Un libro di Agnese Borsellino con Salvo Palazzolo
di Samuele PinnaPer il Santo Natale 2013, una persona amica mi ha regalato Ti racconterò tutte le storie che potrò, un libro su Paolo Borsellino scritto da sua moglie Agnese con il giornalista Salvo Palazzolo. È un libro difficile da recensire, perché è una di quelle letture che ti prendono prima la “testa” (per i contenuti che desideri comprendere in tutta la loro ampiezza) poi lo “stomaco”, quando avverti che c’è qualcosa che non va in quel finale di storia (che tutti conosciamo), e infine il “cuore”, perché la sensazione di amara piacevolezza che lascia è profonda e duratura. Un libro, insomma, che deve essere semplicemente letto, girando una pagina dietro l’altra in modo leggero e grave insieme. Agnese Borsellino scrive a un certo punto: «Paolo me lo ripeteva sempre: “L’amore si mantiene fresco con una novità ogni giorno. Che non è il fiore, o un regalo qualsiasi. Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così la nostra favola non finirà mai, finché vivrò”». Lui che aveva anche dichiarato: «È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola».
Ecco la quarta di copertina: «Di Paolo Borsellino, del suo esempio e del suo lavoro di contrasto alla mafia, si è sempre parlato molto. Negli ultimi tempi, forse, si parla più della sua morte, dei misteri che la avvolgono, delle trame che si sono consumate prima e dopo di essa. Ma della famiglia Borsellino, dell’uomo anziché del giudice, dei figli e della moglie, non si sa molto. Fin dai primi, terribili giorni dopo l’attentato di via D’Amelio, infatti, la moglie Agnese e i figli Lucia, Manfredi e Fiammetta – allora poco più che adolescenti – hanno mantenuto uno stretto riserbo e sono intervenuti solo raramente nel dibattito mediatico. La signora, che proprio quest’anno [2013] si è dovuta arrendere a un male che l’ha perseguitata per anni, ha voluto utilizzare gli ultimi mesi della sua vita per lasciare dietro di sé – ai figli, ai nipoti, alle persone che mantengono vivo il ricordo di Paolo Borsellino e, in definitiva, a tutti gli italiani – i ricordi di una vita accanto a un eroe civile, che era un uomo normale, innamorato della moglie, giocoso con i figli, timido ma anche provocatorio, generoso e indimenticabile».
Se il libro è stato edito qualche anno fa, rimane ancor fresco e attuale per chi desidera conoscere una grande figura dei giorni nostri, un uomo integerrimo e dalla radicata fede cattolica. E questo aspetto mi ha sempre colpito: egli, infatti, aveva una cura per l’altro, frutto quasi certamente della sua profonda appartenenza cristiana, mai ostentata, eppure vissuta ogni giorno, alimentata dalla partecipazione alla Messa domenicale, dalle assidue confessioni, dai colloqui con alcuni sacerdoti nei momenti più difficili della sua esistenza. Diego Cavaliero, suo giovanissimo sostituto alla procura di Marsala, a metà anni Ottanta, lo descrive così: «Credo che la fede lo abbia aiutato in quello che è il concetto di morale, che va anche al di là della religione, ma individua ciò che è giusto o sbagliato in senso assoluto. Borsellino era credente, cattolico praticante, ciò gli indicava la strada nell’applicazione della pietas cristiana, nel rispetto dell’altro, perché Paolo era convinto che dietro a ogni imputato ci sia un uomo che va anche rispettato. La fede non faceva altro che rafforzare la sua personalità votata alla ricerca del rapporto con l’altro. Il suo rapporto con la fede era intimo. È certamente un uomo di misericordia».
Si fanno più vere le parole della dedica sul mio libro, senza firma o altro, parole probabilmente dello stesso Borsellino: «perché conta molto di più ciò che sei, che quello che fai».
Un libro su un uomo giusto, che ricercava la giustizia umana, sapendo che in ogni caso, alla fin fine, se ne sarebbe realizza un’altra.
Un libro, dunque, da leggere e da rileggere o, meglio, da assaporare, in quel misto di dolce e amaro, ogni volta che si riprende tra le mani.
Pubblicato il 12 settembre 2018

0 commenti :
Posta un commento