa se quelle rivelazioni sono di portata storica, e che ogni buon giornalista potrebbe metterci le tende e lavorarci sopra per un anno: i buoni giornalisti sono avvisati che quel documento è tutta fuffa.
Ma non solo. Francesco è andato oltre e, nel commentare – durante l’omelia a Santa Marta – un passo del Vangelo di Luca (4, 16-30) ha replicato: «Con le persone che non hanno buona volontà, con le persone che cercano soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione, che cercano soltanto la distruzione, anche nelle famiglie: silenzio. E preghiera». L’equiparazione è quella al comportamento di Gesù: «Gesù taceva. Lo portarono sul ciglio del monte per buttarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. La dignità di Gesù: con il suo silenzio vince quella muta selvaggia e se ne va. Perché non era arrivata ancora l’ora». Le tempistiche con cui ha pronunciato queste parole, pochi giorni dopo lo scandalo, hanno fatto immediatamente collegare l’omelia al “Viganògate”.
Spiace dirlo, ma invocare il silenzio di Gesù pare penoso e – purtroppo – ipocrita. L’entità delle rivelazioni di monsignor Viganò, confermate anche da altri prelati, sono di tale portata che devono avere una risposta, e giustificarsi dietro una pagina di Vangelo – che si riferisce ad altro, alla cacciata di Gesù da Nazareth – non può che rafforzare il sentimento di diffidenza che già il mondo ha nei confronti della Chiesa e del Vangelo.
Tanto più che si tratta di una risposta che insulta gratuitamente chi chiede verità e chiarezza nella Chiesa. In quella Chiesa della quale siamo tutti membri. Chi chiede chiarezza, per amore della Sposa di Cristo, non può essere velatamente accusato di essere persona che non ha buona volontà, che cerca lo scandalo o la divisione. No. Si spera che Francesco, presto o tardi, smentisca che l’omelia era da interpretare come risposta al caso Viganò. Si spera che risponda alle accuse e faccia chiarezza. Anche perché l’ostinato silenzio, in realtà, equivale ad una confessione di colpevolezza; non certo un’assoluzione.
Se infatti le rivelazioni di Viganò sono false, sarebbe facilissimo smentirle e rispondere punto per punto. Ma se le rivelazioni sono vere è opportuno fornire una risposta adeguata che possa per lo meno giustificare l’operato del successore di Pietro. Tacere contribuisce soltanto a rovinare ancor di più l’immagine e il ruolo del pontefice romano; tacere contribuisce ancor più a scurire i contorni di un pontificato controverso; tacere non può che rivelarsi devastante per la Chiesa, per la sua credibilità e la sua azione. Perché, se i dubia erano, per il 99% del mondo cattolico – ahinoi! – questione di lana caprina, in questo caso si va a toccare un argomento serio, concreto, tragicamente di attualità e da sempre motivo di accusa alla Chiesa. Tacere significa essere confermare le accuse e dimostrare la connivenza con un sistema perverso. E noi non vogliamo credere che sia così. Noi non possiamo credere che sia così.
Anche se, purtroppo, il modus operandi di questo pontificato sembra usare il silenzio per evitare le risposte scomode. I dubia sull’Amoris Laetitia? Silenzio. La Correctio filialis? Silenzio. I francescani dell’Immacolata? Silenzio. Le rivelazioni di Viganò? Silenzio. Avvalersi della facoltà di non rispondere non risolve i problemi. Anzi, li ingigantisce. E questa volta, per amore della Sposa di Cristo, è necessaria veramente una risposta.
Pubblicato il 11 settembre 2018

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