06 settembre 2018

Il Card. Caffarra e l'uomo alla ricerca di Dio

A un anno dalla morte di un principe della Chiesa

di Samuele Pinna
Esattamente un anno fa veniva a mancare, un po’ improvvisamente, il cardinale Carlo Caffarra (1938-2017), che è stato un autentico uomo di Dio. La sua fermezza dottrinale era unita a una grande carità e a quei gesti di affetto e di stima che, per chi ha avuto il privilegio di conoscerlo da vicino, non faceva mai mancare. Come Benedetto XVI o il cardinale Giacomo Biffi, per citare due figure che egli ammirava molto, ha vissuto in quell’equilibrio oggi sempre più precario nel cristiano medio. Rifiutava cioè quello che oggi viene chiamato “progressismo”, dove la verità è sacrificata per la carità. Il che, per spiegarci, seppur in una superficiale semplificazione, può essere sintetizzato così: non importa ciò che è vero, perché muta con la storia, l’importante è “volersi bene”. Non accettava, però, anche ciò che viene apostrofato come “tradizionalismo”, dove la carità è sacrificata per la verità. E, anche in questo caso, sempre in una non approfondita valutazione, si può riassumere il suo significato in tal modo: la verità diviene un modello formale e astratto da applicare sul reale senza “se” e senza “ma” a prescindere dai soggetti coinvolti. In entrambi i casi il prodotto finale non coincide con l’espressione di un autentico cattolicesimo, che – parafrasando un Salmo – “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. È l’amore che fa aderire alla verità, che coincide con Cristo e che la Chiesa sostiene, quale sua colonna. Non è un generico buonismo che Gesù insegna e ha testimoniato, ma quell’amore divino che è fedele, gratuito, eterno, pronto al sacrificio, al dono di sé…

Per tenere insieme amore e verità, bisogna fortificarsi nella virtù dell’umiltà, che permette di riconoscere in Dio – conosciuto metafisicamente, ma non ridotto a quello dei filosofi o dei sistemi – il fondamento della propria vita così da vivere una relazione con Lui dai tratti personali. Allora si scopre che non c’è nulla di più bello che la verità, che a Lui rimanda, e non c’è causa più nobile per cui dare la vita. E ci si scopre in quella gioia promessa dal Signore che non viene mai meno, perché sostenuta dal Suo Spirito. La noia, la lamentela, la frustrazione sono, pertanto, annientate da quella ricerca di vero (e di buono e bello) che nell’amore si dà in pienezza. Il cardinale Caffarra aveva compreso molto bene tutto questo e lo insegnava, sorretto a sua volta da una altra virtù, quella della fortezza, per cui non aveva paura di annunciare con chiarezza la verità, avendo sempre una grande attenzione, amorevole direi, per le persone che incontrava, anche quando queste erano in palese disaccordo con lui. Mi pare che tra i molti insegnamenti, particolarmente significativo sia stato quello tenuto il 12 febbraio 2013, che mostra come il fondamento umano si ritrovi nella ricerca del rapporto con Dio. Vogliamo, dunque, ascoltare, ancora una volta, le fresche parole di Carlo Caffarra, sostegno e aiuto per vivere la nostra fede in quella verità che regola la nostra vita e la trasforma in atti d’amore.



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1. Due sono le grandi metafore della vita: il girovago, il pellegrino. Essi indicano due modi di vivere molto diversi.

Il girovago non ha una meta; il pellegrino ha una meta. Il girovago si distrae ad osservare, e a fermarsi di fronte a ciò che gli piace; il pellegrino, pur non chiudendo gli occhi a ciò che incontra, non si lascia distrarre fino al punto da dimenticare la meta a cui è diretto. Il girovago non ha una strada non avendo una meta da raggiungere; il pellegrino ha una strada che non deve e non vuole abbandonare perché desidera raggiungere la meta.

Passiamo dalla metafora alla realtà. Ciascuno di voi ha nel cuore grandi o piccole speranze, diverse a seconda dei periodi della vostra vita: la speranza di un grande amore ricambiato; la speranza di poter trovare un lavoro sicuro e dignitosamente retribuito; la speranza di avere grandi riconoscimenti professionali, e così via. Tutto questo basta? Siamo condannati a girovagare da una speranza all’altra?

Vi chiedo ora di riflettere su un’esperienza molto significativa, che spesso ciascuno di voi vive. La riassumo nel modo seguente: la delusione del compimento. Succede non raramente che raggiunto l’obiettivo del nostro desiderio, ci troviamo a dire: “tutto qui?”. È come se fosse più bella la ricerca che il possesso, il desiderio che la soddisfazione. Viviamo spesso una sproporzione esistenziale fra ciò che speriamo e desideriamo e ciò che concretamente possiamo raggiungere.

Chi ha espresso in modo sublime questa sproporzione è stato G. Leopardi. Faccio solo una citazione. Nella poesia, che molti di voi sicuramente hanno studiato, Il sabato del villaggio, il poeta scrive:


“Questo di sette è il più gradito giorno,

pien di speme e di gioia:

diman tristezza e noia

recheran l’ore, ed al travaglio usato

ciascuno in suo pensiero farà ritorno”


Il sabato, cioè l’attesa, è “pien di speme e di gioia”; la domenica, cioè il compimento, è “tristezza e noia”. È questa esperienza che persuade molti a vivere la vita da girovaghi, per quanto possibile. A navigare sempre a vista, senza proporsi un porto in cui fermarsi.



2. Vorrei ora che compiste un passo ulteriore: quale posizione possiamo ragionevolmente prendere di fronte a questa condizione di sproporzione fra il desiderio e i beni che lo soddisfano nella quale ci troviamo a vivere?

Una prima posizione è la seguente: siamo fatti male! Siamo, noi persone umane, realtà assurde, perché desideriamo naturalmente ciò che non possiamo raggiungere.

La conseguenza esistenziale, pratica di questa posizione, o – se volete – il consiglio che viene dato spesso, è il seguente: “accorcia la misura del tuo desiderio, e taglia la tua speranza. Non potendo raggiungere ciò che desideri, cerca di desiderare solo ciò che puoi raggiungere”.

Se uno fa propria questa posizione e questo consiglio pratico, può vivere secondo uno stile di vita che ho chiamato del girovago: “va alla ricerca di tutti i beni e le gioie possibili; una volta consumata l’una, passa a consumarne un’altra” [= consumismo].

Ma di fronte alla sproporzione fra desiderio-speranza e soddisfazione raggiunta, è possibile un’altra posizione: quella del pellegrino. La sproporzione non potrebbe derivare dal fatto che la persona umana è fatta per un bene infinito? Certamente essa ha bisogno di avere e nutrire nel cuore “piccole” speranze. Ma il fatto che quando queste si realizzano, appaia con chiarezza che esse non sono tutto, è indice che l’uomo è fatto per una speranza infinita, per un bene infinito.

Il nostro desiderio non va accorciato, la nostra speranza non va tagliata, perché esiste una risposta a loro misura. E il pellegrino si mette alla ricerca di questa risposta.

L’uomo alla ricerca di Dio è l’uomo che non si accontenta dei beni limitati, oggetto delle piccole speranze pure significative ed importanti. È l’uomo che prende coscienza che non può bastargli niente che non sia infinito; qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere.

Fermatevi un momento a riflettere sulle qualità o caratteristiche di questa ricerca. È la ricerca non semplicemente di una risposta ad una domanda della nostra ragione, del tipo: quanto è lungo il Nilo? C’è vita su Marte? Ma è ricerca di una Realtà di cui ho assoluto bisogno per vivere bene in senso pieno; di una Realtà colla quale possa stabilire una relazione reale.

È una ricerca che impegna tutto l’uomo: la sua ragione, il suo cuore, la sua libertà. E al massimo grado. È necessario impegnare la nostra ragione colla massima intensità per cercare Dio, e la nostra libertà in grado supremo.


3. Vorrei ora richiamare la vostra attenzione su ciò che può impedire la ricerca di Dio.

Il primo impedimento può essere quella che io considero la più grave malattia spirituale che possa colpire il cuore di un giovane: la tristezza del cuore.

La tristezza del cuore è una sorta di anoressia spirituale che rifiuta di prendere in considerazione ogni proposta che vada oltre la quotidianità; una sorta di pigrizia spirituale che induce neppure più a sperare che sia possibile una vita bella, vera, buona. Cari giovani… ai primi sintomi di questa malattia reagite subito; andate subito… dal medico [un buon confessore], perché altrimenti la prognosi è la morte del vostro io.

Il secondo impedimento è lo scientismo. Questo impedimento è come un’epidemia: la prendi senza accorgertene.

Lo scientismo consiste nel pensare che solo le proposizioni scientifiche sono qualificabili come vere o false, perché sono verificabili col metodo proprio della scienza. Chiedersi dunque: “la proposizione Dio esiste o Dio non esiste è vera o falsa”? È come chiedersi: quanti kg pesa una sinfonia di Mozart? È come farsi cioè una domanda priva di senso. Le suddette proposizioni sono mere opinioni soggettive e private.

È facile capire che se uno si lascia infettare da questa epidemia, non si mette in ricerca di Dio. Semplicemente si tiene la sua opinione al riguardo.

Potete aver ricevuto col latte materno la certezza di Dio. È un grande dono che vi è stato fatto. Ora si tratta di continuare ad essere, o di iniziare ad essere grandi cercatori di Dio. Che cosa significa essere cercatori di Dio ho cercato di spiegarlo sopra.  

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